Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
giovedì 31 ottobre 2019
mercoledì 30 ottobre 2019
lunedì 28 ottobre 2019
Franco Astengo: Numeri dall'Umbria
NUMERI DALL’UMBRIA di Franco Astengo
Dal punto di vista dell’analisi dei dati assoluti, che rimangono quelli che ci consentono meglio di valutare il “trend” dell’orientamento politico complessi le regionali dell’Umbria del 27 ottobre hanno palesato una forte volatilità elettorale come del resto sta accadendo negli ultimi tempi in tutte le tornate che, a diversi livelli, si sono svolte nel nostro Paese.
L’analisi del voto umbro deve principiare con una precisazione molto importante: la partecipazione al voto è cresciuta soltanto nel confronto tra le due elezioni regionali 2015 e 2019.
Infatti, tra le politiche 2018, le europee 2019 e le regionali di domenica scorsa il numero dei voti espressi validamente è diminuito: si può quindi affermare che l’interesse degli umbri è salito al riguardo del loro voto regionale, ma non rispetto all’insieme della vicenda politica (anche rispetto alle elezioni europee che di norma risultano le meno partecipate).
Questi comunque i numeri relativi: 2019 regionali i voti espressi validamente per i candidati presidenti sono stati 443.343 (per le liste 417.877: quindi 26.466 suffragi sono stati destinati soltanto ai candidati Presidenti); nell’occasione delle elezioni europee 2019 i voti validamente espressi sono stati 449.074, quindi circa 6.000 in più rispetto alle regionali ma 62.185 in meno rispetto alle politiche 2018 quando furono espressi 511.259 voti validi. L’incremento tra regionali 2015 e regionali 2019 è stato di circa 70.000 voti validi passando da 373.673 a 443.343.
Affrontiamo adesso il tema della volatilità elettorale riguardante le liste, considerando impraticabile un raffronto tra le coalizioni da elezione regionale a elezione regionale non essendo presente, in questa tornata 2019, uno schieramento “classico” di centro sinistra per via della presenza del M5S (classificato “né di destra, né di sinistra) in alleanza con il PD “edizione ridotta” per via della scissione di “Italia Viva”. “Italia Viva” che nell’occasione ha assunto una posizione da “né aderire, né sabotare” (o forse maggiormente orientata verso il “sabotare”).
Di seguito l’andamento elettorale di PD, M5S, Lega tra le due elezioni regionali 2015 e 2019.
Nelle regionali 2015 il PD che candidava Catiuscia Marini poi ingloriosamente uscita di scena, ottenne 125.777 voti poi saliti a 126.856 nell’occasione delle politiche 2018 (da non tener conto dell’indicazione delle percentuali per via dell’incremento nel numero dei voti validi). Il PD accusa il colpo nelle europee 2019 scendendo a 107.687 voti (quasi 20.000 voti persi in 12 mesi) e completa (almeno per ora) il proprio arretramento attestandosi a 93.296 voti nelle regionali 2019 (più di 32.000 suffragi ceduti da un’elezione regionale all’altra). Da ricordare comunque come la presenza di una lista di appoggio al candidato Presidente Bianconi abbia avuto 16.833 voti, ricordando come nel 2015 la candidatura Marini non disponesse di una propria lista.
Nel quadriennio l’andamento elettorale fatto registrare dal M5S rappresenta emblematicamente quel fenomeno di volatilità elettorale cui si è accennato all’inizio.
Nelle regionali del 2015 il M5S aveva iniziato la sua resistibile ascesa con 51.203 voti saliti impetuosamente a 140.731 (90.000 voti in più) alle politiche 2018, ridiscesi a 65.718 (75.000 voti in meno) alle europee 2019 e assestandosi a 30.953 nell’occasione di domenica scorsa. Il saldo finale per il M5S da elezioni regionale a elezione regionale è stato quindi di un meno 20.250 suffragi, dopo essere passato per un incremento di quasi 3 volte il proprio risultato del 2015, appunto tra il 2015 e il 2018.
Il caso della presenza della Lega in Umbria sarà sicuramente oggetto di studio nei seminari riguardanti la storia delle elezioni in Italia.
La Lega nell’alleanza di centro destra che nelle regionali 2015 sosteneva la candidatura Ricci (poi sfortunato protagonista di un’avventura solitaria nell’occasione analoga del 2019) aveva ottenuto 49.203 voti (distanziando già largamente Forza Italia). Alle elezioni politiche del 2018 la Lega compiva un vero e proprio “balzo in avanti”con 103.056 voti (quasi doppiando Forza Italia). Tra le elezioni politiche 2018 e quelle europee 2019 l’incremento leghista è stato poi di quasi 40.000 voti salendo a 171.458 suffragi, massima ascesa perché nel 2019 alle regionali la Lega ha perso qualcosa scendendo a 154.413 voti, 17.000 voti in meno con relativo decremento percentuale dal 38,18% al 36,95%. Da notare però al riguardo dello schieramento di centrodestra la presenza di due liste, quella legata alla candidata (poi eletta) presidente Tesei e una lista civica che hanno assommato circa 25.000 voti.
