Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
sabato 30 marzo 2013
venerdì 29 marzo 2013
Paolo Bagnoli: Vendola, il Socialismo europeo e la questione socialista in Italia
Dall'Avvenire dei lavoratori
Vendola, il Socialismo europeo
e la questione socialista in Italia
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"Penso che questo è il tempo in cui dobbiamo entrare come componente caratterizzata da una forte propensione ecologista e libertaria, dentro il Partito del Socialismo Europeo", ha detto recentemente Nichi Vendola, accendendo tante speranze. Bene. Ma occorre fare i conti con la questione del socialismo, e del socialismo italiano.
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di Paolo Bagnoli
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Nei vari luoghi in cui si articola, oggi, la dispersa presenza dei socialisti in Italia, la relazione che Nichi Vendola ha tenuto l’11 marzo scorso alla presidenza di SEL ha intrecciato un dibattito serrato, soprattutto perché un accenno alla possibile adesione al PSE ha riacceso la speranza di avere, o riavere, dopo un travaglio di tanti anni, finalmente, in Italia un soggetto socialista di sinistra. E che si arrivi ad averlo in un tempo non biblico è l’aspirazione di molti, compreso, naturalmente, di chi scrive. E’ logico, quindi, che i portatori di una tale sensibilità stiano con le orecchie aperte a tutto quanto suona, o sembra suonare, in tale direzione.
Ora, si tratta di una questione che investe non tanto la suggestione del ricordo, ma la vicenda stessa della sinistra in Italia, anch’essa da ricostruire, e, con essa, quella della democrazia, della “nozione sociale” che alla sinistra è propria e che è, in buona ragione, quella stessa della democrazia costituzionale.
Poiché la questione sociale è estremamente seria e poiché su di essa l’azione del governo Monti ha scatenato una furia distruttrice, per tutto ciò occorre esaminare l'intera cosa con attenzione, senza pregiudizi, senza pretendere di avere la soluzione a portata di mano, senza nascondersi le difficoltà, ma nemmeno le questioni così come stanno, se vogliamo che il dibattito innestato dalla relazione di Vendola non rimanga uno dei tanti. Occorre capire bene e andare a fondo; perché, insomma, sia un fatto politico e non un episodio di politique politicienne.
Vendola è un uomo politico pieno di cultura e di intelligente ragionamento; uno di quelli, dei pochi forse, che in accordo o in disaccordo, va preso sul serio. La relazione ce lo conferma e, va detto, che, pur se certi passaggi ci sono sembrati non molto chiari, complessivamente non si nasconde nel gioco verbale delle formule; che non nasconde, con onestà intellettuale, le luci e le ombre, a cominciare da quelle che gravano sul partito di cui è leader. Intanto perché relativizza l’esperienza del proprio movimento – “noi siamo una parte del problema e non la soluzione del problema” – perché denuncia lucidamente i ritardi della sinistra europea e, soprattutto, quando si dilunga sul partito democratico – vero riferimento dialettico di tutto il suo ragionamento – cercando di chiarire l’irrisolutezza di SEL rispetto al “riformismo del partito democratico e il radicalismo alla nostra sinistra (…) miopi nella stessa identica maniera.”
La ventilata adesione al PSE, se non teniamo conto di questo passaggio, perde come di senso. Il suo ragionamento, tuttavia, è tutto condizionato dalla situazione di chi, in effetti, si sente alla stregua di una sinistra “esterna” al Pd e non perché si tratti di un’altra formazione, ma in quanto funzionale, in certo modo, al partito democratico, potendo dire cose di sinistra che il PD non può dire e del quale questi non può non tener conto per motivi di alleanza.
