martedì 3 ottobre 2017

Paolo Bagnoli: Apprendere dalla lezione tedesca

apprendere dalla lezione tedesca paolo bagnoli Da Non Mollare Era naturale che l’esito delle elezioni tedesche fosse atteso con particolare trepidazione. Le interpretazioni che di esso sono state date oramai si sprecano, ma in fondo, a ben vedere, se terremoto è stato, esso era in qualche modo nell’aria compresa la frana più grande e preoccupante: vale a dire, quella dei socialdemocratici che rischia, se non vengono prese iniziative strategiche di peso, di divenire strutturale. Certo che l’entrata in Parlamento della destra nazionalista e xenofoba è un dato più che preoccupante, ma se di populismo si tratta, come tutti dicono, la politica democratica è nelle condizioni di piegarla. Crediamo che possa trattarsi di un episodio grave e inquietante considerata la storia della Germania; ma solo di un episodio la cui soluzione non si può rimandare in toto e in esclusiva all’Europa perché, per prima, alla prova è messa la Germania stessa. Essa, da grande democrazia quale è, non può più avere timori nel fare i conti con se stessa; quei conti che con la riunificazione andavano reimpostati e riaggrediti. La Spd è, di par suo, messa a una prova vera e dura. Il cambio del leader alla soglia delle elezioni ha dimostrato che gli uomini politici pesano se hanno delle idee e netti profili identitari. Non ci sembra, sinceramente, che Martin Schulz avesse nemmeno uno di questi requisiti. Aveva di sicuro un sogno: diventare cancelliere invertendo i ruoli fino ad oggi ricoperti dal suo partito e dalla Cdu e, quindi, continuare nella grande coalizione, ma con la Spd sopra e la Cdu sotto. In politica tutto è possibile, ma il sogno era solo l’anticamera dell’incubo. L’annunciato passaggio all’opposizione è una scelta obbligata. Come tale, in sé e per sé, non ha niente di strategico. Qualcuno ha scritto che ora occorre una Bad Godesberg all’incontrario; se certo non è riproponibile una Spd prima di Bad Godesberg è vero che, con quella svolta, la socialdemocrazia tedesca segnò un orizzonte strategico che, senza nulla perdere della propria grandezza, la portò ad essere un forte soggetto di governo. Ma mentre a Bad Godesberg la Spd lasciava un profilo, ne usciva però subito con un altro dopo aver fatto i conti il ruolo che deve avere una forza socialista la quale, naturalmente, può cambiare con il trascorrere delle stagioni della storia senza alterare la propria funzione. Il tratto caratterizzante quel nuovo profilo era che il cambio non implicava subalternità culturale ne di soggettività sociale; di conseguenza, si poteva dialogare e collaborare con le forze democratiche antagoniste rimanendo se stessi, marcando in maniera politicamente forte il proprio ruolo socialista. Tutto questo è andato perso e l’Spd ha dovuto amaramente riconoscere di non essere più il “partito del popolo”. Essa ha pagato la subalternità alla Merkel, all’ala moderata del Paese, ha scontato pure la blairizzazione causata dal cancellierato di Gerhard Schroder tra il 1998 e il 2005 che aveva addirittura ribattezzato il partito “neue mitte” – nuovo centro – e poi abbiamo scoperto che, per lui, il centro vero stava a Mosca! Il blairismo ha fatto al socialismo europeo danni storici, ma come dimostra Jeremy Corbyn basta fare i socialisti per far rinascere il socialismo. Se ce ne fosse uno in ogni Paese il socialismo non sarebbe ridotto così come lo è adesso anche se in Italia il Corbyn di turno dovrebbe essere capace di realizzare addirittura una resurrezione. Intendiamoci non è che a livello amministrativo di governo i socialdemocratici tedeschi siano rimasti inoperosi; anzi, su alcune questioni di grande rilevanza – salario minimo, abbassamento dell’età pensionistica, fondi per la scuola, agevolazioni per le famiglie – hanno ottenuto risultati che vanno a loro merito, ma ciò non è valso a impedirne la caduta. La ragione è molto semplice: il buon governo non basta a connotare l’identità socialista perché il socialismo è trasformazione profonda della società; mutazione continua verso nuovi livelli di società democratica unendo la mobilitazione sociale all’azione politica. Il socialismo è un progetto di società e di rapporti sociali, 7 nonmollare quindicinale post azionista | 006 | 02 ottobre 2017 _______________________________________________________________________________________ economici e politici. Tale progetto l’Spd non ce l’ha; se non se lo dà, quello che abbiamo visto è solo l’inizio della frana. La lezione dovrebbe servire anche ai socialisti degli altri Paesi; eccetto i portoghesi che lo hanno capito da soli sfidando l’Europa con le sue troike e ragionieristici teoremi riguardanti solo e quasi esclusivamente la liberalizzazione dei mercati. Auguriamoci che, per la democrazia tutta e non solo per i socialisti, la lezione tedesca serva. Infine, sullo scenario, non è mancata l’uscita di Walter Veltroni che, nel commentare l’ennesimo segno di una crisi generalizzata del socialismo, ha avuto l’ardire di dichiarare: «Per fortuna l’Italia dieci anni fa ha fatto la scelta coraggiosa del Partito democratico». Ci domandiamo: ma che c’entrano Veltroni e il Pd con il socialismo che, come comprovato dalla storia, appartiene alla sinistra? Se crisi del Pd ci sarà essa riguarderà un altro ambito storico, politico e culturale.