La presenza delle liste locali ha sicuramente influito sul risultato di Forza Italia ridottasi al conseguimento di 22.991 voti: il ridimensionamento di Forza Italia in Umbria era già iniziato nel 2015 subendo un pesante distacco dalla Lega (nell’occasione del 2015 da ricordare la presenza di due liste locali che avevano assommato a circa 27.000 voti e di una lista “Umbria popolare” emanazione dell’UDC con 9.285 voti). Nelle elezioni politiche 2018 Forza Italia era comunque risalita a 57.368 suffragi per poi praticamente dimezzare nelle europee 2019 (28.828 voti) e perderne quasi altri 6.000 nelle regionali (22.991) superata anche da Fratelli d’Italia. Un indice di vero e proprio declino.
In costante ascesa, per contro, Fratelli d’Italia: la formazione di estrema destra aveva avuto, nelle regionali 2015, 21.931 voti saliti a 25.146 nelle politiche 2018 e ancora a 29.551 voti nelle europee 2019 fino a ottenerne 43.443 nelle regionali 2019: in pratica un raddoppio in cifra assoluta tra le due tornate regionali 2015 e 2019.
Prosegue invece una sorta di “sparizione” a sinistra .
Nelle elezioni regionali 2015 erano presenti nello schieramento di centrosinistra a sostegno della candidatura Marini una lista di socialisti riformisti (12.200 voti) e SEL (9.010 voti) oltre a una lista a sostegno della candidatura Vecchietti (Umbria per l’altra Europa) con 5.561 voti e il Partito Comunista dei lavoratori (candidatura Fabiani) con 1.662 voti.
Nelle elezioni politiche 2018 erano presenti: Liberi e Uguali con 15.215 voti, Potere al Popolo con 6.733 suffragi e il Partito Comunista facente capo a Marco Rizzo con 4.521 voti.
Elezioni europee 2019: “La sinistra” ottiene 9.427 voti, tornano in pista i Verdi con 7.846 suffragi e il Partito Comunista sale a 7.001 voti (Potere al Popolo non era presente nelle elezioni europee).
Elezioni regionali 2019: nello schieramento PD – M5S che sostiene la candidatura Bianconi sono presenti due liste, quella “Sinistra civica verde” con 6.727 voti e quella “Europa Verde Umbria” con 5.975. Il Partito Comunista scende a 4.108 voti perdendone circa 3.000 dalle europee ; mentre Potere al Popolo e il Partito Comunista (erede dei Comunisti italiani) sostengono la candidatura Camuzzi rispettivamente con 1.345 voti Potere al Popolo (oltre 5.000 voti in meno rispetto al 2018 dove nella lista era compresa anche Rifondazione Comunista) e 2.098 il PCI.
Per riassumere la situazione a sinistra si può dire che l’area Rifondazione – Sel poi Sinistra Italiana più i verdi sia passata da 14.571 voti alle regionali 2015, a 21.948 alle politiche 2018 (Liberi Uguali e Potere al Popolo che comprendeva Rifondazione Comunista) a 17.193 alle Europee 2019 (comprendendo la Sinistra e i Verdi e lasciando a parte i 7.001 voti del Partito Comunista, scendendo a 12.602 tra Sinistra Civica ed Europa Verde. 7.551 voti, infine, la somma tra Partito Comunista, PCI e Potere al Popolo (11.254 suffragi la somma tra Potere al Popolo e Partito Comunista nelle elezioni politiche 2018). Per quel che riguarda Partito Comunista e Potere al Popolo il calo complessivo può ben essere addebitato, oltre a fattori di carattere locale anche a un’assenza di disponibilità a mettere il proprio (pur piccolo) patrimonio di suffragi a disposizione di un progetto politico più ampio.
