mercoledì 6 marzo 2013

Paola Meneganti: A che serve parlare di pace?

Oggi ad Osmannoro, alla periferia di Firenze, in un hotel dove si svolgeva un seminario di aggiornamento a cui ho partecipato, chiedevo informazioni sull'autobus per la stazione. Un signore mi fa: vado anch'io in quella direzione, mi segua. Avremo fatto 7-800 metri, iniziando a parlare del più e del meno, di Firenze e di quanto sia cambiata da quando lui se ne ando', circa venti anni fa. "Sa", mi dice all'improvviso "lavoravo in Romania, per una grande ditta italiana. Poi ho perso il lavoro, la ditta ha chiuso. Da capovendite a disoccupato, capisce? Siamo tornati qui, io e la mia compagna. Lei per fortuna ha trovato qualcosa, io no, e sono in giro per cercare". Eravamo giunti alla fermata, lui proseguiva: non ho saputo fare altro che stringergli la mano e augurargli buona fortuna. L'avrei abbracciato, ma mi sono vergognata. E ho pensato a una cosa che mi ha detto un'amica, poco tempo fa: a differenza che in passato, la gente ha tanta voglia di parlare. Prima, mi diceva, si concludevano affari, si sbrogliavano questioni, ci si scambiavano informazioni sempre di corsa, e una parola in più sembrava una perdita di tempo intollerabile. Ora tutti vogliono parlare, raccontare, sfogarsi: dei tempi grami, delle incertezze, della paura del presente e del futuro. Quasi che l'angoscia di questo nostro tempo sia un peso insopportabile da sostenere da soli. Chissa' se sapremo trarne un insegnamento duraturo. Chissa' se sapra' essere una lezione di vita. Altro che democrazia mediatica, altro che relazioni web-orientate, paccottiglia che ci viene spacciata per modernita' da improbabili guru di ieri e di oggi. Allora, racconto anche questo. Nella galleria di Santa Maria Novella, mentre, perso il treno, facevo passare un po' di tempo, ho distribuito spicciolini tra tutti coloro che, a vario titolo, stanno li' e tendono la mano o hanno il cappello posato in terra davanti a loro. Proprio una monetina ciascuno. Cosa ho fatto? Niente. Mi sono lavata la coscienza? No. Ho solo risposto all'insegnamento della mia mamma, che diceva che una mano tesa non si ignora. E poi, due persone - due musicisti - hanno sorriso. Uno ha chiesto il mio nome e si e' presentato, molto formale. L'altro ha sentito e mi ha detto: "Viva la vita, Paola". Che bello. Ma non serve a mitigare la rabbia che covo, e che predico-autopredico, comunque, di tenere sotto controllo. Cantava Ivan Della Mea: "Perche' mai parlare di pace?". A che serve, di fronte al lindo vecchietto col baschino nero, un po' malfermo sulle gambe che lo facevano camminare a passettini, che tendeva timido la mano davanti a chi aspettava il treno? Dobbiamo parlare di pace? Perche'? Pace per chi? Perche'? P.M. 5.3.13

Nessun commento: