sabato 16 marzo 2013

Le conclusioni di Nichi Vendola alla Presidenza di SEL dell’11 marzo

Le conclusioni di Nichi Vendola alla Presidenza di SEL dell’11 marzo By Giulio Cavalli ⋅ 15 marzo 2013 ⋅Post a comment Filed Under conclusioni, nichi vendola, sel, ufficio di presidenza Per ricominciare a fare politica e aprire un dibattito che sia coraggioso e puntuale sul futuro dello scenario italiano. Partendo dall politica del Paese per riconiugarla al futuro di SEL e dell’area che rappresenta e vorrebbe rappresentare. Vale la pena partire dalle conclusioni di Nichi. Discuterne. Per chi volesse si può fare qui tra i commenti o scrivendomi a giulio(chiocciola)giuliocavalli.net. Il viaggio è lungo ma necessario. Conclusioni di Nichi Vendola (Presidenza di Sinistra Ecologia Libertà, lunedì 11 marzo 2013) Il rischio di una drammatica deriva del nostro Paese. Non credo che potremo trovare un sentiero utile alla nostra ricerca guardandoci l’ombelico, come una parte grande di questa discussione ha fatto. Credo che tra le cose buone della cultura politica della sinistra che ci dovremo portare anche nel futuro, c’è la critica ai limiti del soggettivismo, l’incapacità di connettere le vicende di un soggetto di dimensioni assai modeste, di connettere le sue propensioni, le sue scelte, i suoi successi o insuccessi ad un contesto più generale. E non credo che faremo bene se isolassimo la nostra discussione da quello che ora dopo ora sta accadendo in Italia. E’ drammatica la deriva del nostro paese, è drammatica oggi in questo momento più di ieri, a quest’ora più di stamattina. A quest’ora perché le dichiarazioni dell’onorevole Alfano sulla volontà di valutare un eventuale Aventino come risposta alle iniziative dei magistrati nei confronti dell’onorevole Berlusconi – dichiarazioni che si aggiungono a quelle dell’onorevole Gelmini che dice “per la prima volta praticheremo la disubbidienza al leader e andremo a manifestare davanti ai palazzi di giustizia”, – questo elemento di acutizzazione dello scontro tra politica e giustizia è un aggravamento serio di una condizione melmosa che segna il contesto democratico della nostra crisi. E mentre noi parliamo il governo in carica non smette di esercitare le proprie funzioni. Per esempio di congelare ulteriormente fino al 2014 i salari del pubblico impiego, con un intervento che continua ad essere depressivo dell’economia, un ulteriore contributo alla recessione. Monti non ha soltanto fatto male nell’anno in cui ha governato fino alle elezioni: continua a fare male. E questo dibattito, ma complessivamente il dibattito che si svolge nella politica italiana, ha rimosso quasi completamente uno degli ingredienti strutturali della nostra crisi, cioè la vittoria della Lega Nord nella regione Lombardia in una prospettiva qual’ è quella della macroregione settentrionale, un’idea che contiene dentro di sé, in qualche maniera concentrati, tutti gli elementi rischiosamente secessionisti che hanno costituito una parte rilevante dell’immaginario e della comunicazione della Lega negli ultimi trent’anni. Non so se è chiaro: noi siamo collocati in questo punto della crisi e la nostra crisi è la crisi dell’Europa. Il grillismo è una delle varianti del potenziale sfaldamento dell’assetto democratico europeo, conseguenza di medio periodo della fine del compromesso tra capitale e lavoro così come si era realizzato alla fine della guerra. Noi siamo qua dentro. Dobbiamo ragionare partendo da questo punto di analisi e non adoperando il “senno di poi”. Il “senno di poi” è una scienza esatta, perché è una delle poche scienze assolute che esistano, dato che è facilissimo “poi” riconnettere le scelte in chiave di errore, insufficienza, debolezza. La sconfitta della sinistra in Europa. Ma attenzione: credo che faremmo un cattivo servizio alla verità se non andassimo a fondo nell’analisi della situazione in cui ci troviamo e se, a dimostrazione del fatto che noi siamo una parte del problema e non la soluzione del problema, usassimo occasioni come queste per atteggiamenti di critica e di autocritica che, decriptati, sono soltanto resa dei conti interna a un gruppo dirigente. Io vi invidio molto perché, avendo una responsabilità in più rispetto a voi, non posso partecipare al rito dei “sassolini nella scarpa” e devo invece invitarvi a non farlo, e a ragionare di politica. E a ragionare di politica per il dovere che noi abbiamo nei confronti del paese, perché penso di poter dire che non avevamo visto male. Non avevamo visto male a Firenze, nell’unico congresso che fin qui abbiamo fatto, un congresso né rituale né celebrativo, ma un congresso in cui abbiamo posto un problema: esattamente la lettura della sconfitta di lungo periodo. Una sconfitta che è tutta interna all’incapacità delle forze della sinistra di tutta Europa di leggere il mutamento di fase, la trasformazione del capitalismo mondiale da capitalismo prevalentemente industriale a capitalismo prevalentemente finanziario, con ciò che comportava anche nei suoi riverberi sui sistemi politici e sulle forme della democrazia. La sinistra europea ha largamente pensato di poter dominare le tendenze liberiste del mercato mondiale e la sinistra radicale ha pensato che il suo compito fosse sostanzialmente quello di denunciare questa svolta a destra delle forze socialdemocratiche. In uno schema che era, congiuntamente, un de profundis per la sinistra del futuro. La sinistra del passato, nel frattempo, poteva acconciarsi a sopravvivere in tanti modi. Noi abbiamo provato a nascere lì dentro, avendo una percezione del fatto che la forma partito fosse consumata, percezione che non aveva nessuno in Italia come l’avevamo noi. Vorrei ricordarvi che avevamo chiesto in prestito ad un protagonista della politica europea come Daniel Cohn-Bendit la sua indicazione sul futuro del partito come “cooperativa sociale”, una traccia interessantissima. La possibilità cioè di reinventare forme di agire collettivo che avessero dentro un elemento etico e comunitario, un elemento solidaristico. Sono molto contento di sentire adesso tanto rimpianto di quelle “Fabbriche di Nichi” che il partito uccise, considerando quell’esperienza nemica del partito, una minaccia per il partito. Bisogna pur ricordare come si sono svolti i fatti, proprio perché quell’esperienza forse conteneva francamente una minaccia all’idea che potesse esser tenuto in vita un partito la cui forma nasce morta e non invece un partito che vive una tensione permanentemente critica sul tema della sua forma. I nostri risultati, i referendum e le amministrative. Abbiamo sbagliato in questo? Io penso di no e abbiamo ottenuto dei risultati straordinari. Noi siamo stati un partito di modeste dimensioni elettorali che tuttavia ha segnato la storia politica del paese. Non mettiamoli in fila come se fossero dei salmi da recitare, ma il referendum e le amministrative sono stati il punto più alto dell’esibizione del pericolo che noi rappresentavamo per una serie di poteri reali. Noi. Referendum, che abbiamo correttamente letto come una vittoria del centrosinistra suo malgrado, cioè una vittoria del centrosinistra che non c’è, come domanda di popolo, come domanda di cambiamento. I 27 milioni di voti che mordono la natura del berlusconismo in quanto progetto di privatizzazione onnivora, globale, della realtà. E poi le partite su Milano, su Cagliari, su Genova, su Rieti e sulla Puglia. Che cosa hanno fatto emergere queste partite? Il punto non era quello delle percentuali nostre; certo, avere il 10% è diverso che avere il 3,5%. Ma il punto era quello di una capacità di egemonia sulla scena politica e sul centrosinistra tale per cui la prospettiva di un centrosinistra affrancato dalle ipoteche di subalternità e subordinazione alla cultura liberista era praticabile e apriva più di un varco a una speranza gigantesca. Ma, scusate, contro che cosa si è mosso il mondo se non contro questa idea? Ma pensate che io fossi emotivamente spompato a fare le primarie nel momento in cui sono stato costretto a farle, che il problema fosse un fatto mio psicologico, soggettivo? Non avevamo la percezione di come si fosse determinato un ribaltamento del terreno politico, culturale, simbolico? Le primarie sono state celebrate quando si è caricato su Matteo Renzi il ruolo che ancora un anno prima era prevalentemente sulle spalle della nostra vicenda collettiva. “Cambiamento” sulle nostre spalle aveva immediatamente un richiamo alla questione sociale e alla questione dei diritti civili: un anno dopo “cambiamento” diventata prevalentemente la rottamazione di una classe politica e di una generazione. Ma anche Renzi, subito dopo le primarie, ha fatto il suo tempo, ed è scoccata l’ora di Grillo. Il “cambiamento” come generalizzazione del rancore nei confronti di ciò che viene percepito come privilegio e inerzia a fronte di una povertà dilagante. E quello che è accaduto nell’anno di Monti noi ce l’avevamo chiaro in mente, ancor prima che il governo di Monti cominciasse. La categoria politica del “centro” e la scomparsa del ceto medio. E anche qui, vorrei sapere in cosa abbiamo sbagliato. In cosa abbiamo sbagliato nel momento in cui nasceva il governo Monti e il popolo nostro ci diceva: attenzione. C’è stata una grande emozione popolare sulla nascita di quel governo, quell’emozione era dentro i nostri circoli, era dentro la nostra gente. E abbiamo dovuto evitare di disconnetterci sentimentalmente dal popolo nostro, abbiamo avvertito che le politiche di austerità sono l’altra faccia del populismo. L’abbiamo detto subito, con chiarezza, abbiamo soprattutto avvertito che la rimozione del berlusconismo era un fatto clamoroso, e immaginare che fosse una storia finita, quasi si trattasse di un epifenomeno della politica e non di un corposo fenomeno della società, della cultura, del berlusconismo come di una rivoluzione compiuta in Italia. Certo, rivoluzione reazionaria, con i tratti del regresso civile, del regresso culturale, del regresso sociale. Ma come si può immaginare, come noi abbiamo fatto, noi accecati, noi, dico, la sinistra dei facili festeggiamenti, che l’uscita da Palazzo Chigi compisse un ciclo? E non consentisse invece di riprender fiato, di ricalibrare un discorso pubblico in cui era evidente l’interesse a separare la classe dirigente del centrodestra dalla percezione del dolore sociale, in modo tale che si potesse compiere il gioco delle tre carte su chi ha la responsabilità del disastro attuale. E la politica e il giornalismo, quanto hanno compreso che il dolore di cui si parlava talvolta nelle inchieste televisive non era lo stesso di prima, che non eravamo più al racconto della “società dei due terzi”, dove due terzi seduti sui propri stardard di sicurezza sociale guardano quel terzo escluso il cui smarrimento viene raccontato dalla sociologia del dolore? Un corno, compagni! E’ sempre la “società dei due terzi”, ma due terzi sono quelli esclusi, un terzo è quello incluso. Cioè il dato, vorrei che lo ricordassimo, è che siamo nati ragionando sul fatto che la categoria del centro non aveva a che fare con la realtà italiana perché stava scomparendo il ceto medio. Abbiamo fatto questo discorso: il centro ha un ruolo straordinario anche per la tenuta democratica quando, com’è stato per la vicenda italiana della democrazia cristiana, è il traghettamento della piccola borghesia fascista dentro la democrazia e l’invenzione di corpi intermedi della società che – con l’ideologia del risparmio, la cultura del sacrificio, gli artigiani, i commercianti, la piccola proprietà contadina, i maestri e le maestre e così via - consentono di guardare ai ceti subalterni come a una prospettiva di avanzamento e sono la base sociale di una democrazia. Credo che un regime, un regime di qualsiasi tipo, non si possa reggere senza ceti medi: un regime democratico fa fatica a stare in piedi senza un largo e diffuso ceto medio. La scomparsa del ceto medio è un problema sociale, politico e culturale di dimensioni gigantesche, che fa capire quanto siano ridicole le culture politiche del moderatismo, rispetto al problema di radicale espropriazione di senso sociale e di ruolo di questa parte della società. Penso che noi abbiamo ragionato di questo, fondamentalmente. Abbiamo provato a lanciare un messaggio nella bottiglia. E’ ovvio che siamo arrivati alle primarie, dico per me, con il dovere di starci. Ma con la consapevolezza piena che stavamo dentro un’altra storia, non so se è chiaro. E che bisognava avere pazienza, che la fragilità, la vulnerabilità del nostro corpo è legata al fatto che siamo contemporaneamente percepiti o come rischiosamente eredi del bertinottismo, e quindi inaffidabili, o pericolosamente complici della subalternità culturale. In questa vicenda è difficile immaginare che ci fosse un modo preventivo di risolvere un problema che aveva a che fare con la lotta politica. Non si poteva sconfiggere Monti preventivamente nel rapporto con il partito democratico. Non so come, cosa bisognasse fare, se non sconfiggerlo come ipotesi di autoprigionia della cultura della sinistra: non un’alleanza ma una resa, abbiamo detto più volte. Ma in questo ha giocato il politicismo non soltanto del partito democratico, cioè di una cultura riformista esausta, bisognosa di rinnovare le fonti, le ispirazioni, il vigore, la natura e il vocabolario. Ma su questo il riformismo del partito democratico e il radicalismo alla nostra sinistra erano miopi nella stessa identica maniera. Tra D’Alema e Ingroia c’è lo stesso torcicollo, la stessa ossessione per Monti. E per noi è stato francamente duro e difficile. Avessimo fatto un’altra scelta… Ma qual era un’altra scelta a nostra disposizione? Certo, dobbiamo partire dal fatto che la crisi importante del partito democratico coincide con la nostra crisi, cioè la nostra ipotesi è quella di una sinistra di governo capace di partire da qui, dall’Italia, per far massa critica e rimettere insieme un fronte dei progressisti in Europa. Tutta la nostra ipotesi politica è dentro lo schema non del prevalere dell’alleanza ma del prevalere della consapevolezza che si aggrava la crisi sociale del paese, nella pancia dell’Italia non covano fermenti rivoluzionari in senso progressista, ma covano fermenti rivoluzionari in senso reazionario, come sempre accade quando le società si impoveriscono. Si va verso la guerra, si va verso la dittatura, difficile andare verso il sol dell’avvenire, non so se è chiaro. Questa era la necessità nazionale di svolgere un ruolo e di darci una missione in questa partita. Il Movimento 5 stelle e la nostra battaglia culturale e politica. Oggi l’analisi che noi dobbiamo fare degli interlocutori, dei problemi, dei soggetti che abbiamo di fronte dev’essere, se posso dirlo, un po’ più smaliziata. Grillo: vi prego di non leggere le cose che diciamo su Grillo come ha fatto Mattia Feltri sulla Stampa in uno dei tanti pezzi intinti di vetriolo che quotidiani come la Stampa e il Corriere ci dedicano con ritmo incalzante. Mica si tratta di vedere ciò che è buono e ciò che è cattivo in Grillo. Il voto al Movimento 5 Stelle, poi la rappresentanza delle 5 Stelle, poi Grillo e Casaleggio, sono tre questioni tra loro distinte. Il movimento 5 Stelle prende un consenso straordinario che rappresenta un terreno molteplice, plurale e ambiguo di domanda di cambiamento. Io non propongo di selezionare gli elementi che hanno un qualche grado di consanguineità con i nostri elementi e di provare a governare. Io dico che dobbiamo veramente sconvolgere le nostre categorie con cui analizziamo un fenomeno come quello e semplicemente provare ad andare incontro a quel cambiamento con una battaglia culturale, con una battaglia politica. L’idea di avere come obiettivo il cento per cento del consenso è un’idea da brivido, come tutti voi potete immaginare. Dobbiamo ricordarci che la democrazia vive non soltanto della forza e dell’espressione orizzontale dei desideri delle persone,della loro soggettività: vive anche del culto assoluto dei diritti delle minoranze e su questo è inutile dire null’altro che non abbia già scritto Zagrebelsky nel suo saggio sul “Crucifige”, cioè su una democrazia plebiscitaria che mette in croce Cristo. Attenzione. Io penso che nessuno di noi abbia reticenza a questo livello della battaglia culturale. Ne dico un altro di elemento. Si può avere la distanza più lontana dai propri avversari, considerarli veramente gli avversari della vita, combatterli con durezza. Ma l’elemento della denigrazione morale dell’avversario è però dentro di sé, in nuce, qualcosa di inaccettabile. Ognuno di noi, quando si legge nelle cose dei grillini, è colto da un elemento di ansia e di smarrimento. Io ho più di quarant’anni di vita politica, quarant’anni di vita politica inghiottiti dentro un insulto. Forse anche per il fatto che sono tanti quarant’anni di vita politica e chissà perché, avere passione civile e passione politica a quattordici anni è considerato segno di vitalità; averlo avuto a quattordici anni quando ne hai cinquantaquattro è segno di degrado morale, non lo so perché. Ma attenzione, anche questo è un elemento che culturalmente noi dovremmo apprezzare un po’ di più. La denigrazione organizzata: ogni volta che io scrivo qualcosa nella rete, so che ci sono almeno quaranta grillini che hanno proprio come loro missione il marcamento a uomo. Qualunque cosa io dico, qualunque cosa io propongo, hanno il compito dell’infamare, del macchiare. Anche questa è una modalità di sporcare una passione genuina. Perché io immagino che ciascuna di quelle persone che hanno come compito (io parlo di me, ho analizzato su di me queste cose) di sporcarmi, siano persone in perfetta buona fede, siano giovani pienissimi di volontà di cambiamento. Ma attenzione, la volontà di cambiamento è anche quella che ti porta a bombardare i Buddha e a pensare che sia salutare devastare i segni della civiltà degli altri. Anche su questo io non penso che dobbiamo fare un passo indietro rispetto alla battaglia culturale di civiltà. Ma abbiamo sempre questi tre elementi: un voto straripante, che contiene fino in fondo anche il disincanto verso il centro sinistra; una rappresentanza di cui sappiamo molto poco (avremo modo di audire voci, pensieri e parole, ma ho l’impressione che nelle questioni di fondo, dal lavoro, alla giustizia, alla scuola, alle banche, ci possiamo trovare di fronte a un repertorio larghissimo di differenze interne a quell’area, e forse è anche questo un motivo per cui finora è stata un’area silenziata, perlomeno rispetto a quello che riusciamo a percepire); un capo, o forse due in Grillo e Casaleggio. Non si tratta però adesso di essere fiacchi con Grillo, si tratta di sapere che lì dentro ci sono anche degli elementi che appartengono fortemente ai doveri di una sinistra riformatrice in questo tempo di crisi. La riforma della politica: e qui, vi prego, non fate l’autocritica degli altri ( ricordo un simpaticissimo Giorgio Amendola quando diceva “i compagni sono bravissimi a farsi l’autocritica degli altri”), perché qui credo c’è un problema per tutti noi. Se ripercorressimo le vicende della formazione delle liste potremmo avere materiale su cui riflettere: qual è stato il riverbero dei territori su tutti i punti di crisi e di lacerazione e quali sono le tendenze non solo all’autoconservazione dall’alto ma anche a uno sfrenato elettoralismo dal basso. Noi siamo globalmente lo specchio di una crisi: quello che ci differenzia dagli altri è che lo diciamo, che proviamo ad analizzarla questa crisi e che in una qualche maniera proviamo anche a reagire, naturalmente con tutte le insufficienze di un’organizzazione come la nostra che nasce con una natura pattizia e che fa fatica a sciogliersi in una forma comunitaria in cui la solidarietà sia quella dei membri della nuova comunità e non quella degli antichi sodalizi. Il PD, noi, la sinistra in Italia: si è esaurita una storia. Poi c’è il partito democratico. Anche qui, compagni: scioglierci nel partito democratico! E’ proprio un modo di discutere fuori del contesto. Ad un certo punto ci si ferma e in astratto ci chiediamo: esistiamo? Ci sciogliamo? In questo momento il processo politico è ricco, articolato, vorticoso; vedremo che succederà con l’incarico a Pierluigi Bersani. Abbiamo apprezzato lo sforzo di stare in sintonia con noi di Bersani. Certo, non abbiamo una grandissima audience, però abbiamo svolto un ruolo. Nel momento del panico, quando il partito democratico diceva “elezioni anticipate” mentre ancora si stava scrutinando, o diceva “governissimo”, noi abbiam detto “no”. Abbiamo rotto il tabù e abbiamo detto di andare a vedere le carte di Grillo. Abbiamo provato a impostare differentemente la questione, anche per una previsione, che è quella che se si dovesse tornare alle elezioni anticipate dovrebbe essere chiaro a tutti che si tratta di una scelta frutto del politicismo di Grillo, cioè della prevalenza del calcolo elettorale rispetto agli interessi del paese. Questo è quello che abbiam detto. E’ finita la serie delle varianti? No, non è finita. Perché ovviamente ci sono altre varianti più consone alla cultura politica delle nostre classi dirigenti ed è probabile che se fallisce Bersani noi ci possiamo trovare di fronte a uno schema rovesciato, che è quello che pone, a fronte di un nuovo governo tecnico, il partito democratico dinanzi alla responsabilità di portare eventualmente il paese alla crisi. Salvare il senso di responsabilità e suicidarsi contemporaneamente, perché qualunque abbraccio con la pdl porta a un principio di deflagrazione. Questo è lo scenario. Quando io dico si è esaurita una storia, sia la nostra sia quella del partito democratico, sto dicendo che si è esaurito un ciclo, si è esaurita una fase. Sto dicendo che dobbiam fare politica, che dobbiam vivere, che dobbiamo essere capaci di fare qualcosa. Non dico raccogliere le firme per il reddito minimo garantito che forse è eccessivo come fatica fisica. Ma per lo meno essere attori nella società, capendo che il tema è posto, il suo svolgimento è davanti a noi. I partiti non nascono in laboratorio, non sono delle creature che nascono in provetta: si fanno nella società, nel vivo della contesa, nell’organizzazione degli interessi, delle culture. Il tema è il vuoto della sinistra che c’è in Italia. Noi siamo stati una allusione, talvolta un’illusione. Oggi siamo un frammento di un discorso tutto da costruire, il partito del progresso del futuro. “Benvenuta sinistra” era lo slogan giusto, a una condizione: che si potesse spiegare che il deficit di sinistra aveva accompagnato lo smarrimento dei diritti delle persone. Quanto meno sinistra c’è stata nei luoghi istituzionali tanto peggio è stata la vita reale delle persone. La sconfitta politica della sinistra ha accompagnato simmetricamente il regresso sociale di una parte larga dell’Italia, questo è stato. Dunque, “benvenuta sinistra” doveva significare “benvenuta giustizia sociale”, “benvenuta la laicità”, “benvenuti i diritti di libertà”, “benvenuto un paese ambientalista”, “benvenuto un paese che fa una battaglia esplicita contro l’illegalismo di massa”. Ecco, riflettiamo anche sui tre ingredienti che hanno agganciato di nuovo la pancia larga del sud: condono tombale, condono edilizio e Imu. Veramente noi siamo diventati grillini al punto tale da pensare che tra politica e società c’è uno iato e che la politica fa schifo mentre la società è un’entità virginale? Veramente pensiamo che non c’è una relazione tra società e politica? Io ho provato a dirlo così in campagna elettorale: Berlusconi fa appello all’illegalismo di massa, cioè fa appello ad un terreno sul quale noi non possiamo agire moralisticamente. Si tratta davvero di capire qual è invece il modello di sviluppo che metti in campo, come cambia il tuo vocabolario. L’ambientalismo del centrosinistra è domenicale, mentre la sua propensione cementificatrice è feriale. In questo momento mi pare molto saggia la scelta della CGIL di dire “facciamo un governo per il lavoro”. Noi di qua dobbiam partire. Il 65% degli italiani stanno male, ci dicono i dati. Cresce la povertà continuamente, ci sono urgenze di ore, di ore. Noi non possiamo tenere fermo il paese non dico per sei mesi, non possiamo tenere fermo il paese per tre mesi. E la ragione per cui andava fatto l’azzardo dell’alleanza con il partito democratico, è perchè sta crescendo ovunque in Europa la consapevolezza materiale della sostenibilità delle politiche di austerità. Questa è stato il terreno. Credo che se potessero tornare indietro, sapendo quello fanno non solo dal punto di vista elettorale, anche dal punto di vista dei dati più recenti che hanno fornito Banca d’Italia e altri su quella che è la condizione sociale reale del paese, penso che il partito democratico farebbe un’altra campagna elettorale. Allora, noi abbiamo urgenza di provare a dare delle risposte non moralistiche. Sulla corruzione, c’è l’urgenza di dare una risposta a un fenomeno che è di devastazione dell’economia, della ricchezza del paese. Vorrei dire che c’è un silenzio sul processo di riorganizzazione capillare delle mafie in tutta Italia che fa paura. Quello che io osservo in Puglia, dopo anni e anni di marginalizzazione dei clan, è che negli ultimi tre mesi c’è stato un salto incredibile. Ne parlo dicendo a tutti noi che l’educazione alla legalità e il galateo antimafia oggi sono veramente un orpello retorico a fronte della necessità di parlare di corruzione e di criminalità organizzata come di architravi dell’idea di uno sviluppo e della crescita di un modello sociale. Una cosa concreta, visto fra poco parleranno i parlamentari del partito democratico: che altro bisogna aspettare, dopo quello che ha scritto ieri il New York Times, per dire non “diminuiamo” ma “cancelliamo” il programma di acquisto degli F35, che altro dobbiamo aspettare? Dice il New York Times di ieri: fonti del Pentagono asseriscono l’assoluta inutilità anche come strumenti di combattimento di questi velivoli. E’ una cosa, una, e su quella vorrei convocare una manifestazione di massa per dire, immediatamente, quelle risorse sono cifre che possono alimentare il fondo per la non autosufficienza, avviare un piano di rimessa in sicurezza delle scuole e così via. Allora, attenzione. Anche la maniera di discutere del partito democratico ha a che fare con soggetti esterni al partito democratico, basti citare la CGIL. La casa dei progressisti e la nostra adesione al PSE. Per noi c’è uno spazio politico reale, non per la nostra sopravvivenza, ma spero per la nostra dissoluzione in un soggetto che sia la casa dei progressisti del futuro e dobbiamo vivere questo spazio come un fatto costruttivo. Lo dico in forma provocatoria: dobbiamo essere capaci di parlare al paese e di parlare al partito democratico parlando al paese, Dobbiamo fare una riflessione sul nord molto seria, perché non sappiamo ancora come sarà la ripartenza della macroregione del nord. Voglio dire due ultime cose. Siccome la partita, come si è visto, è tutta sul destino dell’Europa, io francamente penso che noi non possiamo ulteriormente indugiare nel fare una scelta, nell’individuare qual è il luogo in Europa in cui si può determinare l’accumulo delle forze, delle energie necessarie, in questo momento particolarmente inquietante di crisi. Grillo è un fantasma che si aggira per tutta l’Europa e noi dobbiamo sapere qual è il luogo in cui si può ricostruire il fronte del progresso della sinistra in Europa. Io penso, lo dico, non tutti siamo d’accordo: questa volta dobbiamo giungere a sciogliere il nodo. Penso che questo è il tempo in cui dobbiamo entrare come componente caratterizzata da una forte propensione ecologista e libertaria, dentro il Partito del Socialismo Europeo. Penso che sia il modo non soltanto di segnalare che la nostra vicenda non è una vicenda di bassa cucina, ma è una vicenda della politica europea, un modo di stare dentro, anche nei confronti del centrosinistra e del partito democratico, la costruzione di una nuova Europa e il modo più spiazzante, più intelligente di tornare a porre l’agenda vera delle cose da fare. Essere il lievito del cambiamento. Vorrei ringraziare le amiche e gli amici,le compagne e i compagni che si sono candidati con noi e che hanno partecipato a questa discussione. Noi come partito, io come persona, mi sento in debito nei loro confronti. A molti di loro abbiamo chiesto qualcosa che è normale chiedere a noi stessi. Noi viviamo pericolosamente da tanti anni, viviamo con le nostre forze, i nostri sacrifici, facendo davvero degli sforzi talvolta sovrumani. Volevo dire alle compagne che il lavoro di cura va fatto in un contesto di reciprocità e siccome il leaderismo è una malattia e va combattuta costruendo comunità, penso che in una comunità il lavoro di cura sia un atteggiamento, uno stile operativo, culturale e umano che deve contraddistinguere tutti nei confronti di tutti, anche nei confronti di chi è momentaneamente il leader di questo partito. Penso che sia doveroso da parte mia dirlo, perché da alcuni anni, e ora in maniera particolarmente aspra, siamo dentro una vicenda nella quale capita a ciascuno di noi di discutere di una scelta che ha segnato la nostra vita. Chi ha fatto la politica come l’abbiam fatta noi, chi ad un certo punto ha deciso di non intraprendere la carriera universitaria o la carriera giornalistica e ha deciso un’altra cosa e l’ha decisa non come una carriera ma come una scelta di vita, si trova a fare delle considerazioni che riguardano persino la propria esistenza. Non parlo di me, parlo di ognuno di noi. E quindi bisogna avere delicatezza e rispetto nei confronti di tutti e di tutte. I compagni e gli amici che senza una tessera di partito hanno accettato di condividere con noi quest’esperienza hanno dato anche una prova straordinaria di maturità partecipando a questo dibattito e facendolo senza nessun tipo di recriminazione individuale. Ho trovato alcuni interventi di altissima levatura politica e penso che noi siamo in una situazione complicata e tuttavia credo che dobbiamo riflettere su quello che noi siamo sapendo che io non potrei mai più immaginare Sinistra Ecologia Libertà orfana del contributo di questi uomini e di queste donne. Alcuni di loro sono nella mia testa più vicini a Sel di quanto non lo sia io: mi convincono loro, con le loro parole, con la loro testimonianza, a credere ancora in questo progetto, Non un progetto di autosufficienza, ce lo siamo detti ma forse non ne eravamo convinti e forse questo è stato consentito al leader di dirlo come se fosse una sua civetteria. La nostra autosufficienza è la nostra morte. O noi siamo lievito per far crescere una prospettiva di cambiamento che sia di sinistra oppure noi non abbiamo alcun senso. Su questo ho costruito il percorso che ho condiviso con tutti voi e in un momento di difficoltà come questo non posso che dirvi: o ripartiamo da qua oppure non c’è speranza per il nostro futuro.

31 commenti:

lorenzo ha detto...

Cari amici,

il risultato delle elezioni è che la sinistra (tutta la sinistra) ha perso. Io sono iscritto ala Partito democratico dal 2007, e alle primarie ho votato Bersani. Lo schiaffo della sconfitta però brucia e, senza rancore per Bersani che ha fatto del suo meglio, ho deciso di cambiare cavallo. D’ora in poi sosterrò Renzi. Per spiegare ciò, ho deciso di infliggervi il mio modesto ragionamento.



Non è un momento felice per il Partito democratico. A livello nazionale ha perso le elezioni, e non è grado di fare il governo. Quali che siano le cause e le responsabilità, questo è il dato di fatto. Il futuro governo non è in vista. La sinistra non vince e, quando vince, non riesce a governare. Come tutti sappiamo, il centrosinistra ha vinto le elezioni nel ’96, ma il governo Prodi è caduto, non perché battuto dall’opposizione, bensì fatto saltare dall’alleato Rifondazione. E’ seguito un governo D’Alema che è stato, in sintesi, il più inutile, se non dannoso, degli ultimi 20 anni: non si ricordano atti incisivi eccetto la partecipazione al bombardamento di Belgrado, e l’orrida privatizzazione di Telecom a favore dei “capitani coraggiosi” (che ha indebitato l’azienda per i secoli a venire). E neppure fu colto il momento opportuno, per la legge sul conflitto di interessi. Dopo D’Alema ci fu il governo Amato, che si ricorda soprattutto per una maldestra riforma del Titolo V della Costituzione.



lorenzo ha detto...