6 commenti:

alberto ha detto...

Temo che l’autore abbia letto la storia della SPD prima e dopo Bad Godesberg con occhiali sbagliati. La socialdemocrazia in Europa iniziò con il manifesto di Bad Godesberg. Dopo di allora Brandt ci mise ancora 10 anni per arrivare al cancellierato. L’Europa come modello sociale unico, e insuperato, nel panorama mondiale fu costruita allora sulle basi del manifesti di Bad Godesberg. Quel modello che in parte ancora resiste ( scuola pubblica, sanità pubblica, pensioni garantite dallo Stato e non dalle assicurazioni private, ecc. ) subì e ancora subisce l’attacco del vincente modello liberista americano, supportato dalla egemonia economica tecnologica e militare degli USA . Varrebbe forse la pena di rileggersi quel bellissimo saggio di Michel Albert “ Capitalismo contro Capitalismo” ( ed. Il Mulino/contemporanea) che già nel 1993 delineava quale sarebbe stato il vero scontro culturale economico e politico dei decenni a venire quello del capitalismo liberista anglosassone contro l’ultimo ostacolo al suo definitivo trionfo: l’Europa plasmata dal modello della economia sociale di mercato di matrice socialdemocratica. Il problema è che le luci sfavillanti di Las Vegas, come scrive Albert, attraggono di più le persone che non il compassato modello renano. E se le forze socialiste non continuano costantemente a ricordare su piano politico, e soprattutto culturale, che la sanità pubblica, la scuola pubblica, il sistema pensionistico pubblico, in altre parole il modello sociale europeo, non sono un dato acquisito per sempre,ma che va conquistato continuamente, quel modello rischia di scomparire perché l’elettorato, in maggioranza, finirà per seguire, con il suo voto, le sirene delle luci di Las Vegas. E questo è un problema che riguarda tutte le forze socialiste europee e non il solo Schulz.

maurizio ha detto...