Quanto siffatto meccanismo abbia funzionato lo si è visto quando Bersani ha ritenuto di opporsi alle richieste di Monti. Che in politica ci possano essere dei giochi articolati è normale; quello che ci sembra di rilevare è che SEL si è, sostanzialmente, molto pensata in funzione del PD. Vendola non lo ha peraltro nascosto quando ha detto: "dobbiamo partire dal fatto che la crisi importante del partito democratico coincide con la nostra crisi, cioè la nostra ipotesi è quella di una sinistra di governo capace di partire da qui, dall’Italia, per far massa critica e rimettere insieme un fronte dei progressisti in Europa."
Si tratta di un passaggio impegnativo e rivelatore poiché esso presuppone il PD quale forza di sinistra, tanto che la crisi di questo e quella di SEL vengono rappresentate come due vasi comunicanti intrecciati dentro l'almanacco leopardiano dei progressisti, categoria vaga e indefinita che forma un “fronte” che sembra oggi prendere il posto di quello che nell’ieri prossimo erano riformisti.
Noi, nel ragionamento di Vendola, riscontriamo un vuoto di autonomia, ossia di capacità di pensare SEL indipendentemente dal PD. Il senso dell’autonomia è fondamentale ai fini della rinascita socialista e della sinistra quale soggetto di massa. Naturalmente, non vi è nulla di scandaloso e di improprio nell’allearsi da sinistra con il PD. Ma chissà poi cosa avrà pensato Vendola dei "progressisti" dopo i tanti voti di questo schieramento mancati a Laura Boldrini nell’elezione a presidente della Camera.
Vendola, inoltre, nell’esaminare lo scenario complessivo, non ha timore a dire che “si è esaurita una storia, sia la nostra sia quella del partito democratico” in quanto “si è esaurito un ciclo, si è esaurita una fase.”
Come dargli torto. Non si può che condividere; bisognerebbe aggiungere che il problema più grande del PD sta nel fatto che non è mai riuscito a essere un “partito”, anzi ne è impossibilitato, sicché la sua tenuta, già in condizioni d'instabilità, sembra ora molto a rischio. Che la sua fase si sia chiusa, non c’è dubbio, Vendola ha ragione.
Non potendo parlare, come noi, d’incapacità del PD a essere un partito, Vendola ha declinato questa incapacità come si addice a un leader, per lo più alleato: "I partiti non nascono in laboratorio, non sono delle creature che nascono in provetta; si fanno nella società, nel vivo della contesa, nell’organizzazione degli interessi delle culture.” Verissimo. E ciò vale anche per la questione socialista in Italia.
Poi si giunge al punto nodale. In tutta la sua relazione, così come a suo tempo nel programma del partito, la parola "socialismo" non compare. Naturalmente, non era obbligatorio farla comparire. Se Vendola non l'ha fatto, però, ciò vuol dire che per lui questo non è un problema, a differenza di noi. Si lascia intravedere un altro fine che ha nella formula “casa dei progressisti” il suo approdo poiché – sono parole da soppesare – “dobbiamo essere capaci di parlare al paese e di parlare al partito democratico parlando al paese.”
Da qui la frase che ha acceso tante speranze socialiste: ”Penso che questo è il tempo in cui dobbiamo entrare come componente caratterizzata da una forte propensione ecologista e libertaria, dentro il Partito del Socialismo Europeo.”
Allora, se proviamo a rimettere tutto in colonna, ci sembra che le cose stiano così. Il non successo elettorale del centro-sinistra chiude sia la fase di SEL che quella del PD, destinato a lacerarsi in un prossimo futuro. Ed è proprio tale crisi a togliere la ragione di SEL che è stata sì l’unica sigla di una sinistra visibile né “riformista” né “radicale”, ma in funzione di trattenere aperto uno spazio per allargare quello del possibile centro-sinistra giocoforza centrato sul PD.
Forza per lo più residuale e sostanzialmente tattica, SEL al di là di idealità rispettabili e pure talora condivisibili non ha nemmeno essa la fisionomia del partito, cioè quel profilo autonomo – cultura, identità, idealità spiccate, un ruolo storico preciso e un insediamento sociale vero – che fa diverso un partito da un movimento.
Per sopravvivere in qualche modo alla propria esperienza, SEL ha necessità di sganciarsi dal passato cercando una collocazione. Nel caso questa collocazione è il PSE dove è ormeggiato, peraltro, anche il PD pur non essendo una forza socialista. Anche dell’Internazionale può fungere da “sigla contenitore” non esclusiva in cui ritrovare il PD che a sua volta, se si frantumerà, troverà SEL pronta a costruire la richiamata “casa dei progressisti”.
Questo ci sembra il verso del salmo, quello finale, che può essere pensato, ma non scritto.
Bene. Ma il socialismo che c’entra? Vendola non dice mai, né meno fa capire, di volere mettere la nuova fase del suo movimento applicata a un disegno ricompositivo e largo del socialismo italiano. Il pensiero non lo sfiora lontanamente. E se i postcomunisti avessero voluto andare in questa direzione, sia nella versione PDS-DS sia nella derivazione bertinottiana, le occasioni non solo non sarebbero mancate, ma non sarebbe nato né SEL né il PD.
In un paese che vira oltraggiosamente a destra e nella “non-politica”, anche una generica “casa dei progressisti” non è certo da disprezzare; ma la questione del socialismo è altra e ben più complessa cosa. È significativo che poi l’auspicata “casa dei progressisti” avvenga dentro il contenitore del socialismo europeo dimostra che l’unico soggetto storico cui, chi si dichiara progressista, possa fare riferimento non può che essere quello del socialismo. Ma questo non significa che i "progressisti" per ciò stesso si sentano socialisti.
D’altro canto, anche al parlamento europeo esiste un gruppo dei socialisti e dei democratici, e non perché i socialisti europei siano diventati “democratici italiani”, ma solo in quanto i deputati dei vari partiti socialisti hanno fatto un gruppo con quelli del PD presente in Italia. Con ciò gli uni non sono divenuti gli altri né viceversa. Quindi è evidente che una tale vicinanza è significativa, ma non risolutiva della questione socialista italiana.
In Italia il socialismo non esiste come forza organizzata, ma esistono tanti luoghi socialisti variamente articolati e talora tra loro raggruppati. Forse sarebbe giunta l’ora di vedere, con una visione larga del problema, senza escludere nessuno di coloro che vogliano parteciparvi, compreso il partitino di Nencini, se non sia giunto il momento di darsi appuntamento in una convenzione socialista nazionale per iniziare un cammino che dalle tante sparse membra punti a fare un corpo. Nel caso sarebbe certamente importante sapere se Vendola e il suo movimento – nel quale militano diversi socialisti – volesse divenire uno dei protagonisti di questo processo.
Se davvero una fase si è chiusa, come ha detto Vendola, quella della “casa dei progressisti” può certo essere una fase nuova, ma punta ancora sul PD, non sul socialismo. Mentre sarebbe importante vedere un’unica lista in occasione delle prossime elezioni europee; non una lista di "socialisti più qualche altra cosa"; bensì nella lista di una soggettività autonoma.
Magari all’inizio del cammino potremmo pensare a un “movimento del socialismo italiano” che raccolga in forma federata gli aderenti, ma che, senza equivoci di sorta, sia marcato da un'esplicita intenzione socialista quale primo passo politico che si sviluppi per ridare al movimento operaio italiano, alle forze del lavoro tutte, alla democrazia e al progresso del paese il suo soggetto storico. Non si tratta di rifare il vecchio PSI, ma di riagganciare in modo chiaro la storia nel segno di un’esperienza che non può essere cancellata dal suicidio craxiano; magari riflettendo sulle parole di Filippo Turati per il quale il socialismo non era né riformismo né progressismo, bensì "rivoluzione sociale".
giovedì 28 marzo 2013
mercoledì 27 marzo 2013
martedì 26 marzo 2013
Why Spain’s left is in a funk
The Economist
Why Spain’s left is in a funk
The party leader struggles to put the government’s unpopularity to use
Mar 23rd 2013 | MADRID |From the print edition
ALFREDO PÉREZ RUBALCABA, leader of Spain’s beleaguered opposition Socialists, is a man with a noose around his neck. It is slowly tightening. More than a year after his party lost power its poll ratings remain below those of Mariano Rajoy’s Popular Party (PP). They are five points down on their November 2011 election result, standing at just 23%.