La sinistra ha rivinto nel 2006, e il secondo governo Prodi stava facendo delle cose buone: Tommaso Padoa Schioppa aveva ridotto il rapporto debito/Pil al 103%, e sicuramente avrebbe affrontato più responsabilmente la crisi successiva. Anche questo governo cadde per una crisi interna. Dunque, la sinistra vince a fatica, e poi cade sui suoi conflitti. Ma è in atto anche un altro fenomeno. La sinistra, diciamo così, radicale, sta scomparendo. Sembrano lontani i tempi in cui Rifondazione comunista, con i Comunisti italiani, era quasi al 10% e Bertinotti presidente della Camera. Alle ultime elezioni, il Sel di governo ha preso il 3%, e l’Ingroia di opposizione il 2%. Paolo Ferrero e Oliviero Diliberto, come già prima Pecoraro Scanio, sono scomparsi - e non è probabile che ritornino.



Insomma, c’è da pensare che gli elettori di quella sinistra, eccetto i più tenaci, si siano stufati di utopia, di ipotetiche rivoluzioni, di narrazioni che non sfociano in risultati concreti. In questo quadro, il Partito democratico è in mezzo al guado. Sarà la demonizzazione da parte di Berlusconi quando parla di “comunisti”, ridicola quanto si vuole, ma che pure ha un seguito; sarà che c’è una destra viscerale che non voterebbe mai a sinistra, come noi non voteremmo mai a destra; sarà che c’è una fetta di elettorato che vota a destra per puro calcolo di interesse (per esempio gli evasori fiscali, quelli che portano i soldi all’estero, i costruttori abusivi); sarà infine che una parte della destra voterebbe Berlusconi anche se fosse un cannibale (Michele Serra); sarà per tutte queste ragioni, che la destra ha preso il 30% dei voti. E aggiungiamo un paradosso: se non c’era Monti (che di sicuro, nel proprio interesse, ha sbagliato a presentarsi) che ha intercettato un bel po’ di voti di berlusconiani insoddisfatti, si rischiava che la destra vincesse di nuovo.



lorenzo ha detto...

E il Partito democratico? Sarà stata la presunzione di avere la vittoria in tasca. Sarà stato il carattere non retorico, bonario, ma privo di incisività e carisma, di Bersani. Sarà la mentalità di un apparato che - è vero - sostiene l’unico partito che in Italia possa dirsi tale, ma è probabilmente un apparato logoro e costoso, con i suoi interessi e i suoi rituali che, nonostante le primarie, ha impedito di sprigionare un effettivo rinnovamento del Partito, e soprattutto delle sue proposte. Il caso di Monte Paschi in questo senso, è emblematico. Non per le manipolazioni di denaro a proprio vantaggio, di cui nessuno nel Pd è accusato, ma di una torre di privilegi che si è sgretolata, è ricaduta su se stessa. Come mai quelli di Roma ci ficcavano dentro il naso (vedi D’Alema), ma nessuno degli economisti di partito si è accorto che le cose stavano precipitando? Come mai gli “otto punti” di Bersani non sono saltati fuori in campagna elettorale, ma solo dopo? Come mai Berlusconi, grande comunicatore, ha puntato su una promessa o due (ovvero l’impraticabile restituzione dell’Imu e la defiscalizzazione del lavoro dei giovani)? ha chiesto il sindaco di Padova.



Quello che però si è colto ex post, oggettivamente, piaccia o non piaccia, è stata la netta percezione che con Renzi candidato le cose sarebbero andate diversamente. Per intanto è un fatto oggettivo, che una parte della destra moderata avrebbe votato per lui. Non ci piacevano quei voti? Non ci piaceva la politica che aveva in mente Renzi perché “di destra”? Lo scotto, qui e ora, è stata la sconfitta elettorale. E non sono più i tempi di Bertinotti che si leccava i baffi quando la sinsitra perdeva. Ma c’è di più. Agli occhi di una parte dell’elettorato, Renzi non rappresentava tanto una politica di destra, quanto la speranza di cambiamento, di rinnovamento. Quale rinnovamento? Non credo che ai più fosse chiaro in mente: ma quello che era chiaro, quello che si voleva, era che la politica italiana così come è, o con qualche cambiamento cosmetico, non era più accettabile, neanche agli occhi degli elettori di sinistra. Tale era l’ansia di cambiamento che le primarie, di per sé, non sono bastate. L’ansia di cambiamento, non soddisfatta, che Renzi avrebbe potuto intercettare, semplicemente si è riversata sui 5Stelle, i quali, pare assodato, abbiano preso una buona parte di voti dal Pd.

Cordialmente. Lorenzo Borla

giovanni b. ha detto...

Caro Borla, ho seguito con interesse e condivisione i numerosi contributi che hai dato sin qui al dibattito sulla mailing list. In quest’ultima evoluzione non ti seguo. Già il PD di Bersani non è stato entusiasmante per chi ha idee di sinistra e anche in questo sono ravvisabili le ragioni della non vittoria, ma qualche attenzione alle esigenze dei cittadini in maggiori difficoltà e qualche distinguo rispetto al liberismo dilagante era apprezzabile. Renzi è una personalità della destra liberista, più presentabile di Berlusconi e Grillo, ma pur sempre dall’altra parte della barricata. Del resto ho sempre pensato che le politiche di destra è meglio se le attuano formazioni di destra: la sinistra ha altri compiti storici. Oltretutto non è detto che Renzi vinca, come non era detto che vincesse Bersani. Personalmente non è certo che lo voterei, anche se considererò l’evoluzione delle situazioni e le sue proposte: potrebbe perdere a sinistra quel che guadagnasse a destra. Continuo a pensare che la scomposizione del PD e la nascita di un movimento di sinistra di qualche consistenza, ma con le idee chiare, certo inizialmente minoritario, sia l’unica strada per avviarci verso una normalità europea della composizione politica in Italia. Cari saluti. Giovanni Baccalini

paolo ha detto...

Cari amici,

anch'io sono iscritto al PD, e con questo finiscono le cose che condivido dello scritto di Borla.

Enuncio in sintesi il mio punto di vista.

▫ un partito traduce in organizzazione un insieme di valori, esigenze, interessi, mutuamente compatibili, che si riflettono in obbiettivi politici più o meno condivisi. In generale, in questi "insiemi" si riflettono prevalentemente alcuni ceti e gruppi sociali, meno altri. La pretesa di rappresentare "tutti gli elettori onesti" è assurda: altri ceti e gruppi avranno obbiettivi diversi che si esprimono legittimamente attraverso il voto ad altri partiti.

▫ ciò spiega perfettamente il voto a Berlusconi o Monti (che non rappresentano gli stessi ceti, non sono intercambiabili). Non si tratta di "elettori alieni", si tratta di destra strutturale di due diversi generi, non c'è nessun mistero. "Non ci piacevano quei voti?" Ovvio che non ci piacevano, scopo della azione politica non è "raccogliere qualunque voto possibile, a qualunque costo" – è far sì che gli obbiettivi politici che condividiamo si realizzino nella maggior misura possibile; non ha senso lasciar da parte gli obbiettivi per raccogliere più voti [ricordo quando nel 2010 Cacciari ci spiegava che avremmo dovuto candidare Albertini per vincere alle comunali di Milano…]

▫ il PD è ovviamente tutt'altro che perfetto. In particolare, ha avuto il difetto di "vocazione maggioritaria" che comporta il "ma-anch'ismo" come dice Franco D'Alfonso. Avrà un futuro se riuscirà ad essere un grande partito della sinistra moderna (non: "del centrosinistra". Di centrosinstra può essere una coalizione, non un partito).

▫ il secondo governo Prodi è stato pessimo (come tutto il prodi-veltronismo) proprio per le cose che Borla apprezza: la politica dei due tempi di Padoa Schioppa (parce sepulto…) e anche la politica nei Balcani, subalterna alle scelte di altri. In ogni caso, quel governo è caduto a causa della inopinata scelta di Veltroni verso il bipartitismo (discorso di Orvieto).

▫ la crisi ha moltiplicato l'insofferenza sociale. La sinistra-sinistra non ha proposto un'alternativa credibile (il riscatto sociale affidato a Ingroia, Di Pietro, De Magistris ???). Il PD, che pure è molto migliorato, non aveva un profilo abbastanza netto: Letta o Fassina, Boccia o Orfini, la politica di Ichino o quella di Damiano? E cosa avrebbero dovuto fare gli "insofferenti" se non votare Grillo?

▫ il fenomeno Renzi finora è ambivalente: drastico rinnovamento + scelte moderate. Il primo elemento è, ormai, vitale per il PD (e qualunque altro partito), se vuole sopravvivere; stupisce che la nostra classe dirigente non l'abbia capito e resista ad adottarlo, se non altro per un riflesso di autoconservazione: l'idea di candidare Finocchiaro e Franceschini era semplicemente demenziale, qualche santo ci ha trattenuto sull'orlo dell'abisso. Delle scelte moderate, invece, ho già detto. Perciò, non sono pregiudizialmente contrario a Renzi, per il futuro, ma deve scegliere cosa vuol essere. Se sarà il Renzi modernizzatore, è una risorsa. Se sarà il centrista moderato, al PD non serve.



Paolo Zinna

claudio ha detto...

paolo, ma la sinistra in Italia non è mai stata maggioranza, e così nei maggiori paesei europei. Si è riusciti a governare solo dopo che c'è stata una destra particolarmente indegna (in questo non abbiamo problemi) e una sinistra che cerca i voti al centro e anche nei destri delusi. L'idea di fare una maggioranza con tutta la sinistra non esiste, se non nella follia di qualche prof di liceo: semplicemente non ci sono i numeri. Anche in Francia, e Germania c'è una sinistra estrema che non governa. Ci sono più cose al mondo dei nostri schemini...

lorenzo ha detto...