Scusandomi di essere stato costretto dal fenomeno della crescente volatilità elettorale, ad analisi svolte con riferimenti che possono essere giudicati impropri dal punto di vista del confronto fra tornate elettorali diverse quindi senza rispettare la regola della comparazione tra elezioni analoghe, si possono evidenziare questi elementi di fondo:
1) Le elezioni regionali dell’Umbria hanno fatto registrare un incremento nella partecipazione al voto soltanto al riguardo delle percentuali di elettrici ed elettori espressisi nelle precedenti regionali 2015. La partecipazione invece è risultata in calo non soltanto (come avviene fisiologicamente ) con le politiche 2018 ma anche nel confronto con le europee 2019;
2) Il fatto più rilevante di questa tornata elettorale è stato sicuramente rappresentato dalla caduta del M5S che sta ormai verticalmente inabissandosi. Trattandosi, in questo caso, di voto pressoché esclusivamente d’opinione (se non di “scambio” a livello di massa come avvenuto nelle politiche 2018 attorno all’idea del reddito di cittadinanza) è difficile pensare a un fenomeno limitato regionalmente e ristretto al perimetro umbro;
3) La Lega conferma la propria egemonia sul centro destra che sempre più assume caratteristiche di vera e propria “destra” nei contenuti e nella composizione politica. A questo punto lo schieramento presentato in Umbria sarà confermato in successive occasioni, prima fra tutte l’Emilia Romagna. Le elezioni emiliane potrebbero anche rappresentare la prova generale delle politiche.
4) Sul risultato del PD ha sicuramente inciso la “vicenda Marini” ma soprattutto si tratta di un risultato “in sospeso” almeno dal punto di vista elettorale, in attesa di saggiare la consistenza di “Italia Viva” e soprattutto conoscere quale sarà il principale bacino di riferimento, tra il PD e Forza Italia, del nuovo partito di Renzi. L’impressione, infatti, è che Forza Italia abbia già ceduto a destra gran parte di quello che c’era da cedere.
sabato 26 ottobre 2019
venerdì 25 ottobre 2019
Franco Astengo: Programmazione
PROGRAMMAZIONE di Franco Astengo
Scrive Massimo Giannini su “Repubblica”: Dobbiamo saperlo. Dopo gli americani di Whrilpool, se ne andranno anche gli indo-francesi di Arcelor Mittal. E sarà un’altra disfatta, per l’Italia e per il lavoro. Dagli orizzonti sinergici della “Smart Nation”, che Giuseppe Conte sognava il 9 settembre nel suo discorso di insediamento alla Camera. Scomparirà anche l’Ilva”.
Siamo di fronte all’ennesimo passaggio nella lunga storia dell’apparentemente irreversibile declino dell’Italia dei settori fondamentali nella produzione industriale.
Si tratta del segno tangibile della difficoltà emergente ad affrontare i punti decisivi di una vera e propria “crisi dello sviluppo” e non semplicemente di una “crisi nello sviluppo”.
A fronte di una complessità del mercato internazionale che presenta fortissimi squilibri strutturali anche da parte di quei paesi che si ritenevano emergenti e che avrebbero dovuto funzionare da nuovi riferimenti complessivi il quadro generale di riferimento, oggi è tracciato, da un lato dalla strategia dei dazi da parte degli USA e dalla continuità almeno fin qui mantenuta delle regole di “austerità” dettate dall’UE.
Si tratta di fattori che ci richiamano a una necessità di un livello strategico tale attraverso il quale fronteggiare questa fase di fuoriuscita dallo schema della cosiddetta “globalizzazione” così come questo fenomeno si era evidenziato a livello planetario nel primo decennio del XXI secolo.
L’Europa subisce, forse più di altre parti del mondo, l’impatto di questo stato di cose e si trova di fronte alla contesa tra identità e globalismo (ben oltre il tema dei migranti, dominante soltanto per i media e sul piano propagandistico per l’ultradestra sovranista).
Intanto, mentre si verificano imponenti spostamenti di capitale, la condizione materiale dei lavoratori peggiora e la situazione economica complessiva dell’Unione Europea appare in una situazione di arretramento complessivo che principia a mordere anche in quelli che si consideravano “punti alti” come la Germania.
Un arretramento sicuramente non certificabile attraverso le percentuali di crescita o di decrescita del PIL dei rispettivi Paesi
L’Italia si trova in una situazione d’incapacità di difesa del proprio residuo patrimonio economico soprattutto perché si trova di fronte ad uno specifico intreccio perverso tra politica ed economia che ha finito con il paralizzare scelte di fondo che sarebbero state necessarie, soprattutto dal punto di vista dell’intervento del pubblico sia sul piano degli investimenti che della gestione.
Il quadro complessivo appare di grave insufficienza anche dal punto di vista della realtà finanziaria e delle infrastrutture.
Il tessuto produttivo nazionale attraversa, da anni, una crisi strutturale che condiziona l'economia del Paese e non si è mai riusciti a varare una sintesi di programmazione economica, all'interno della quale potesse emergere la capacità di selezionare poche ed efficaci misure, in grado di incrociare la domanda di beni e servizi e promuovere una produzione di medio e lungo periodo.
Appaiono, inoltre, in forte difficoltà anche gli strumenti di rapporto tra uso del territorio e struttura produttiva; strumenti ideati nel corso degli ultimi vent'anni allo scopo di favorire crescita e sviluppo: il caso dei distretti industriali, appare il più evidente a questo proposito.