This is remarkable. Spain’s economy has tumbled deeper into recession under the premiership of Mr Rajoy. A further 700,000 people have joined the dole queues, pushing unemployment to 26.2% of the workforce. And as the value of their homes falls further, frightened Spanish consumers are keeping purses zipped tight. Many must raid savings to get by.
Wage earners and pensioners are all getting poorer. Of the more needy, 1.9m unemployed do not receive state benefits. And, as Spaniards digest tax rises and spending cuts, protests from health, education and other public workers are a daily occurrence.
Mr Rajoy’s PP, meanwhile, is engulfed in a corruption scandal. The man he appointed party treasurer, Luis Bárcenas, hid €22m ($28.5m) in Switzerland. Newspapers allege he ran a secret party slush-fund with senior PP noses in the trough. Promises of green pastures further down the road of austerity have yet to convince voters. The PP’s poll ratings have fallen from 45% to 24% since the election.
So why are the Socialists not storming ahead? Many Spaniards blame them for the current mess. A once buoyant economy crashed on the watch of José Luis Rodríguez Zapatero, a Socialist prime minister. Mr Rubalcaba, as deputy prime minister, was associated with the debacle. The party, meanwhile, is digging its own grave. Its Catalan wing rebelled in parliament recently, backing Catalonia’s “right to decide” on its future. That scares Socialist voters in other parts of Spain. But Mr Rubalcaba’s opposition to the idea puts off potential supporters in Catalonia, where Mr Zapatero anchored his victories. A messy town-hall coup in northern Ponferrada, which saw local Socialists ally with the convicted protagonist of a nasty sexual harassment case, showed the party in further disarray.
Mr Rubalcaba himself remains a problem. He has clung to the top job despite leading the party to an historic defeat in 2011. The 61-year-old veteran not only bears the Zapatero stigma, but also that of a minister in Felipe González’s 1990s governments. He is hardly a bright new broom for jaundiced left-wing voters. Some party leaders say so openly. “Many others agree with me,” said Tomas Gómez, a prominent rebel who heads the Madrid party branch.
Mr Gómez may fancy himself as a candidate for the premiership, as does Patxi López, the popular former Basque regional president. Better bets are a former defence minister, Carme Chacón, aged 42, or one of the party’s parliamentary bosses, Eduardo Madina. Ms Chacón was narrowly beaten for the leadership by Mr Rubalcaba at a conference last year. She broke ranks with her Catalan colleagues to abstain in the vote on the “right to decide” in a tactical bid to stay in the running. Mr Madina is just 37, yet still experienced. He also wins sympathy for overcoming a terrorist bomb attack that blew off part of his leg. But he might not yet want the job.
Analysts predict that the economy will shrink by 1.5% this year; recovery in 2014 is uncertain. The European Commission expects unemployment will still be stuck above 26% next year. Elections will probably be held at the end of 2015. Austerity-exhausted Spaniards may demand change. But if the Socialists want power, they probably need a new leader.
From the print edition: Europe
lunedì 25 marzo 2013
Franco Astengo: Le percentuali dell'effettivo consenso
LE PERCENTUALI DELL’EFFETTIVO CONSENSO
dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it
Un interessante articolo di Luca Ricolfi, apparso oggi sulle colonne de “La Stampa” (Non basta la legge elettorale) solleva, tra le altre, la questione del premio di maggioranza assegnato dalla legge elettorale in vigore alla coalizione che risulta più votata, ricordando che, in effetti, considerata l’astensione, il consenso raccolto dai partiti è comunque molto inferiore alle percentuali indicate sulla base dei soli voti validi.