Cari amici,
qualcuno ricorda quel che ha detto Renzi dopo le primarie? . Personalmente mi sono stufato di perdere: e il solo modo di vincere è quello di avere più voti. Per esempio, al secondo turno delle primarie abbiamo respinto il 90 per cento di quelli che, non avendo partecipato al primo turno, volevano votare. Lo so direttamente perché ero presidente di seggio. Questi elettori presumibilmente avranno detto: . Si ripropone un eterno problema: la purezza del Partito a priori, il profilo netto, condizioni e distinguo: e da dove sarebbero venuti più voti? Dalla sinistra già ridotta al lumicino? Ricordo un salotto televisivo, dopo le elezioni del ’94, in cui qualcuno chiese sarcasticamente a Bertinotti: A cui Bertinotti rispose, tronfio e gongolante: Evidentemente godeva ad essere all’opposizione, tanto è vero che poi ha fatto cadere due volte il governo Prodi consegnando il Paese non tanto a una destra astratta, ma alla destra di Berlusconi, il peggio del peggio. Avrebbe fatto meglio ad accettarle, le lezioni. Forse il suo partito non sarebbe scomparso. Sinceramente non ricordo cosa sia (stata) la politica dei due tempi di Padoa Schioppa e quella dei Balcani: certo, il Prodi 2 era un governo con troppi partiti e troppi contrasti; certo, il discorso di Veltroni non ha certo giovato, ma almeno quel governo l’economia la teneva sotto controllo. , dice ancora Paolo Zinna. E saprebbe dire quali sono gli obiettivi di Bersani che hanno fatto perdere voti? In realtà a me sembra che fosse questione non di obiettivi, ma di più o meno cambiamento. Bersani è apparso aggrappato a vecchi schemi e a un vecchio apparato. Non a caso il primo commento a caldo dopo le elezioni è stato: . Troppo tardi, dovevi dirlo prima. E gli otto punti? Troppo tardi, dovevi dirli prima. Cordialmente. Lorenzo Borla

lorenzo ha detto...

Caro Giovanni,
confesso che il mio proposito di appoggiare Renzi (del tutto astratto al momento) scende più da una reazione emotiva che non da una scelta ragionata. Sono stufo di perdere. . Da dove sarebbero dovuti arrivare i voti a Bersani, dal momento che la (le) sinistre sono ridotte al lumicino, e chi ha votato a sinistra comunque non voterebbe Pd? A meno che non si pensi che chi si è spostato su Grillo è perché in Grillo vedeva più sinistra . Su questo sono pienamente d’accordo. Vale per Bersani come vale per Renzi. Che poi Renzi sia un rappresentante della destra liberista (come Alesina e Giavazzi, von Hayek e Friedman) ho qualche dubbio. Dopotutto Renzi sta nel Pd e non altrove, e non ha intenzione di spostarsi. Direi che la solidarietà sociale è parte integrante dei valori del Pd, e sicuramente è stata troppo trascurata, troppo data per implicita, sia da Bersani che da Renzi. Mi sembra che Renzi, più che crederci davvero, nel liberismo di destra, abbia voluto apparire tale semplicemente per prendere i voti della destra. Cioè per vincere le elezioni. Io, come tutti, ho un giro di conoscenze anche fra i berlusconiani: senza pretese statistiche, non sono pochi quelli che in questa tornata elettorale avrebbero votato Pd se il leader fosse stato Renzi. Teniamo anche presente quello che i sociologi hanno ripetuto mille volte: nella società dello spettacolo una parte degli elettori vota “il personaggio” e la sua capacità persuasiva, piuttosto che le sue idee. Questi ragionamenti ovviamente trascurano le cose da fare, gli obiettivi dei contendenti, che dovrebbero essere oggetto di valutazione discriminante. Ebbene, nel corso della campagna elettorale, ho raccolto un certo numero di “propositi”, che dovrebbero semplicemente “modernizzare” il nostro Stato, perdente in tutta una serie di classifiche internazionali, sia economiche che sociali (il che forse parrebbe più importante, oggettivamente, di chi riuscisse a farle). Ebbene, chiedo, sono propositi che potrebbero fare una differenza decisiva tra Renzi piuttosto che Bersani? Cordialissimi saluti. Lorenzo Borla

felice ha detto...

Tutto BENE, ANCHE QUEL CHE NON FINISCE BENE, è già un passo avanti non
autoassolversi dopo essersi autoingannati. Tuttavia credo che la riflessione
sugli erori sia superficiale se si ripetono gli errori. Il problema principale
è quello di costruire una sinistra democ ratica, socialista, laica e autonoma
come in Europa. Questa identità non ci deriva dalle alleanze. Aprire a 5 Stelle
anche con atti unilaterali non porta da nessuna parte, da l'impressione di
manovre strumentali e poi chi ingoia rospi ed insulti non è credibile.
Dovremmo cominciare con un'operazione trasparenza, chiedere che si facciano i
nomi dei candidabili alla Presidenza della Repubblica dicendo che siamo per una
discussione pubblica sulle candature. Solo così si evitano le trattative nei
corridoi. Forse siamo davvero nella Terza Repubblica, fossimo nella seconda il
personaggio andava scelto nel c ampo cristiano. I laici hanno occupato 2
mandati con Ciampi e Napolitano e prima di loro l'accoppiata cristiana con
Cossiga e Scalfaro. Se il candiato deve avere il profilo non politico delle
Presidenze di Camera e Senato dobbiamo andare su persona sperimentata in
qualche ruolo pubblico. C'è IL RISCHIO CHE SI VOTI ANCORA CON LA STESSA LEGGE
ELETTORALE E STAVOLTA IL CENTRO SINISTRA NON HA PIù MARGINI PER PERDITA DI
VOTI. VENERDì LA CASSAZIONE DEVE DECIDERE SE MANDARE IN CORTE cOSTITUZIONALE IL
PORCELLU.M TUTTI DICONO CHE è COLPA DELLA LEGGE ELETTORALE SE CI TROVIAMO IN
QUESTA SITUAZIONE MA INTANTO NON ESCE UN RIGO SU QUESTO FATTO. PERCHé? iL BELLO
è CHE IL SILENZIO è UNANIME dal FATTO QUOTIDIANO A LiBERO, dall'Unità al
Corriere della Sera all'Unità, dal giornale a Repubblica, anche il blog di
Grillo è silente, forse pensa di prendersi lui il premio di maggioranza.

Felice Besostri


luciano ha detto...

Caro Lorenzo,
dev'essere per colpa degli occhiali bolscevichi che secondo Claudio Bellavita falsano la mia percezione della realtà (dopo una vita da saragattiano, tutto potevo immaginare ...), ma io proprio non ci arrivo a capire i ragionamenti di chi come te, come Claudio o come Franco D'Alfonso trae dal severo responso delle urne la conferma che Renzi avrebbe vinto.
Vi capirei se le elezioni le avesse vinte Monti: Renzi diceva [semplifico] "perché dobbiamo allearci con i centristi facendo prendere a loro 'per conto terzi' i voti moderati in uscita dalla destra, quando possiamo prenderli noi facendo in prima persona una proposta politica basata su mercato, modernizzazione, concorrenza ecc. ecc. ?"
Vi capirei se le elezioni le avesse vinte Berlusconi.
Vi capirei se il Pd avesse perduto consensi verso destra o verso il centro.
Invece nulla di tutto questo si è verificato. Monti ha fatto un flop colossale. Berlusconi e alleati hanno perso 8 milioni di voti. Il Pd ha perso qualche milione di voti.
Le elezioni le ha stravinte Grillo, che ha intercettato la protesta e la delusione a destra e a sinistra. Protesta e delusione che in altra parte hanno alimentato l'astensione.
Presumere che, con la guida di Renzi, la protesta e la delusione degli elettori che in passato avevano votato Pd potessero essere arginate, e addirittura che il centro-sinistra sarebbe risultato attrattivo per gli elettori in uscita dalla destra, significa a mio modesto avviso non avere la più pallida idea delle vere ragioni che hanno determinato lo smottamento a favore del M5S.
Tutto si può pensare di quegli elettori in libera uscita, ma non che abbiano espresso una domanda che potesse incontrarsi con l'offerta di Renzi (mercato, modernizzazione, concorrenza ecc. ecc.).
Quegli elettori hanno espresso rabbia, paura, disperazione e, soprattutto, la convinzione che "PDL, PDmenoL e Monti" siano tutti uguali, siano indistinguibili sul piano morale e siano fungibili sul piano della proposta politica. Hanno espresso la convinzione che i partiti dell'establishment siano tutti ugualmente incapaci di rappresentarli, di tutelare i loro concreti interessi, di offrire loro un'idea di futuro diversa da quella di "mangiare questa minestra".
Poiché il PD è stato dal 2008 la forza egemone dell'opposizione parlamentare a Berlusconi, è palese che il fatto che sia stato percepito come omologato ed incapace/indegno di rappresentare un'alternativa alle politiche che hanno suscitato una così possente protesta interroga profondamente quel partito, dice - sempre a mio sommesso parere - che sarebbe stato necessario prendere le distanze (quindi non passare l'ultimo anno nella strana maggioranza ABC) e presentarsi con una proposta politica più coraggiosamente "altra" (quindi non il montismo forever).
Non so come dirlo, ma tra questa sicuramente confusa ma potente domanda di radicale alternativa, da una parte, ed il giovanilismo da paraculo della Leopolda e le ricette di Ichino-Zingales, dall'altra, c'è lo stesso rapporto che corre tra una bomba atomica ed un fuoco d'artificio di capodanno.
Forse io dovrò cambiare gli occhiali, ma a me pare che le due cose si distinguano abbastanza bene anche a occhio nudo.
Fraterni saluti.

Luciano Belli Paci

maurizio ha detto...

Troppo tardi sia per il cambiamento sia per gli otto punti, sono d'accordo. E anche sul vecchio apparato è impossibile non esserlo. Quella che invece non condivido è l'accusa relativa ai vecchi schemi (quali?). Per me l'errore, grave, di Bersani e del PD è stato l'eccessivo appiattimento sull'austerità, il parlare troppo e inutilmente di accordi post elettorali con il centro di Monti (centro si fa per dire, in realtà seconda destra accanto a quella berlusconiana), l'eccessiva preoccupazione di rassicurare Frau Merkel, la City e la troika europea (chiedo scusa se ripeto cose già dette, ma questa è la mia opinione). Se invece si ritiene che Bersani abbia fatto una campagna elettorale da pasdaran di sinistra e che invece di allearsi con SEL il PD avrebbe dovuto allearsi con Monti e magari con Casini e Fini perché non dirlo? Almeno tutto sarebbe più chiaro e meno personalizzato.
Fraterni saluti

Maurizio Giancola

felice ha detto...