Da più parti si sottolinea, giustamente, il deficit d’innovazione e di ricerca.
Ebbene, è proprio su questo punto che appare necessario rivedere il concetto d’intervento pubblico in economia: un concetto che, forse, richiama tempi andati, di gestioni disastrose e di operazioni “madri di tutte le tangenti”.
Oggi si tratta di riconsiderare l'idea dell'intervento pubblico in economia; non basta (anzi appare pericolosa) l’idea di usare la CDP come salvadanaio per acquisire quote di società già pubbliche poi privatizzate e adesso in totale dissesto (una strategia tipo EGAM tanto per intenderci).
Si evidenzia così un’assoluta mancanza di strategia.
Mentre il mercato internazionale si stava specializzando nei beni d’investimento e intermedi con alti tassi di crescita attraverso la forte spinta dei signori dell’innovazione e una forte spinta al decentramento, l'Italia rimaneva ferma sui beni di consumo con bassi tassi di crescita in un quadro di sostanziale provincialismo produttivo.
Nel 1990 (queste le responsabilità politiche vere del pentapartito ben oltre l’aver ricoperto il ruolo di matrice di Tangentopoli e aver sottoscritto Maastricht con leggerezza) i paesi europei erano in condizione di debolezza e tutti, tranne Portogallo, Grecia, e Italia, hanno modificato le proprie capacità tecnico – scientifiche diffuse, al fine di agganciare il mercato internazionale.
Non a caso i Paesi europei hanno usufruito di una dotazione tecnologica, costruita anche grazie al supporto e all'intervento diretto del settore pubblico ed è questo è stato il vero elemento di squilibrio all’interno dell’UE mentre l'Italia è rimasta al palo nel campo dell'innovazione rinunciando anche allo sviluppo di segmenti alti del mercato del lavoro, nell'informatica, nell'elettronica, nella chimica, addirittura nell’agroalimentare.
Queste sono state le responsabilità dirette e comuni di quanti si sono avvicendati alla guida del Paese dal 1992 in avanti: centro – destra, centro – sinistra, tecnici, larghe e piccole intese, giallo verdi e giallo rossi.
Abbiamo verificato il determinarsi di una vera e propria involuzione del sistema.
Abbiamo bisogno, invece, di programmazione e di capacità di gestione verso i soggetti capaci di generare innovazione: l'Università, in primis, l'Enea, il CNR, le grandi utilities, le infrastrutture.
Si tratta di rilanciare un intervento pubblico in economia in grado di stabilire criteri vincolanti di collaborazione anche con imprese miste, nel cui quadro interventi di finanziamento siano collegati alla generazione di processi di alta ricaduta industriale e al perseguimento di precisi obiettivi di crescita occupazionale, nei settori avanzati e non tradizionali.
Si sta delineando un processo lungo e difficile, il cui presupposto dovrebbe essere quello di non affidarsi semplicemente al mercato e ai suoi meccanismi.
Deve emergere una capacità di previsione da parte dell’intervento pubblico, sia sotto l'aspetto della programmazione, che della correzione degli indirizzi generali: ed è questo che è mancato e continua a mancare da parte dei soggetti politici.
E’ assente ormai da tempo la capacità di direzione politica dell’economia e non bastano le grida dei sovranisti che affidano tutte le responsabilità a Bruxelles (l’Europa impostata sul monetarismo sicuramente ha svolto un ruolo negativo, però si tratta – per capire – di scavare molto più a fondo).
L’idea dell’intervento pubblico, della programmazione, della gestione pubblica dei settori strategici si pone dunque naturalmente, come accennato all’inizio, in diretta relazione con il quadro internazionale e – in specifico – con il ruolo dell’Italia nell’Unione Europea ma presenta anche aspetti di indirizzo della politica nazionale da parte del Governo, del Parlamento, delle Regioni (quest’ultime ormai hanno abdicato riducendosi a Enti esclusivamente votati alla nomina e alla spesa, fallendo in settori fondamentali come la sanità e i trasporti).
Sarebbe il caso di discuterne sul serio, fuori dalle improvvisazioni e dai propagandismi.
giovedì 24 ottobre 2019
mercoledì 23 ottobre 2019
Tsunami anti-sovranista in Svizzera, dove avanza il Verde - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
martedì 22 ottobre 2019
Intervista a Luis Sepulveda: «Fa rabbia il ritorno a tempi che credevamo superati» - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
Franco Astengo: Cile
PAURA DAL CILE di Franco Astengo
Notizie dal Cile:
“Le proteste erano iniziate a causa di un aumento del costo dei biglietti dei trasporti pubblici ma, nonostante il ritiro del provvedimento da parte del governo di Sebastián Piñera, la protesta non si è fermata e anzi si è allargata nonostante il coprifuoco decretato nel fine settimana. La gente è obbligata a restare in casa e non potrà uscire dalle 9 di sera alle 7 del mattino. Chi sarà costretto a farlo dovrà avere un’autorizzazione speciale. Le strade e le piazze della capitale sono già presidiate dai carri armati e dai blindati dei militari che controllano il rispetto della misura.”.