Ho provato così a sviluppare un raffronto tra le elezioni politiche del 2008 e quelle del 2013, misurando le percentuali delle singole liste al totale degli aventi diritto: mi sono riferito alle elezioni per la Camera dei Deputati e al solo territorio nazionale (esclusa la Valle d’Aosta, che vota con un collegio uninominale).
Andando per ordine: gli aventi diritto nel 2008 assommavano a 47.041.814, scesi nel 2013 a 46.905.154 (meno 136.660). Il totale dei voti validi è stato nel 2008 di 37.874.569 e nel 2013 di 34.002.524 (meno 3.872.045). Di conseguenza, dal punto di vista delle cifre assolute, il “non voto” complessivo (incluse bianche e nulle) è salito di 3.735.394 unità (da considerarsi la cifra di aumento del mancato consenso per l’intero sistema).
Esaminiamo l’andamento dei singoli partiti, già presenti nel 2008: il PD è passato da 12.095.306 a 8.644. 523 ( meno 3.450,783). Il passaggio in percentuale, sul totale dei voti validi, è stato dal 33,18% al 25,42% (meno-7,76%) che, in realtà, sul totale degli aventi diritto è quantificato dal 25,71% al 18,42%, percentuale dell’effettivo consenso ottenuto.
Il PDL è passato dagli 13.629.464 voti del 2008 (37,38%) ai 7.332.072 del 2013 ( 21,56%, quindi meno 6.297.392 pari al 15,82%). In realtà la percentuale, sul “plenum”, passa dal 28,97% al 15,63%.
La Lega Nord ottenne nel 2008 3.024.543 (8,30%) a 1.390.014 (4,08%) con un decremento di 1.634.529 pari al 4,22%. In realtà la Lega Nord è passata dal 6,42% al 2,96%.
L’UDC raccolse, nel 2008, 2.050.229 voti (5,62%) e nel 2013 608.210 ( 1,78%) con un meno 1.442.019 ( -3,84%). Le percentuali effettive, però, sono passate dal 4,35% all’1,29%.
Le due formazioni che hanno dato vita a Rivoluzione Civile avevano ottenuto, nel 2008, rispettivamente: Arcobaleno 1.124.298 (3,08%) e IDV 1.594.024 (4,37%) per un totale di 2.718.322 voti ( 7,45%), calati con Rivoluzione Civile a 765.188 (una perdita complessiva di 1.953.134, con meno 5,20%). In realtà le percentuali effettive, in questo caso, sono passate dal 5,76% all’1,63% ( meno 4,13).
Quanto valgono allora le percentuali delle forze presentatesi per la prima volta in questa occasione, rapportate al totale degli iscritti nelle liste?
Gli 8.689.458 voti raccolti dal Movimento 5 Stelle che rappresentano il 25,55% sul totale dei voti validi, scendono al 18,52% (meno di un quinto quindi dell’intero elettorato).
La Lista Monti ha avuto 2.824.065 voti (8,32% sul totale dei voti validi) è calcolata in percentuale sul totale degli aventi diritto al 6,02%.
Molto basse le percentuali effettive degli altri soggetti: Sel al 2,32%, Centro Democratico 0,35%, La Destra 0,46%, FLI 0,33%, Fermare il declino 0,81%, PCL 0,19%.
Questa ridda di numeri, alla fine, soltanto per dimostrare un punto, a mio giudizio essenziale nel valutare la qualità della democrazia che questo sistema elettorale offre: la coalizione vincente ottiene alla fine il 21,09% del totale delle italiane e degli italiani aventi diritto al voto.
Con questo 21,09% alla Camera dei Deputati ha ottenuto il 54% dei seggi: un premio effettivo del 32,91%.
Un dato sul quale, mentre si parla di riforma della legge elettorale, sarebbe il caso di meditare.
Altro che “premio di minoranza”!