Tutti sanno come l'esperienza cilena abbia segnato anche il dibattito italiano, come è stata per4 la lezione tratta dal golpe contro un presidente eletto con la maggioranza relativa dei voti, tanto che ha dovuto essere ratificato dal Parlamento ,grazie ai ccentristi DC, che altrimenti avrebbero dovuto votare per Jorge Alessandri della destra. Non so quale sarebbe stato l'esito se la scelta fosse stata tra Allende e un DC. Il compronmesso storico fu la lezione tratta da Berlinguer, invece di quella della necessità di una maggiore omogeneitàdele forze coalizzate dove la distinzione tra rivoluzionari e riformisti è stata fatale. Ebbene nella transizione alla democrazia una parte dell'opposizione diede vita ad un partito PPD Partido para la Democracia presieduto dal socialista Lagos. Insieme con la DC e il PSch diedero vita a una Concertacion che asicurò ad un centro sinistra la vittoria a tutte le presidenziali fino alla Bachelet. Fu una modifica della trdizionale tre terzi in cui c'era una sinistra un centro e una destra. Con l'ultimo presidente vinse di nuovo la destra perché la scelta del candidato più moderato della Concertacion provoco la nascita di una sinistra piiù radicale.

Ora la sinistra più radicale rappresenta il terzo polo, ma non un terzo dell'elettorato, la destra resta così favorita.
Per seguire lo sche cileno della transizione il PD o una sua parte deve svolgere il ruolo del PPD e la sinistra riaggregarsi intorno ad un partito di Sinistra di tipo socialista ( non tanto il nome) quanto lil ruolo giocato dai partiti del PSE nel resto d'Europa. Renzi potebbe eessere il capo del PPD italiano, ma non di un partito unico del centro-sinistra. La nostra anomalità è che anche noi siamo un sistema tripolare coon CSX-Destra- 5 Stelle, con un'aqppendice centrista. L'anomalia italiana continua perché la nostraa tripolarità non è conducubile allo schema di sinistra-centro- destra, infatti i grillini simbolicamente stanno in alto. Se ci fosse un centrismo che riassorbisse la destra si potrebbe fare un ragionamento cileno, così no. CSX e DX non possono governare insieme ma CSX e 5 Stelle non è credibiòle. Bisognerà rivotare ma senza porcellum i cui premi di maggioranza, oltre che essere incostituzionali rendono il paese ingovernabile. Non lamentiamoci il CSX con meno del 30% dei voti ha il 55% dei seggi alla Camera, ma non deve dimenticarsi che rappresenta circa il 22,5% dell'elettorato: una percentuale che tra l'altro non comprende la maggioranza degli operai e dei giovani.





Felice Besostri





sergio ha detto...

Da vecchio lombardiano mi sento d'accordo con il vecchio saragattiano Belli
Paci, Potrebbe essere un buon segno... se non si usano occhiali deformanti.
Ai compagno giovanil-renziani l'ardua risposta.
Sergio Ferrari

mauro ha detto...

Sul voto e sul ruolo di SeL.

In modo sbrigativo ma veritiero si può dire: ha vinto Grillo, ha perso il
c/s, Monti è collassato, Berlusconi e la Lega sono al punto più basso del
loro consenso, SeL è nell'angolo , la vittoria e la riconfermata egemonia
della destra in Lombardia è un problema nazionale di prima grandezza, il
populismo (non un'offesa ma una constatazione) in declino di Berlusconi si
somma a quello per ora trionfante del M5S. Entrambi tengono l'Italia sotto
scacco, in questo aiutati dall'evidente debolezza della coalizione guidata
da Bersani. No alle politiche di Monti, si ad un cambiamento, dai caratteri
confusi, in cui molto pesa la sofferenza sociale.
Sui ragionamenti controfattuali e del senno di poi , del tipo " se avesse
giocato Renzi" , si può osservare
che se l'avversario è quel populismo (figlio in gran parte delle
diseguaglianze e di quel che ne segue) esso potrà essere battuto solo da una
combinazione a tinte forti, nell'ordine di priorità, di: chiarezza della
proposta politica , format organizzativo-partecipativo , comunicazione
efficace, impegno di molti, presenza di un testimone attendibile alla guida
di tutto questo.
Ridurre tutta la vicenda al precipitato Renzi V Bersani è una palese
assurdità : bene lo insegna Ernesto Laclau quando spiega - nel suo "la
ragione populista" - che non si smonta il c.d. "significante vuoto"
(Berlusconi in un caso, Grillo nell'altro)- in grado di tener assieme le più
contraddittorie domande sociali - contrapponendogli una logica simile sotto
altre spoglie.

mauro ha detto...

In una parola: le scorciatoie di qualsiasi forma di
populismo, che è un modo di costruzione del politico , conducono alla
dannazione.
Discettar di Renzi senza nulla poter dire e sapere sugli equilibri e le
culture che prevarranno nel Pd , e nella coalizione, all'uscita di scena di
Bersani, è parlare al vento. Vedremo.

Quanto a SeL, condivido l'opinione di Turci : la lettura del voto da parte
di Vendola è onesta. E certamente apprezzabili l'analisi dello spirito del
tempo , l'indicazione di collocare SeL nell'ambito del PSE, la comprensione
della natura del M5S.
Difficile tuttavia non cogliere anche la debolezza della visione : si prende
atto dello stato attuale delle cose senza aggiornare la proposta politica,
come se la storia di oggi fosse quella di ieri.
Si ribadisce il ruolo di SeL come "lievito" senza definire le condizioni che
renderebbero forse possibile uno svolgersi positivo di quel ruolo.
Nessun accenno alla perdurante, e ormai imbarazzante , personalizzazione del
partito, circostanza che spiega anche un'ulteriore difficoltà: la mancata
comprensione del fatto che le vittorie alle amministrative (Cagliari,
Genova, Milano) non erano originate dalle virtù di un brand , espressione di
egemonia nel c/s, ma dal temporaneo manifestarsi di una contingenza.
Dissoltasi nel breve volgere di un anno non solo a causa dell'apparir di
Renzi, come si dice da parte di Vendola, ma soprattutto a causa della
debolezza della proposta politica di SeL. Eccessivamente ed erroneamente
basata sul carisma , ora discendente, del suo capo. Caratterizzata
dall'indicare una prospettiva (il lievito per una grande forza popolare di
progresso) in una maniera astratta, come tale incapace di produrre
significative conseguenze nell'ambito del c/s e della sinistra italiana.
L'alternativa per SeL ,a me pare, non è tra l'attesa messianica di
un'evoluzione/implosione del PD , da una parte, e la confluenza passiva e
unilaterale nel PD stesso, dall'altra: scelte entrambe prive di orizzonte e
figlie di una resa all'idea che solo l'imprevedibilità della storia potrà
offrire soluzione ai nostri problemi. E' piuttosto nell'indicare una chiara
prospettiva politica ,ambiziosa ma realistica: divenire membro effettivo del
PSE proponendo contemporaneamente a Pd e PSI di dar vita ad una costituente
per la nascita di un'unico partito di chiaro orientamento socialista.
Questa è la sfida da lanciare al centro sinistra e sulla quale impegnare le
proprie forze: si deciderà poi via via, a seconda dei risultati, il da
farsi. Tutto , meno che rimanere prigionieri di visione che procede, senza
cambiamenti, per inerzia.


Mauro Sentimenti

lanfranco ha detto...

Condivido le argomentazioni di luciano. Renzi avrebbe sottratto voti a
monti e forse qualcuno anche al cdx, ma ne avrebbe persi a sinistra e
non credo che la sua versione della rottamazione e la sua "
antipolitica " avrebbero trattenuto molta parte dell'onda grillina.
Attenti però a quello che sta avvenendo nel pd in questi giorni. Ho
l'impressione che stia quagliando un midas piddino, con un renzi che
mantiene il timbro del " rinnovamento", ma assume la linea
economico-sociale dei giovani turchi, il tutto come preparazione di
una nuova partita elettorale nel caso fallisca il tentativo di
bersani. L'ipotesi resterebbe la stessa di bersani dopo il risultato
elettorale e l'autocritica per aver fatto una campagna elettorale al
di sotto della gravità della situazione. l'ipotesi insomma di tentare
un forte recupero del voto grillino e uno spostamento di pezzi del
movimento stesso. In questo scenario ci sarebbe un renzi nuova
versione, cosa non impossibile, data la debolezza strutturale della
sua cultura politica. Che poi possa bastare è un altro problema!

lorenzo ha detto...

Caro Luciano.

dopo le elezioni ho letto nel blog del Rosselli commenti che dicevano,
presso a poco, .
Scampando alla tentazione di innescare una querelle su che cosa significhi
che Bersani è troppo a destra (o viceversa, per altri, che è troppo a
sinistra) mi chiedo da dove sarebbero dovuti venire i voti, al Pd, per
vincere. Forse dallo sparuto drappello che ha votato per Ingroia? Oppure
dagli astenuti che mostrano un assoluto rifiuto della politica e volendo
potevano comunque scegliere fra la sinistra di Vendola e quella di Ingroia?
Oppure da quelli che hanno votato Grillo, che chiaramente di destra e
sinistra non ne vogliono più sentir parlare? Chi invece avrebbe votato
Renzi? Qui bisogna chiarire un punto. Credo sia una pia illusione che l’elettore
medio italiano (il 50% di cui, secondo Tullio De Mauro, è analfabeta di
ritorno) capisca quanto a destra o sinistra stia Bersani, quanto a destra o
sinistra stia Renzi. I caratteri distintivi di Renzi (stare a destra di
Bersani, oppure a sinistra di Berlusconi) sono schemi mentali nostri, come
tutto questo dibattito, legato alla vecchia politica. Ma tu credi che gli
elettori di Grillo capiscano, o ci credano, alle minchiate che dice? Ne
colgono la furia iconoclasta, gli basta l’invettiva contro quella politica
fatta di connivenze, che ci ha portato a questo punto di sfacelo. E noi ci
ostiniamo a non capire quali siano le discriminanti per l’elettore comune,
perchè diamo per scontato che siano le nostre. Se costringessimo, pistola
alla tempia, l’elettore medio italiano a leggere questo blog, arriverebbe
alla conclusione che siamo tutti matti. Come Bersani e tanti politici di
sinistra ci siamo rinchiusi in una torre d’avorio dove parliamo un
linguaggio solo nostro, complicatissimo, che facciamo fatica semplificare
perché ci suonerebbe falso. Tutto vero, invece, l’efficace ritratto che fai
degli elettori di Grillo. Ma mi sembra che in questo ritratto tu abbia
dimenticato una parola: importante: (desiderio, volontà, richiesta di)
cambiamento. A una grande maggioranza di elettori di Grillo (e anche non di
Grillo) gli fa venire l’itterizia solo a sentir parlare di D’Alema,
Veltroni, Bindi, Franceschini, e compagnia cantante. Ma anche a sentire le
narrazioni di Vendola. Perché giustamente identificano i protagonisti con il
fallimento della politica. E’ da almeno un anno che sentiamo notizie
drammatiche sulla povertà in Italia: ci voleva Laura Boldrini, con il senso
che le viene dall’esperienza, per dire queste semplici parole: dobbiamo fare
la guerra alla povertà, non ai poveri. Ora, Renzi aveva intercettato il
desiderio di cambiamento, l’aveva fortemente impersonato come rottamatore, e
si era fatto una credibilità come capace di mettere in atto questo impegno
(come minimo di cambiare le facce di falliti, che era già una buona cosa).
Forse ci siamo dimenticati che è stato votato dal 40% degli elettori più
fedeli (quelli che vanno alle primarie) del Pd? E per quale motivo lo hanno
votato? Perché è un liberista di destra, come ha detto qualcuno? O perchè
gli si è dato credito come motore di trasformazione? Questa è la mia modesta
interpretazione dei fatti. Molto cordialmente. Lorenzo Borla

franco ha detto...