In Cile la ribellione di un popolo impoverito sta precipitando dentro a una repressione violenta che, per la prima volta dalla fine della dittatura di Pinochet, vede protagonista l’esercito tornato sulle strade e sulle piazze per affermare il potere di chi intende prima di tutto sconfiggere la democrazia.
Per noi che abbiamo vissuto la tragica stagione del ’73 queste immagini ci fanno tornare pericolosamente all’indietro: per il mondo si tratta di un segnale, l’ennesimo, di grande pericolo per la libertà di tutti.
Il Sud America sta affondando, in alcune delle sue parti decisive, nel grande mare della corruzione liberista in un delirio di insopportabile ingiustizia e disuguaglianza sociale.
In realtà il ripresentarsi sulla scena del dispotismo esercitato da una destra sempre più estrema si accompagna al ritorno della guerra come rischio globale, al riperpetuarsi dei sovranismi, alla crescita delle sollevazioni delle “piccole patrie”: emerge un pericoloso “disordine” geo politico che si sta realizzando in una fase che sembra quella conclusiva di quel ciclo che, dagli anni’90 del XX secolo, avevamo definito come “globalizzazione”.
Probabilmente all’interno di questa crisi è stata trascurata l’analisi di alcuni elementi: primo fra tutti quello riguardanti le difficoltà incombenti sulle democrazie liberali in coincidenza con la caduta, in Europa, dei regimi a cosiddetta “rivoluzione avvenuta”; in secondo luogo lo smarrimento di una soggettività internazionalista posta sul piano della difesa della pace e dei diritti dei popoli; si è pensato a un processo troppo rapido di cessione di sovranità da parte dello “stato nazione”; ancora è stata sottovalutata la ripresa di una logica di tipo colonialista esercitata soprattutto verso l’Africa, le cui condizioni demografiche, di mancato sviluppo energetico e tecnologico, di conflitto endemico, hanno influito fortemente sullo stato globale del pianeta.
Anche il tema ambientale, oggi agitato con grande forza, deve essere inquadrato non come nuova contraddizione esaustivamente globale ma all’interno di un più complessivo tema politico, del quale si è mancato nel tracciare alcune possibili coordinate di riferimento.
Quale segnale ci arriva, allora, dal ritorno in piazza dei cileni e dal fatto che la risposta del governo arriva attraverso i carri armati?
Il Cile appare, infatti, come punto emblematico di quel discorso sull’arretramento storico e sull’impoverimento generale che sembra caratterizzare – appunto – la fine del ciclo della globalizzazione.
Si sta definendo un quadro geo politico caratterizzato da scenari inediti sul piano delle intese a livello planetario: interi continenti sono staccati da una possibilità di sviluppo delle forze produttive; siamo a una sindrome isolazionista da parte di grandi potenze all’interno delle quali si avviluppa la spirale del corporativismo mentre crescono anche nel “primo mondo” molteplici forme di povertà e di privazione del futuro.
Sembra chiudersi anche il cosiddetto “ciclo atlantico” che aveva caratterizzato la lunga fase del post seconda guerra mondiale che forse, anch’essa, si conclude proprio adesso per dar vita a una fase di transizione imprevedibile nelle dinamiche e, conseguentemente, negli esiti.
domenica 20 ottobre 2019
Intervista all’avvocato Besostri. Le ragioni del No al taglio dei parlamentari e la richiesta di referendum. Serve una legge elettorale proporzionale pura. Conferenza stampa alla Camera | Jobsnews.it
sabato 19 ottobre 2019
venerdì 18 ottobre 2019
mercoledì 16 ottobre 2019
L’economia sommersa evade 192 miliardi l’anno, quanto sei leggi di bilancio - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
martedì 15 ottobre 2019
Nobel per l’Economia a Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer, tre economisti specializzati nella ricerca sul campo della lotta alla povertà | Jobsnews.it
lunedì 14 ottobre 2019
Il lungo tradimento americano (ed europeo, e italiano) dei curdi - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
domenica 13 ottobre 2019
Franco Astengo: Nota costituente
NOTA COSTITUENTE di Franco Astengo
Può essere giudicata sostanzialmente deludente l’intervista rilasciata da Nicola Fratoianni al “Manifesto”, al riguardo dell’avvio congressuale di Sinistra Italiana.
