martedì 7 maggio 2019

Franco Astengo: Cultura e politica

Come si può rispondere al sottotitolo della prima pagina del Manifesto del 7 maggio: “La presenza tra gli stand di Torino di un editore dichiaratamente fascista ha portato autrici e autori a dividersi se sia giusto o meno partecipare e in che forma. Ma essere messa in discussione è la presunta egemonia della sinistra nella produzione culturale italiana”? Due soli spunti di riflessione nel merito: la vicenda riguardante il Salone di Torino si inquadra nell’evidente presenza fascista ormai rampante. Ho semplificato la descrizione per renderla più chiara e per insistere su di un punto a mio giudizio assolutamente cruciale. Stiamo sottovalutando il fenomeno fascista sia dal punto di vista delle posizioni politiche sia nella mancanza di avvertimento dell’umore di fondo che ci arriva da un insieme di comportamenti quotidiani da parte di ampie fasce di popolazione. Comportamenti che sì fanno davvero “egemonia”. In secondo luogo il Manifesto fa bene a scrivere di “presunta egemonia della sinistra” nel campo della produzione culturale. Come possiamo pensare, infatti, all’esercizio di un’egemonia nella produzione culturale essendo la sinistra priva di una qualche minima strutturazione politica in grado di essere presente nel vivo della quotidianità, della capacità di informare i modelli di vita, di indicare un rapporto tra la realtà e l’agire politico? Non è certo il caso di tirare in ballo Gramsci come pure potrebbe essere opportuno ma di guardare in faccia la verità: senza soggettività politica non può esserci espressione culturale se non da parte di un’élite ristretta e quasi autoreferenziale, del tutto immersa nel seguire le mode correnti.

1 commento:

felice ha detto...

Si ma dobbiamo riflettere se ci sia un modello unico sperimentato e collaudato di esprimere una soggettività politic: il Partito. Io non ne sono più convinto anche se i partiti di quando mi sono iscritto io al PSI nel 1961 erano ancora luoghi di formazione politica. Come giovane socialista ho dovuto frequentare il corso di giovani amministratori locali, di giovani sindacalisti e giovani cooperatori. In quegli anni, che hanno preceduto la scissione dello PSIUP del 1964, la formazione era anche ideologica. Molto lacerante per uno come me bassian/luxemburghiano ideologicamente ma autonomista e favorevole al centro-sinistra come fase politicamente necessaria. Mi ha salvato la passione per la politica internazionale ( così ho imparatole lingue straniere) e il contatto stretto, essendomi laureato in diritto costituzionale tedesco federale influenzato da Wolfgang Abendroth ( figura prominente del circolo dei marxisti nella SPD) ma anche per essere stato messo in minoranza da craxiani milanesi per la guida della FGSI milanese, che allora aveva circa 2.000 iscritti, così mi son laureato in diritto costituzionale e ho cominciato a fare l'avvocato innamorato della Costituzione. I partiti non hanno anticorpi forti per impedire gli errori, ma persino la degenerazione dei gruppi dirigenti. Forse potrebbero avere un altro destino partiti diversi dagli attuali, con struttura democratica, non solo formalmente nello Statuto ma come costume quotidiano di ciascuno e di tutti. Quelle formazioni politiche che ho sperimentato dopo aver lasciato il PSI nel 1992 non erano democratiche. Se non sei democratico non puoi essere socialista. Al momento l'unica novità a sinistra potrebbe essere l'unità sindacale rilanciata da Landini, ma dando attuazione all'art. 39 Cost.. Le mie idee son pronto a cambiarle ma dove sono i luoghi dei confronto ravvicinato? Sto riflettendo su Gramsci Matteotti ed il Tuo schema. Penso sia necessario un incontro personale.