Luciano, non ho detto che Renzi avrebbe vinto le elezioni, ho detto che avrebbe dato una immagine diversa rispetto a quella sempre e comunque perdente del Pd. In realtà credo che Bersani avrebbe vinto se si fosse dimesso per tempo da segretario del partito o se avesse avuto la capacità di mantenere l'immagine di apertura che le primarie ( e Renzi..) gli avevano garantito , invece di fare le primariette del 31 dicembre per mettere in testa di lista Barbara Pollastrini ( nel 2013 , non nel 1993 !!! ).
E comunque tutti i sondaggi, per quello che valgono, hanno sempre detto che Bersani avrebbe vinto le primarie, ma Renzi era davanti a lui nello scontro con ilo centrodx di otto/dieci punti sempre. Vorrà dire qualcosa o no ?
Infine, confermo che non mi è simpatico Renzi e che non ne condvido le poche idee che ho avuto modo e tempo di approfondire.
Franco

giovanni ha detto...

Aggiungo qualche osservazione per rispondere a Lorenzo Borla, precisando il mio punto di vista. Se è vero, come io credo, che il liberismo rappresenta la risposta vincente del capitale finanziario, culturale, politica e programmatica, alle conquiste egualitarie degli anni '50 - '70, l'errore del PD è stato di non denunciare l'errore di fondo delle politiche economiche delle autorità politiche europee e del montismo. L'origine della sconfitta sta nel non aver chiesto le elezioni nell'autunno 2011, avvallando la favola del precipizio vicino. Il precipizio si sarebbe allontanato se ai ceti del lavoro manuale, intellettuale e professionale si fosse rivolta una proposta alternativa forte, fondata sul prelievo ai grandi patrimoni e su misure per la crescita, accompagnate da un più deciso impegno per il rinnovamento. Bersani sembra aver almeno in parete trovato ora il coraggio per simili scelte, ma ha chiuso la stalla quando i buoi erano scappati. Bisogna anche riconoscere che se il PD ha perso assai meno dei suoi tradizionali concorrenti, ciò è dovuto al fatto che le proposte elettorali di Bersani in una certa misura hanno tenuto conto delle aspettative diffuse. Io credo che il PD avrebbe più bisogno di Fassina che di Renzi, ma la sua composizione non lo consentirà. Sono sempre dell'opinione che occorra partire da un a scomposizione e ricomposizione delle forze progressiste, anche se il cammino non sarebbe ne facile ne breve, per aprirsi a qualche speranza. Cari saluti. Giovanni Baccalini

claudio ha detto...

dopo un po' che si leggono i post in politichese, comincia un curioso
effetto di straniazione dalla realtà. Che, mi duole informare i maniaci
dello strumento, ignora del tutto l'uso del sinistrometro, fondamentale per
tranciare giudizi in Italia e all'estero per il politichese ben allevato. Il
quale lancia anche anatemi contro chi è così sbrigativo da misurare il voto
giovanile in base alla differenza di voti tra senato e camera: Ma come!
grida sdegnato il dotto maestro, cè la pratica del voto disgiunto...mangio
un gatto crudo se lo hanno fatto più di 12.527 ìtaliani, anzi, lombardi-----

Paolo ha detto...

Caro Borla e caro Claudio,

mi spiego meglio rispetto alle vostre osservazioni. Giusto dire che la sinistra in Italia, da sola non ha la maggioranza – ma non ho mai sostenuto che il partito della sinistra di governo debba proporsi di governare da solo, con il 51%! Mettiamola così: io penso che il PD abbia ricevuto ancora troppi voti!

Credo più sano che le varie forze politiche presentino agli elettori programmi chiari e corrispondenti al proprio ruolo. La formazione di un governo nascerà da ragionevoli mediazioni fra le varie forze che porterebbero ad un programma condiviso. La varie consistenze elettorali determineranno ove si fermi l'ago della bilancia della coalizione.Su questo meccanismo si è basato il sistema della prima repubblica e sfido chiunque a sostenere che essa non sia stata capace di profonde riforme di progresso ('60 -'80)….

Non vedo assolutamente perché un partito (PD o qualunque altro) debba autocensurare il proprio pensiero per introiettare in sé una specie di "coalizione a preventivo".



Il problema, questa volta, sta nel fatto che gli elettori hanno premiato forze "non coalizionabili" (M5S, PdL).

E perché hanno votato M5S? perché erano stufi di votare il PD "meno peggio", che non li ha mai entusiasmati – sono esattamente gli stessi elettori di "sinistra controvoglia" che, nelle occasioni nelle quali sapevano di rischiare poco (primarie) hanno fatto vincere Vendola, Pisapia, De Magistris, ecc, ecc. Quando la crisi ha cominciato a mordere davvero (e noi a sostenere Monti oltre ogni ragionevole necessità) hanno risposto: sai che ti dico? Io voto chi ti vuol prendere a calci.

Non credo proprio (anche sulla base di esperienza diretta ai seggi) che gli elettori di Renzi fossero "gli elettori più fedeli (quelli che vanno alle primarie) del Pd". Erano elettori in prevalenza moderati (ma non solo) che venivano apposta questa volta per votare "qualcuno di diverso dal PD". In generale, naturali elettori di una partito riformista di centro. E lasciamoglieli!



Infine, non credo affatto che Renzi debba essere messo in un angolo: Renzi non è Rutelli! Lo ho già scritto: oggi Renzi è ambivalente, vediamo cosa sceglierà.

Comunque concordo con Lanfranco Turci: in questi giorni sembra che stia emergendo un'inedita alleanza Renzi – "giovani turchi", all'insegna del rinnovamento.

Paolo Zinna

giovanni ha detto...

Non particolarmente inedita, caro Paolo: ti ricordi del Midas?

claudio ha detto...

condivido, Paolo, ma non afferro il tuo "e lasciamoglieli!" : senza il voto dei "riformisti di centro" non avremo mai la maggioranza. E piuttosto che vadano a un apposito partito preferisco che vadano a una nuova guida del PD che almeno sbaracca l'apparato che io chiamo brezneviano.Quelli che son convinti di fare una carriera statale, con lo scatto di anzianità ogni 2 anni e la promozione garantita dal sindacato ogni 3 scatti. Per cui adesso ci troviamo con 8 candidati alle primarie di Roma, che avrà sicuramente un sindaco grillino.
A meno di lasciare a casa i nostri e candidare Riccardi che non ha voluto andare in una lista dove c'è l'orrido Casini. E che se arriva corredato di una benedizione papale è fatta.

franco ha detto...

Ho una pragmatica osservazione alle deduzioni di Lanfranco.

Oggi e ieri sono stati fatti nuovi rilevamenti di intenzioni di voto che
sono
Espressione di tutte le anime del paese.

Renzi continua ad essere indicato come il leader più voluto dagli italiani
tutti.

44% contro 29% Bersani nel confronto tra i due e 38% contro 20% tra tutti.

Ora se tu vuoi dire che Renzi non rappresenta il tuo pensiero esprimi una
valutazione tua personale che è determinata
dalla tua storia, sensibilità e cultura.

Ho ripreso a frequentare, appoggiando Renzi, il PD.

La frequentazione media supera i 55 anni.

Sono ben rappresentati ( ho indicazioni precise dalle province di Milano,
Pavia e Novara )
i pensionati, i dipendenti statali, i sindacalisti e gli impiegati ( una
volta li avremmo chiamati colletti bianchi 9

Sono presenti, in misura non superiore al 5 % gli operai ed i piccoli
lavoratori autonomi ( le vere vittime di questa
Situazione economica e sociale -indifesi e in balia di padroni che li
trattano da Dominus )

La rilevazione delle elezioni ha inoltre permesso di verificare che non c'è
sintonia con i giovani.

Questi i risultati :

Elezioni 2013 Camera Senato Voti dei giovani %
solo giovani

Movimento 5 stelle 8.689.168 7.285.648 1.403.520
41,46

TOTALE BERSANI 8.958.161 8.774.051 184.110
5,44

TOTALE BERLUSCONI 8.532.956 8.077.231 455.725
13,46

TOTALE MONTI 3.591.629 2.797.451 794.178
23,46

Lega Nord 1.390.156 1.328.555 61.601
1,82

SEL 1.089.442 912.347 177.095
5,23

Liste diverse 1.751.014 1.442.262 308.752
9,12

TOTALE VOTANTI 34.002.523 30.617.545 3.384.978 100,00

Aggiungo che secondo sondaggi il PD è votato dal 35/40% dei pensionati.

Ciò equivale a circa 4.400.000 voti ricevuti = oltre il 50% dei nostri
votanti.

Scusate ma togliamo gli orpelli dei vecchi linguaggi politici.

Si rivolgono ad una società che non c'è più = quella industriale cui abbiamo
dato seguito
con questa società dei servizi a persone ed imprese e del caos organizzato
finanziario.

Franco Donati

maurizio ha detto...

