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lunedì 20 luglio 2020
Franco Astengo: Il ratto d'Europa e il deficit democratico
IL RATTO D’EUROPA E IL DEFICIT DEMOCRATICO di Franco Astengo
Comunque andrà a finire il negoziato brussellese ,oggi ancora in corso sul presunto piano europeo di “Recovery Fund”, si sono dimostrate due cose:
1) lo sfilacciamento dell’idea stessa di Unione Europea;
2) Uno sfilacciamento dovuto non solo e non tanto dal tipo di impostazione che all’UE è stata data (giustamente criticata da più parti anche in senso internazionalista e non certo sovranista) ma all’assenza di un sistema politico europeo: PPE e PSE risultano loro stessi frantumati come entità politiche nei rivoli più diversi.
Per riflettere al meglio su questi punti sarà bene ricordare egualmente due altre questioni:
1) L’idea dell’Europa così come questa fu concretizzata, a partire dalla CECA (1951) e con i passaggi successivi fino al trattato di Roma (1957) non era quella “socialista” nata a Ventotene dalle menti illuminate di Spinelli, Rossi, Colorni e Ursula Hirschmann, ma quella , fuori dalla mitologia del Piano Marshall, difensiva, anti – sovietica, parallela alla NATO, integratrice anche militarmente della Germania nella sua parte occidentale (ricordiamo il fallimento della CED) : questa mia interpretazione sarà giudicata come schematica e richiamante la logica della “guerra fredda”( difatti all’epoca si espresse la forte ostilità dei Partiti Comunisti italiano e francese), ma ritengo si tratti di un dato di cui tener conto sul piano storico per i suoi riflessi che, a lungo, sul terreno dell’impostazione culturale e politica sono stati mantenuti nel prosieguo della costruzione dell’impalcatura europea anche nel momento in cui avvennero passaggi a governi “diversi” nei principali paesi fondatori ( Germania, Francia);
2) Il secondo passaggio è quello riguardante la caduta del Muro e la sindrome da “estensione” di un solo modello: quello della “fine della storia”. In quel momento l’idea dell’allargamento dell’Unione ad Est (avvenuta nel 2004) era vista come la definitiva e agognata apertura al modello del consumismo occidentale di nuovi, grandi mercati. Si sottovalutarono tutte le difficoltà in essere e in itinere come poi si sarebbero ben palesate in una evidente situazione di colossale abbaglio (fu in questo quadro che tra l’altro nacque l’euro, la cui entrata in vigore è costata un duro prezzo di impoverimento generale per le classi medie e lavoratrici italiane, in particolare quelle a reddito fisso).
Nel frattempo falliva l’ipotesi di Costituzione Europea (per la contrarietà di Francia e Olanda). L’approvazione di una Costituzione Europea avrebbe rappresentato il solo fattore possibile per varare comuni politiche pubbliche e fornire al Parlamento Europeo poteri costituenti in un’ottica federalista che, diciamoci la verità, non è mai stata presa in considerazione.
Il sovranismo dunque arriva da lontano.
Al di là dell’evaporazione del disegno europeista, comunque si concluda la spartizione dei miliardi del Recovery Fund, e oltrepassando anche la fase del progressivo inasprimento dell’emergenza sanitaria e dei suoi relativi strascichi economici e sociali, il quadro globale sta registrando una crisi del “ciclo atlantico” (che pure, in Italia, forze molto consistenti desidererebbero riattivare nel suo pieno splendore di rapporto privilegiato con gli USA), un rafforzamento a dimensione egemonica della presenza commerciale della Cina (anche in Italia si sta guardando alla “via della seta”) di fortissimo rafforzamento militare della Russia (rafforzamento che fa crescere la vocazione “imperiale”), della presenza di pericolosissimi teatri di guerra nei quali l’Unione non riesce ad esprimere una propria incisiva presenza (si pensi alla spartizione della Libia tra Turchia e Russia).
L’incapacità di affrontare il tema della guerra inoltre sta alla base della questione, del tutto dirimente, dei migranti, e inoltre è dovuta alla guerra e al progressivo deperimento di ruolo delle organizzazioni internazionali la crescita di aree di sottosviluppo che causa l’assenza in grandi zone del mondo delle condizioni minime di vivibilità: zone del mondo soggette a meccanismi di spartizione del proprio minimo spazio vitale a causa di fondamentali presenze minerarie e di approvvigionamento energetico contese tra le grandi potenze in una evidente visione neo-coloniale.