L'affermazione di Alberto Ferrari secondo cui la socialdemocrazia in Europa iniziò con il manifesto di Bad Godesberg, sulle cui basi fu costruito il modello sociale europeo, non è esatta. Bad Godesberg è del 1959, ma il Partito Socialdemocratico dei Lavoratori di Svezia andò per la prima volta al governo nel 1932 e, salvo un parentesi di pochi mesi nel 1936, governò ininterrottamente fino al 1976. Il Partito Laburista norvegese governò dal 1935 al 1965. Il Partito Laburista del Regno Unito, dopo due bervi esperienze di governo nel 1924 e nel 1929, entrambe le volte con l'appoggio esterno dei liberali, conquistò la maggioranza assoluta nelle elezioni nel 1945 e Clement Attlee divenne Primo Ministro, realizzando il welfare britannico. Come si vede siamo ben prima di Bad Godesberg, per cui lo stato sociale europeo non è frutto del manifesto approvato allora dalla SPD. Il manifesto ebbe comunque grande rilevanza perché affermò che la SPD non era più partito della sola classe operaia ma del popolo e perché riconobbe la legittimità dell'economia di mercato e della proprietà privata. Cambiamenti molto importanti per un partito fino ad allora rigorosamente marxista sotto il profilo ideologico mentre laburisti e socialdemocratici del Regno Unito, della Svezia e della Norvegia si fondavano su di una cultura politica solo parzialmente marxista. In ogni caso la SPD non divenne mai interclassista come la CDU/CSU, o come la DC in Italia, ma mantenne sempre il suo stretto rapporto con i lavoratori aprendosi però anche alle istanze, e ai voti, dei ceti medi. Poté così formare un governo di grande coalizione con la CDU/CSU nel 1966 e nel 1969 Brandt divenne Cancelliere alleandosi con i liberali, che in quegli anni si erano collocati su posizioni progressiste. Cambiò tutto negli anni '90 con il New Labour di Blair ed il Nuovo Centro di Schroeder ed abbiamo visto quali siano state le conseguenze di quelle scelte per me profondamente negative.

Infine, l'economia sociale di mercato tedesca non ha un'origine socialdemocratica, ma è stata la teoria economica della CDU/CSU con Adenauer e soprattutto con Erhard ed anche il liberale Ropke contribuì a formularla. Certo la SPD non la rifiutò esplicitamente, ma ne diede un'interpretazione estensiva in termini di garanzie sociali e di diritti dei lavoratori.

Maurizio Giancola

maurizio ha detto...

Non è tutto oro quel che luccica e questo antico adagio vale anche per l'odierna Germania, altrimenti non si capisce perché l'AFD ha ottenuto il 13% dei voti. Da quel che si è letto si evince che i territori dell'ex DDR sono ancora decisamente arretrati rispetto a quelli dell'ex Repubblica Federale, ma che in questi ultimi sono molto diffusi i cosiddetti mini-job introdotti dall'Agenda 2010, realizzata dal governo Schroeder in base alle proposte di Peter Hartz, ascoltato consulente del Cancelliere in materia di lavoro dopo essere stato il responsabile risorse umane della Volkswagen. Inoltre i salari e gli stipendi dei lavoratori che oggi si definiscono garantiti (ma non sarebbe più giusto definirli normali?) sono fermi da parecchi anni. Sicuramente la Germania è ricca, molto ricca, ma questo non vale per molti tedeschi, anche perché non si è voluto utilizzare il grande surplus della bilancia dei pagamenti, in spregio ai trattati europei ed in omaggio ad un assurdo neo-mercantilismo. Di conseguenza il successo dell'AFD deriva da un mix perverso in cui si sono incrociati sia problemi dovuti all'immigrazione sia un disagio sociale evidentemente non limitato (come sempre è facile per i demagoghi di destra scaricare i problemi sui più deboli anziché risalire alla finanza e alla grande industria). In ogni caso la SPD è crollata al 20%, suo minimo storico nel dopoguerra. Magari non sarà tutta colpa di Schroeder, sconfitto e ritiratosi nel 2005, ma il sospetto che l'attuale disastro sia iniziato con lui è forte.

Maurizio Giancola

alberto ha detto...