Se questa marcia di avvicinamento fra i cosiddetti "giovani turchi" e Renzi e i renziani sarà confermata potrebbe esserci davvero un nuovo PD. L'importante è che non si tratti di nuovismo fine a sé stesso e/o di un maquillage esclusivamente giovanilistico. Se invece Renzi, che di sicuro non è stupido, ha capito che di neo-liberismo e di austerity stiamo morendo, e di conseguenza si apre ad analisi non conformistiche della crisi, forse si comincia ad andare nella direzione giusta. Non si è ancora ad una netta opzione socialista/socialdemocratica, ma per approssimazioni successive ci si potrebbe arrivare. Purché il PD la smetta di voler conciliare dentro di sé tutto ed il suo contrario.
Maurizio Giancola

claudio ha detto...

infatti: non sarebbe una tragedia emerginare gli ostinati morandiani: seguano Ichino. Poi , in base ai risultati elettorali, si vedrà. Ceerto che il declino vertiginoso di SeL deve anche far pensare

lorenzo ha detto...

Parlo pro domo mea. Mi permetto di sottolineare una frase della lettera di Franco Donadi: . Questa notizia, insieme a quelle sull’avvicinamento fra “turchi” e “renziani” (sempre che non siano inventate di sana pianta) portano acqua, mi permetto di dire, al mio mulino: 1. E’ in atto, rispetto all’esito delle primarie, uno spostamento di preferenze a favore di Renzi sia nel Partito democratico che fuori. 2. Queste preferenze prescindono dalla “collocazione” di Renzi nello spettro politico: e precisamente dal fatto che Renzi sia o meno un “liberista di destra”. 3. Renzi viene visto in primis come artefice di cambiamento/rinnovamento, a prescindere da dove si colloca. 4. Forse possiamo dedurne che gli schemi mentali secondo i quali siamo usi a valutare le posizioni politiche (non parliamo neanche dei grillini che, forse giustamente, vogliono smontare tutto) sono un tantino obsoleti. Il vero banco di prova per giudicare “destra e sinistra” di qualsiasi esecutivo saranno le misure intraprese. Cari saluti. Lorenzo Borla

luigi ha detto...

I nostri compagni socialisti sotto il fascismo si sono mai posti la
questione se i sondaggi nazionali premiavano Mussolini rispetto a
Turati o Matteotti ? Non credo, pure in infima minoranza, al
confino, torturati, fino all morte hanno continuato a battersi
contro la dittatura di Mussolini che il 95% degli italiani
entusiasticamenteaccettavano.
Poi periodo 1947 - anni 80 ... si è mai sollevato il problema di
mettere De Gasteri o Andreotti al posto di segretario del PSI Nenni
o De Martino perché avevano maggior seguito nell'opinione pubblica?
Nenni e De Martino erano leaders che avevano in testa il modello
economico socialdemocratico europeo e il riferimento giuridico
solenne della Costituzione che condividevano con la loro base e
quadri dirigenti del partito. Punto. Certo mi si potrebbe dire che
con Craxi dal momento in cui si è cominciato a insistere sulla
"governabilità per la governabilità" che fosse capo di governo lui o
De Mita poco importava. Ma al tempo del centro-sinistra anche il
democristiano De Mita in economia seguiva il modello economico
previsto dal titolo terzo parte economica e tanto bastava per
garantire il benessere alla stragrande maggioranza del popolo
italiano. E' dopo il 90 con la deriva neoliberista accettata anche
dal PSE e dai capi di governo socialisti in ben 13 stati europei che
tutto si obnubila e ora si sragiona se Renzi può vincere le prossime
elezioni ... con quali prospettive ? neoliberismo-teocon ?
Evidentemente qualcuno in questa lista ha perso la bussola
socialista.
Qualcosa di buono ci resta ancora da fare in Italia ... cercare di
riunificare la sinistra sulle basi di un profilo identitario che
possiamo indicare in estrema valida sintesi con il manifesto
"Costituzione italiana" (se non credete a me credete a Settis!) .
Nella prospettiva che la sinistra potenzialmente di governo - ma
senza l'ossessione di essere per forza al governo anche su posizioni
neoliberisti-teocon - alberghi tutta nella casa del PSE, anche su
posizioni fortemente critiche nei confronti della fase trascorsa
della "terza via" (neoliberismo camuffato).
Ho già indicato il percorso a tappe per uscire dalla morsa del
neoliberismo nel documento predisposto per l'assemblea di Pietrasante
inviata - in allegato - per lasciare la scelta di leggere o non
leggere agli iscritti di questa lista.
E' impellente cercare di sollecitare con una nostra organizzazione
nazionale che riesca a fare massa critica" (termine espresso a
suo tempo da Somaini), la scomposizione - ricomposizione (come
riafferma Baccalini) della sinistra in Italia sulle basi sopra
indicate, con l'occhio all'orizzonte delle elezioni europee (la
cartina di tornasole secondo Besostri) che sono già alle porte ...
2014 !
Un franco dialogante saluto.
Luigi Fasce

maurizio ha detto...

Caro Borla,
lasciamo per un attimo perdere Renzi (non voglio personalizzare eccessivamente il discorso) e parliamo invece di un politico X. Non trovi che i punti 2 e 3 del tuo post siano inquietanti? Dire che le preferenze prescindono dalla collocazione di X nello spettro politico e che lo stesso viene visto come artefice di cambiamento/rinnovamento "a prescindere da dove si colloca" non significa forse essere completamente fuori dalla politica e aderire invece al paradigma nuovista e personalista per cui conta solo l'immagine del leader? Guarda che non sminuisco l'importanza del leader, ma penso che Obama sia stato eletto e rieletto non solo per il suo carisma personale, ma anche per il messaggio politico che ha saputo trasmettere. Così mi sembra vada un po' in tutto il mondo tranne che nel nostro Paese. Per questo non credo che siano i nostri schemi ad essere obsoleti, ma piuttosto che in Italia negli ultimi 20 anni sia accaduto qualcosa di molto grave in termini di patologia sociale e culturale. Forse più e prima che di X e di Y dovremmo discutere di questo.
Fraterni saluti
Maurizio Giancola

claudio ha detto...

Già, ma siamo in italia, provincia sottosviluppata del regno alemanno dell'Euro. In cui i margini di manovra autonoma della politica locale rispetto a quelli della troika europea sono minimi e possono essere gestiti solo da qualcuno più efficente del normale politico italiano, soprattutto di quelli che escono da un lungo corso nell'apparato di sinistra, bravi a fare retorica, incapaci di fare provvedimenti. E incapaci di imporsi, in Italia,a una delle peggiori burocrazie europee, che anzi sono convinti, in base ad alcuni Bignami che han letto sul pensiero dei loro padri fondatori. di dovere riverire, nonchè di cooptare nei loro schieramenti i casini e le binetti perchè sono cattolici. Chi ci libera di costoro, e dell'ondivago Fassina, va incoraggiato, perchè come hanno avuto il coraggio di rinnovare casa loro penso non avranno timore e reverenza verso i direttir generali dei nostri ministeri e di Bruxelles. Insomma, gli elettori guardan a chi prende i topi, la vecchia politica al colore del gatto. Quanto a Fasce che paragona Renzi a Mussolini...lasciamo perdere ...ma che lasci perdere anche lui...

lorenzo ha detto...

Caro Maurizio,

oltre alle osservazioni di Claudio, che condivido, vorrei spiegare che cosa intendo quando dico che i nostri schemi sono obsoleti. Lo schema mentale basico, che abbiamo succhiato con il latte della sinistra, è: pubblico è bello. Spesa pubblica, servizio pubblico... Questo schema traeva conforto dal profumo di altre due parole implicite nel termine “pubblico”: uguaglianza (anche se poi non tutti facevano la coda allo sportello nello stesso modo) e solidarietà. Musica per le nostre orecchie. Dal punto di vista economico non c’erano problemi: per almeno tre decenni l’economia italiana è cresciuta vigorosamente, e quindi produceva abbondante ricchezza da ridistribuire. In più, era a disposizione il pozzo senza fondo del debito pubblico. Quindi ha vissuto bene, la mia generazione dei nati negli anni ‘40 e ‘50, perchè, magari a livello inconscio, sapevamo che c’era sempre lo Stato, in un modo o nell’altro, con la sua borsa generosa, a prendersi cura di noi. Chi perdeva il lavoro a cinquant’anni, non andava in mobilità: andava in pensione (e intanto il debito cresceva). Ci eravamo dunque dimenticati che, insieme al termine pubblico, ne andava usato anche un altro: ovvero efficienza. L’efficienza della spesa pubblica era una variabile indipendente, e lo è stata fino a che non ci siamo accorti che, alla fine, il pozzo, un fondo ce l’aveva. Il fondo era che il debito pubblico, ormai sfuggito di mano, non poteva superare certi limiti. Così ci siamo trovati con un debito pubblico monstre unito all’inefficienza dei servizi pubblici. Insieme allo spreco di denaro pubblico, incistato per mille canali e mille rivoli, e alla mancanza di efficienza: non è il caso qui di richiamare le classifiche internazionali che riguardano misurazioni di vari fenomeni: per esempio il livello di apprendimento, la corruzione o i tempi della giustizia. Et alia. Sta di fatto che l’Italia è un Paese indebitatissimo e inefficiente, che da un paio di decenni, proprio a causa delle inefficienza, della propria mancanza di competitività, non cresce. Si trattasse di una decrescita felice, magari saremmo tutti contenti. Ma la nostra decrescita significa anzitutto perdita di posti di lavoro, con tutte le conseguenze che comporta. La nostra mancanza di competitività per esempio significa che le imprese italiane delocalizzano e che di imprese straniere non ne arrivano. Non è finita qui. Nel nome di “pubblico è bello”, noi della sinistra ci siamo adattati senza protestare e senza ribellarci a un altro fenomeno monstre: e cioè la cupola di privilegi che si è creata alla cima delle strutture pubbliche, a partire dalla politica, a seguire con i vertici dell’amministrazione, insomma dei tre poteri, legislativo esecutivo e giudiziario. Così il temine “pubblico” non si coniuga più con uguaglianza e solidarietà, ma con disuguaglianza e privilegio. Inoltre abbiamo la combinazione di privilegio con assenza di responsabilità. Faccio un solo esempio: se la burocrazia impiega mesi ad emanare i cosiddetti decreti attuativi che devono rendere applicabile una legge, non ne risponde nessuno, anche se il Paese, per questo ritardo, subisce dei danni. Pubblico, ci siamo resi conto, non è più un termine che va d’accordo con bello. Non che, per converso, sia bello il “privato”. Non lo penso lontanamente. Altrimenti finirei in compagnia di Piero Ostellino, che politicamente è tutto ciò che detesto e che ho sempre combattuto, ovvero individualismo e sacro egoismo. Ora, ll discorso sul privato come opposto a pubblico ci porterebbe lontano, ma se vogliamo una sbrigativa conclusione, è che dovremmo restituire a “pubblico” il significato di uguaglianza e solidarietà, e cercare di aggiungervi l’efficienza che manca.

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