Il tema rimane quello della possibilità di visione di un diverso modello di sviluppo da quello enormemente vorace di risorse e di territorio che ha caratterizzato il ‘900: secolo dal quale non siamo ancora usciti, nonostante l’illusione di progresso fornitoci dall’esplosione tecnologica.
Ho esposto confusamente ma sta in questo quadro una possibilità di rivisitazione di una identità politica di sinistra progressista e internazionalista sulla quale sarebbe pure necessario cominciare a riflettere.
Nelle conclusioni del suo fondamentale “Capitale e Ideologia” Thomas Piketty propone di affrontare la crisi che la sinistra sta attraversando di fronte all’aumento delle disuguaglianze attraverso un’originale elaborazione.
La proposta dell’economista francese è di partire da un progetto che presenti elementi di visione per un socialismo partecipativo e internazionalista.
Un progetto che prefigura una democrazia transnazionale su scala più ampia di quella europea.
Democrazia transnazionale oggi fondata su alcuni punti distintivi:
1) norme sulla tassazione dei profitti
2) regole per introdurre la libera circolazione delle persone
3) mutualizzazione dei finanziamenti nei servizi pubblici (con introduzione di elementi di fiscalità comune)
Lo scenario complessivo sarebbe quello di carattere cooperativo, in un nuovo quadro giuridico.
Secondo “Capitale e ideologia” andrebbe riformulato il passo del Manifesto del 1848 là dove si recita: “ La storia di ogni società è stata fino a oggi solo la storia della lotta di classe”.
Piketty nel suo testo corregge: “ La storia di ogni società è stata fino ad oggi solo la storia delle ideologie e della ricerca di giustizia”.
Obiettivo dichiarato di “Capitale e ideologia” sul piano politico: “Un movimento per un socialismo democratico di lotta alla disuguaglianza e di profonda trasformazione del sistema legale, sociale, fiscale”.
Appare fin troppo evidente come, pur nell’espressione di queste brevissime note, la ricostruzione di una sinistra (compresa quella socialdemocratica di Bernstein e della seconda internazionale) può essere portata avanti soltanto comprendendo appieno come le contraddizioni emergenti risultino allargate a un insieme di “fratture” (il cui catalogo andrebbe aggiornato rapidamente) a partire dall’ apparentemente insuperabile doppia condizione di sfruttamento nella diversità di genere e l’evidente conflitto tra condizione del territorio e sviluppo tecnico, scientifico, della produzione di merci.
Insieme di “fratture” non riconducibili esaustivamente alla sola “questione ecologica”.
Sotto quest’aspetto va ricordato il tema del rapporto tra politica e tecnica al riguardo del quale correnti filosofiche considerano ormai come avvenuta la riunificazione tra scienze, tecnica e politica all’interno dell’acquisita egemonia della tecnica e relativa delega all’algoritmo.
La sinistra è così chiamata al compito di ritrovare i termini della ribellione collettiva verso l’idea della “fine della storia”, della semplificazione delle contraddizioni sociali, della tecnica come espressione diretta dell’azione politica e, nella sostanza, del predominio dell’io come soggetto esaustivo dell’essere.
Io che si esprime ormai esclusivamente attraverso il web nella convinzione di esercitare il proprio diritto di parola nel quadro dell’idea dell’ “uno vale uno” esercitante la democrazia diretta.
Soltanto attraverso un recupero del rifiuto dell’idea di “fine della storia” che si potrà ricominciare a ragionare anche su temi come forma di governo, rappresentanza istituzionale, struttura dello Stato , sostanza della funzione extra – istituzionale della rappresentanza politica.
Temi sui quali si è accumulato un grande ritardo nella convinzione di una insuperabilità del modello liberaldemocratico.
Una presunzione di insuperabilità elaborata quando invece il sistema stava via via assumendo forme diverse di accentramento, separatezza, recupero di meccanismi di concentrazione del potere per via gerarchica, stabilendo così il formarsi/affermarsi di nuove oligarchie.
Si è trattato di fenomeni di “accentramento del potere” che vanno combattuti apertamente.
E’ necessario quindi ripensare al tema europeo in termini di “deficit democratico”.
Riflettere intorno alle questioni di carattere generale in una dimensione di questo tipo dovrebbe essere il compito di quegli intellettuali che non intendono ridurre il loro ruolo a quello di “maitre a penser” del potere e il tema dell’evidente fallimento europeo dovrebbe rappresentare un punto prioritario di questo lavoro, per il quale occorrerebbe una sede di dimensione collettiva caratterizzata da una precisa dimensione politica.
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