Una delusione che deriva non tanto e non solo dal passaggio relativo alla politica delle alleanze laddove si prefigura una sorta di decisione unilaterale di alleanza con il PD senza stabilire alcuna coordinata d’identità autonoma del soggetto che il segretario uscente di Sinistra Italiana attualmente rappresenta.
Il giudizio di delusione non deriva neppure dal non aver affrontato, almeno nel corso dell’intervista, la natura di fondo del M5S che s’intende – invece – in una qualche misura obliare pensando a una conversione a colpi di “ecosocialismo”all’interno di un piano stabile di rapporti di governo tendenti a trasformarsi in piattaforma per un nuovo blocco politico.
Sono almeno tre, invece, i punti sui quali sarebbe stato necessario prestare attenzione e che meriterebbero l’apertura di uno specifico confronto in un ambito molto più ampio di quello descritto da Fratoianni:
1) Lasciamo stare per adesso le forze ecologiste al riguardo delle quali il discorso è diverso e molto complesso. Allora andiamo per ordine: la crisi delle forze di sinistra, in Italia, non deriva – come affermato molto semplicisticamente – dalla frammentazione bensì dall’assenza di soggettività. Un’assenza di soggettività che pone il problema dell’identità e dell’autonomia (soltanto da un’affermazione di autonomia politica può derivare un’efficace politica delle alleanze). Una soggettività che si può recuperare lanciando da subito una fase costituente fondata su di una precisa visione dell’agire politico che funzioni da fattore aggregante e stabilisca le coordinate per un’egemonia di pensiero e di contenuti. Una fase costituente della sinistra che sia capace di offrire una visione molto diversa da quella del PD (fondata su primarie e vocazione maggioritaria) e opposta a quella del M5S (fondata sull’affermazione della “democrazia diretta” in gran parte agita attraverso il web). La fase costituente potrebbe essere basata su di una visione di “Sinistra Costituzionale” che nel ruolo dei consessi elettivi e nel rapporto tra questi e la forma di governo trova il suo punto comune di identità, superando divisioni storiche (com’è nel caso della proposta del dialogo “Gramsci/Matteotti) e la sua ragione di affermazione.
2) E’ limitativo affermare che “siamo in una fase politica del tutto nuova, impensabile fino a qualche tempo fa, il cui esito è aperto”. Ci troviamo ben oltre le novità della fase politica. Siamo al centro di un ciclo storico che richiede l’approntamento di strumenti teorici affatto diversi anche rispetto a quelli usati nel recente passato. Emergono alcune questioni che restano tutte da affrontare: siamo di fronte alla necessità di ricostruire il quadro a suo tempo delineato dalla “teoria delle fratture” e del collegamento tra “cleavages” materialisti e “cleavages” post – materialisti; si è fortemente modificato il rapporto tra struttura e sovrastruttura in una fase di crescita distruttiva dello sfruttamento a tutti i livelli (prima di tutto lo sfruttamento di genere e di territorio) e di aumento delle disuguaglianze a livello planetario. Temi che non potranno essere affrontati semplicemente attraverso un rispolvero di verde della socialdemocrazia classica;
3) Dal punto di vista dell’esercizio della politica qualche giorno fa ha riassunto molto bene lo stato di cose in atto l’ex – presidente francese Giscard d’Estaing: un tempo la politica era fondata sulla cultura oggi sulla comunicazione. Si direbbe “apparire piuttosto che essere” (usando un linguaggio d’antan) oppure constatare il passaggio ormai affermato dalla “democrazia del pubblico” alla “democrazia recitativa” con tutti i rischi che ne conseguono. Porsi sul piano di un riequilibrio da questo punto di vista, tentando di non rimanere schiacciati da una “modernità negativa” rappresenterebbero un altro punto di riflessione.
Quelli fin qui indicati rappresentano soltanto alcuni sommari punti di analisi sulla base dei quali potrebbe ancora essere affermata un’autonoma identità della sinistra italiana considerata come erede della nostra grande tradizione storica e capace di affrontare le contraddizioni sistemiche che stanno caratterizzando la fase.
Sarebbe utile non pensare semplicemente alle diplomazie da esercitarsi all’interno dell’esistente, ma di superare con slancio una serie di barriere che indubbiamente esistono lanciando una vera e propria “fase costituente” tesa a un recupero di soggettività per una sinistra che guardi al quadro politico con la propria identità e autonomia attraverso una capacità di espressione di un “pensiero lungo”.
sabato 12 ottobre 2019
venerdì 11 ottobre 2019
Rojava sotto attacco turco dopo il tradimento americano - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
giovedì 10 ottobre 2019
mercoledì 9 ottobre 2019
martedì 8 ottobre 2019
Franco Astengo: Democrazia
DEMOCRAZIA di Franco Astengo
La riduzione nel numero dei parlamentari accompagnata da vaghe indicazioni su di una nuova legge elettorale (la quarta in 14 anni, compreso l’Italikum mai utilizzato) e da altre modifiche, sia di rango regolamentare sia costituzionale, rappresenta emblematicamente un punto d’arrivo (ancorché probabilmente provvisorio) dell’esplicitazione retorica dell’anticostituzionalismo e dell’antiparlamento.
