martedì 5 marzo 2013

Franco Astengo: Trasformismo e Costituzione

TRASFORMISMO E COSTITUZIONE dal blog: http://sinistrainparlamentoblogspot.it Nella gran confusione, creatasi ormai da lungo tempo, nel rapporto tra “questione morale” e “democrazia repubblicana” (pensiamo alla serie di scandali legati al finanziamento dei politici) e nello stravolgimento delle regole istituzionali, avviatosi con l’avvento – sciagurato – del sistema elettorale maggioritario, si sta tentando di restringere la possibilità di “agire democratico” all’interno del Parlamento e nel rapporto tra la politica e la società. Un gioco apparentemente facile per chi, appunto, intende limitare – prima di tutto – la possibilità di una piena rappresentatività democratica dell’insieme delle sensibilità politiche presenti nel paese: disponiamo, infatti, sotto quest’aspetto di una terribile legge elettorale che tiene assieme le liste bloccate, un esagerato premio di maggioranza senza che sia prevista alcuna soglia da raggiungere, un intricato e penalizzante sistema di soglie di sbarramento, i premi di maggioranza regionali. Il tutto in nome di una governabilità che, su tre prove fin qui realizzate, è mancata in due occasioni: nel 2006 e, adesso, nel 2013. Così per combattere la corruzione si è pensato di tagliare indiscriminatamente il numero dei parlamentari e, adesso, per sconfiggere il trasformismo si è messo sotto attacco l’articolo 67 della Costituzione che, letteralmente, recita:” Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni sena vincolo di mandato”. Prima di cedere a facili entusiasmi sarà bene riflettere sul significato di quest’articolo. Il parlamentare, infatti, deve poter agire in piena autonomia e indipendenza e non può essere costretto a mantenere gli impegni assunti durante le elezioni, né può essere soggetto a sanzioni disciplinari per essersi discostato dalle indicazioni e direttive fornite dal partito che lo ha candidato. Al più potrà venire in rilievo una sua responsabilità politica che si traduce, per i cittadini, nella decisione di non votare di nuovo il parlamentare in scadenza di mandato, e per i partiti nella scelta di ricandidarlo alle successive elezioni o comunque di non appoggiarlo politicamente. Che significato assume, ancora, la definizione “rappresenta la Nazione”? Il compito primario di ogni parlamentare è di lavorare per realizzare gli interessi del popolo nel suo complesso, cioè della Nazione. Ciò non impedisce di prendere in considerazione i bisogni degli elettori della circoscrizione (zona del territorio comprendente un certo numero di elettori che elegge un determinato numero di parlamentari) nella quale sia stato eletto, con l’unico limite di rendere compatibili questi interessi con quelli della Nazione, che devono essere sempre prioritari nelle scelte dei parlamentari. Ho cercato di redigere queste brevi note esplicative allo scopo di proporre, tra un’espressione “forte” di rozzezza istituzionale oggi molto di moda, qualche spunto di riflessione. Così come meriterebbero attenta riflessione istituti come quello dell’immunità parlamentare (sorto per consentire ai parlamentari socialisti di entrare all’interno delle fabbriche poste “in serrata” dai padroni) e quello del finanziamento pubblico ai partiti che dovrebbe consentire a tutti di esercitare l’attività politica: sicuramente, sotto quest’aspetto, sono avvenute degenerazioni gravissime ma, proprio per questo motivo, è necessario tornare alle motivazioni di fondo dei provvedimenti. Del resto, nella storia d’Italia, il “trasformismo” è stato cosa ben diversa dai De Gregorio, Razzi, Scilipoti, ma ha rappresentato anche in certe fasi particolari la possibilità di imprimere una “svolta” nell’attività politica, pensiamo al “discorso di Stradella” del 1876 (personalmente, però faccio risalire il fenomeno al “connubio” tra Cavour e Rattazzi). Ancora: avrebbero dovuto dimettersi dal Parlamento i deputati che, nel gennaio del 1947 formarono il PSLI uscendo dallo PSIUP, oppure nel gennaio 1964 quelli che uscirono dal PSI per formare di nuovo lo PSIUP e, ancora, quelli del “Manifesto” radiati dal PCI nel 1969 e quelli di Rifondazione Comunista, formatasi al momento del congresso di Rimini considerato che, legalmente, l’erede diretto del PCI era il PDS? Come si vede quando si riflette sulle forme della democrazia e la legalità istituzionale gli interrogativi sorgono e non sono risolvibili semplicemente attraverso il taglio di nodi gordiani. Altrimenti la democrazia soffre, eccome se soffre. Franco Astengo

2 commenti:

roberto ha detto...

Perfettamente d' accordo con l' interveto di Astengo.
Aggiungerei solo che nello spirito della Costituzione c' è evidentemente anche la scelta della persona, col voto di preferenza, che costituisce comunque un argine antiburocratico e antioligarchico.
E non si dica che con le preferenze si rischia di favorire possibili corruttele, il fatto è che si tratta di delineare un impianto normativo improntato alla trasparenza e a regole di garanzia democratica, come tra l' altro sarebbe favorito dalla legge sui partiti politici, prevista in Costituzione ma mai adottata.

felice ha detto...

Alcuni ordinamenti non propriamente democratici prevedevano la revoca dei s deputati: era usuale nei paesi del Patto di Varsavias. Invero prima della guerra lo stato cecoslovaco lo prevedeva. Una revoca a mio avviso è configurabile in caso di collegi uni nominali con un quorum di richieste di elettori iscritti nel collegio e con un quorum di partecipazione, non inferiore a quello di elezione. Inn ogni caso rimedio estremo per indegnità penalmente non rilevante . In oni caso art. 67 Cost. è sacrosanto. Chi vende il voto è fuori dall'art. 67, dove sta l'interesse della nazione. Il mandato imperativo era dei parlamenti medievali dove si rappresentavano corporazioni o stati.





Felice Besostri