Nel 1930 Keynes scrisse un articolo “The question of High Wages” ( Pubblicato sul libro “Keynes Come uscire dalla crisi” editore Laterza) nel quale più che in ogni altro tratteggi la sua idea di società: ( sintetizzo) L’innalzamento eccessivo dei salari, in una società globalizzata porta gli imprenditori, che non sono santi, a trasferire nei paesi a più basso reddito le loro imprese; così si andrà verso la disoccupazione e la crisi totale del sistema industriale inglese. I salari però possono aumentare in valore di spesa disponibile , pur non aumentando in valore nominale, se lo Stato interviene dando ai lavoratori ottime scuole pubbliche gratis, ottima sanità pubblica sicurezza pensionistica pubblica, trasporti pubblici, ecc. . Come? sostituendo al “catastrofico aumento salariale” un sistema di tassazione sul profitto e sulla ricchezza che consenta allo Stato di attuare una reale politica di ridistribuzione della ricchezza prodotta da imprenditori + lavoratori . Conclude Keynes “ Il mio attuale proposito si limita ad esprimere una preferenza per la tassazione, come metodo, piuttosto che elevare i salari ad un livello che è, in un contesto internazionale, antieconomico” . Schroede incominciò in questa direzione ma poi, come affermò alcuni mesi fa in una intervista il suo elettorato non lo comprese e, non votandolo più gli impedì di attuare la seconda fase delle sua politica, ossia una più massiccia ridistribuzione del reddito . E questo disse era il suo maggiore cruccio.

In fondo procedere aumentando solo i salari si inserisce in una tipica ottica neoliberista, rincorrersi a vicenda, mentre agire sulla distribuzione del reddito significherebbe agire per rafforzare il senso di comunità e creare un sistema solidale secondo quanto scritto da Keynes nel suo articolo.

luciano ha detto...

Grazie, molto utile la citazione di Keynes.

Che ci conferma una volta di più come QUESTA Unione Europea, che ha inserito le regole fiscali nell’ambito della concorrenza tra gli stati membri, anziché in quello della cooperazione, sia purtroppo incompatibile con le politiche socialdemocratiche.

Se non si cambia questo meccanismo perverso, è evidente che la gara tra i singoli Stati per offrire norme fiscali più favorevoli ed attrarre gli investitori non consente di applicare una tassazione adeguata sui profitti e sulle ricchezze e, dunque, impedisce alla radice le politiche redistributive che Keynes auspicava.

Magari scopriamo che la socialdemocrazia non è in crisi perché vecchia e superata, ma perché ha accettato regole che rendono impraticabile la sua missione.

Siamo antieuropeisti e populisti se lo diciamo ?

LBP

alberto ha detto...

Caro Luciano l’articolo di Keynes e l’intervista a Schroeder rimandano, a mio parere, anche ad un più complesso problema con il quale si sono sempre dovuti misurare i partiti socialisti una volta giunti al governo di un paese: come conservare il consenso elettorale mentre, per invertire una società neoliberista in una socialista, devono attuare una programmazione politico-economica almeno di medio/lungo termine, con una prima fase certamente non troppo gradita alla propria base elettorale. Blair ci riuscì promuovendo di fatto una politica neoliberista ( le luci scintillanti di Las Vegas) che lo ha tenuto al potere per molti anni ma distruggendo il Labour. Schroeder ha rimesso in sesto l’economia tedesca ( una via quasi obbligata per distribuire poi benessere ) ma il suo elettorato sentendosi penalizzato lo ha mandato a casa. E così la seconda fase ridistributiva della sua politica di risanamento non ha potuto mai avere seguito. Inutile ricordare che di ciò, si giovò ovviamente la CDU. Che dire: il socialismo è un processo culturale, quasi antropologico, e non solo una somma di singoli provvedimenti . Se la sinistra quando giunge al governo non sa far vivere il “suo” processo culturale, che come tale è sempre un percorso non facile e non breve, verrà inevitabilmente abbandonata dal suo elettorato prima ancora di poter dimostrare di che cosa sarebbe capace. E questo mi pare uno dei temi centrali per una sinistra che aspiri più che a raggiungere il potere a sapere poi durare.