Quella retorica che ha consentito a soggetti sovranisti e populisti di raccogliere facile consenso fino a insediarsi, pericolosamente sottovalutati, nei gangli del potere.
Ha torto Stefano Ceccanti, inventore del disgraziato slogan sulla “vocazione maggioritaria”, a concordare sul taglio dei parlamentari in nome di una presunta contrarietà a questa espressione di retorica che abbiamo appena descritto, accontentandosi con una buona dose di presunta ingenuità di non meglio precisate “garanzie costituzionali”.
Sul piano teorico non c’è nulla da fare: questo mutamento nella composizione delle Camere in Italia assume assolutamente il significato dell’antiparlamento e, in particolare, del tipo di forma di rappresentanza politica e di rapporto tra questa e il governo come intesa dalla Costituzione Repubblicana.
Un fenomeno che oltrepassa sicuramente il nostro piccolo orticello rappresentato da un Paese sempre più alla periferia dell’Impero.
Anticostituzionalismo, antiparlamento, vocazione maggioritaria, democrazia diretta, uso del web per l’aggregazione e la decisionalità politica: è’ evidente che si tratta di fenomeni sui quali approfondire riflessione e dibattito anche perché usati, nella politica nostrana, con sorprendente approssimazione e faciloneria e causa di clamorosi fraintendimenti in particolare sul terreno della costruzione di pericolosi e sostanzialmente illusori meccanismi sostitutivi della democrazia repubblicana.
Fenomeni che stanno alla base del pericolosissimo concetto della disintermediazione che, per restare in Italia, fa parte di una buona quota della propaganda del M5S ed è stato parte integrante di quello che fu del PD (R), poi respinto con il referendum del dicembre 2016.
Pare proprio che, alla fine, il confronto sui temi istituzionali e della forma di governo si sia spostato tra una teoria dell’intermediazione elitista (strutture portanti i partiti fondati sulla legge ferrea dell’oligarchia e le assemblee elettive proporzionalmente rappresentative di queste élite all’interno delle quali si verifica lo scambio del potere) e una visione dell’immediatezza di una democrazia diretta fondata sulla verticalizzazione del potere personalizzato, tagliando fuori quella che era l’antica visione pluralista.
Attenzione: verticalizzazione del potere, ripetiamo “ad abundantiam” che contiene in sé gli elementi di inedite forme di controllo non semplicemente “sociali” (com’era un tempo) ma “personali”.
Sorge forse da qui la crisi della democrazia liberale: sono anche palesi gli interrogativi che ne sorgono in sistemi sempre più sprovvisti di un consenso di base e con una partecipazione elettorale in picchiata di partecipazione.
Intendendo beninteso la partecipazione elettorale quale base minima per verificare il concorso collettivo alla cosa pubblica (e non di più, senza affidare al voto alcunché di salvifico di per sé).
Forse sarebbe il caso di tirare diritto e di proseguire nel proporre un agire politico fondato sugli antichi strumenti del partito a integrazione di massa e del Parlamento rappresentativo delle principali sensibilità politiche (“Specchio del Paese”) e di un governo che si forma in quella sede.
Ma quest’ultima è soltanto un’opinione espressa da chi ha vissuto davvero un’altra epoca.
Quel che è certo che la crisi della democrazia rappresentativa come “fine della politica” non appare più, come si pensava un tempo, un’ipotesi – limite da evocare alla stregua di una provocazione speculativa.
Sembra proprio che abbiamo ormai perduto la capacità di indagare sul variare delle “forme”, dei soggetti, dei luoghi della politica nel contesto della post – modernità dell’Occidente dominata ormai dalla relazione tecnica /vita e di conseguenza tecnica / politica nella logica del superamento definitivo del confronto delle idee.
Siamo pigri nel cercare di capire cosa ha resistito e cosa è completamente deperito dei tradizionali dispositivi teorici davanti ai mutamenti che hanno sconvolto le figure più familiari dell’analisi politica e sociologica.
Una pigrizia che ha portato, ad esempio, a decretare anzitempo la fine dei due soggetti portanti nell’analisi politica del ‘900: le classi e lo Stato Nazionale.
Abbiamo ceduto al mito della “società complessa” arrendendoci all’apparente primato della “governabilità” senza vedere quanto restava di ancorato nella società di sopraffazione e sfruttamento del lavoro, dell’ambiente, di genere.
Si sono così determinate le basi di quello che dobbiamo continuare a definire come “arretramento storico”.
Si sta tentando di imporre una verticalizzazione del potere incontrollato da una sorta di autonomia della “società orizzontale”: un nuovo feudalesimo tecnologico basato su di un impianto esclusivamente individualistico fondato sulla riduzione drastica della rappresentanza politica.
Una riflessione in questo senso potrebbe rappresentare anche un primo punto d’inversione di tendenza rispetto all’annunciato declino della democrazia.
Si potrebbe cercare di ripartire analizzando quelle che, parafrasando Rosmini, potremmo definire”le sette piaghe della modernità”: guerre, carestie, malattie, choc climatici, la crisi dell’umanità in fuga, sottrazione delle forme codificate di controllo del potere da parte della base sociale, nuovo feudalesimo basato sul rifugio individualistico nell’uso della tecnologia.
Un’analisi che dovrebbe però condurre a una definizione di nuova prospettiva alternativa al presente e rivolta al futuro.
Portogallo, il voto premia le sinistre. Al via il Costa bis - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
lunedì 7 ottobre 2019
Franco Astengo: Numeri dal Portogallo
NUMERI DAL PORTOGALLO di Franco Astengo
Alcune prime considerazioni sparse sull’esito del voto portoghese svolte attraverso un raffronto tra le cifre assolute.
La comparazione è stata svolta direttamente tra i risultati delle elezioni del 2015 e quelle del 2019 senza registrare il passaggio verificatosi con le elezioni europee del 2018 nelle quali la partecipazione si era abbassata al punto da rendere poco significative le cifre relative: si era scesi, infatti, da 5 milioni circa di voti validi a più o meno 3 milioni.
Domenica 6 ottobre la presenza ai seggi è risalita ma abbiamo verificato il confermarsi di una tendenza alla crescita dell’astensione.
Il 4 ottobre 2015, infatti, nelle urne dei seggi portoghesi erano stati depositati 5.206.410 voti validi: quattro anni dopo i suffragi regolarmente espressi sono stati 4.858.332, con un calo di 348.078 unità.
In questo quadro risalta ancora di più il successo del Partito Socialista cresciuto da 1.747.685 suffragi a 1.866.407 quindi un incremento reale nei consensi quantificato da 119.722 voti in più.
Netta la sconfitta dell’opposizione di centrodestra che arretra cedendo voti in più direzioni: verso i socialisti, verso gli ecologisti moderati di PAN e verso l’astensione.
Nelle elezioni del 2015 lo PSD e la CDS – PP si erano presentati uniti conseguendo la maggioranza relativa con 2.086.165 voti. Nel 2019 le due liste si sono presentate separate realizzando il PSDF 1.637.001 voto e il CDS – PP 216.448 suffragi per un totale del centro destra di 1.637.001 voti con una flessione in cifra assoluta di 449.758 suffragi. Una sconfitta molto netta.
Vediamo allora il comportamento degli alleati di governo del Partito Socialista.
Verifichiamo il presentarsi di un fenomeno di rafforzamento del più forte partito della coalizione: infatti, sia il Blocco di Sinistra sia la Coalizione Democratica comprendente i comunisti (entrambi i gruppi al Parlamento Europeo aderiscono al GUE) arretrano.
Il Blocco di sinistra perde 48.405 voti (dal 550.492 a 492.487) la Coalizione democratica flette di 116.793 unità (dal 445.980 a 329.117). Complessivamente l’area di governo cede 35.476 voti affermandosi così sempre più evidente l’egemonia del Partito Socialista che non raggiunge però la maggioranza assoluta.
Gli ecologisti moderati del PAN (al Parlamento Europeo aderiscono all’ALDE) incrementano notevolmente il loro numero di voti (si parla di “effetto” Greta: anche se in realtà rispetto alle Europee il PAN ha perduta circa 2.000 voti): in ogni caso da elezione politica a elezione politica l’incremento è stato di 91.714 voti (da 75.140 voti a 166.854 voti).
Incremento complessivo anche per tutti i partiti e raggruppamenti che non hanno superato la soglia per accedere al Parlamento (monocamerale. 230 seggi. Nelle circoscrizioni utilizzo del metodo d’Hondt con liste bloccate): da 300.548 voti a 366.466 quindi 65.918 voti in più.
In conclusione si può affermare:
1) Crescita dell’astensione rispetto alle elezioni politiche precedenti;
2) Affermazione della principale lista, il Partito Socialista, esponente del governo. Successo ottenuto anche ai danni dei propri partner nella maggioranza, oltre che dell’opposizione di centro destra.
3) Modesta volatilità elettorale ma crescita dell’indice di dispersione (sistema non solidissimo che presto potrebbe essere esposto a sollecitazioni sociali).
domenica 6 ottobre 2019
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mercoledì 2 ottobre 2019
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