Franco Astengo
domenica 24 marzo 2013
sabato 23 marzo 2013
venerdì 22 marzo 2013
giovedì 21 marzo 2013
PSI. PRESENTATI IN PARLAMENTO I PRIMI PROGETTI DI LEGGE SU COSTITUZIONE, DIRITTI E LAVORO.
Psi news 20 marzo 2013
PSI. PRESENTATI IN PARLAMENTO I PRIMI PROGETTI DI LEGGE SU COSTITUZIONE, DIRITTI E LAVORO.
A pochi giorni dall'apertura della XVII legislatura e nel giorno in cui il Capo dello Stato avvia le consultazioni per la formazione del nuovo Governo il Psi ha presentato questa mattina in una conferenza stampa alla Camera dei deputati i primi sette progetti di legge, già depositati presso le segreterie delle assemblee di entrambi i rami del parlamento, riguardanti i temi dell'impalcatura costituzionale del Paese, i diritti e il lavoro, tutti indicati nel Decalogo socialista, la carta dei più urgenti impegni legislativi che il Psi ha assunto con gli italiani nel corso della recente campagna elettorale.
Alla conferenza stampa sono intervenuti il segretario nazionale del Psi Sen. Riccardo Nencini e i deputati Marco Di Lello, Pia Locatelli e Oreste Pastorelli che hanno illustrato alla stampa i contenuti dei sette articolati più un ddl presentato a sostegno dell'occupazione giovanile in agricolura.
Ecco l' elenco dei disegni di legge:
1. Disposizioni per attuazione articolo 49 della Costituzione
Prevede la regolamentazione giuridica dei partiti, condizione per l'accesso ai finanziamenti di ogni ordine
2. Dibattito Pubblico e Partecipazione
Prevede il coinvolgimento delle popolazioni interessate prima di assumere decisioni vincolanti su opere pubbliche significative. Precedenti: le debat publique in Francia
3. Ius Soli
Prevede il diritto di cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri residenti in Italia da almeno cinque anni
4. Modifica articolo 1 della Costituzione
Prevede l'inserimento del termine 'laica' dopo Repubblica. Nuova lettura: L'Italia è una repubblica 'laica' fondata sul lavoro
5. Testamento biologico
Consente a chiunque di stabilire il trattamento sanitario da ricevere in caso di sopravvenuta incapacità di volere.
6. Interventi a sostegno dell'occupazione giovanile e femminile
Prevede la defiscalizzazione fino a 300 Euro mensili a persona per imprese che assumano giovani sotto i 38 anni oppure donne. Prevede altresì mutui agevolati per giovani e donne per avviare nuove attività imprenditoriali.
7. Riforma della Costituzione
Prevede la riduzione dei deputati al numero di 508 e la trasformazione del Senato in Camera delle Regioni
mercoledì 20 marzo 2013
Paola Meneganti: Sprechi
Faccio sommessamente osservare, a proposito di sprechi, che noi dovremmo pagare un consistente gruppo di senatori/trici e deputati/e perché esercitino un non meglio specificato "controllo". Ora, a parte che avrei molto da dire su una democrazia ridotta alla funzione di mero "controllo", chiedo: in base a che? secondo quali parametri? E poi: con quale proposta politica? con quali linee di azione politica? Io sono atea, mi sono smarcata da tempo dal controllo dell'occhio di Dio, figuriamoci se accetto l'occhio dei 5 stelle. Sapete cosa mi fa paura? L'idolatria in tutte le sue forme, anche e soprattutto se declinate nel senso del "sorvegliare e punire.
(Paola M.)
martedì 19 marzo 2013
Documento dell'Assemblea dei socialisti del centro-Italia, Pietrasanta, 16 marzo 2013
Documento Pietrasanta
Organizzato dal coordinamento dei socialisti della Versilia si è svolto a Pietrasanta, il 16 marzo
2013, un convegno cui hanno partecipato socialisti sia senza tessera sia militanti in formazioni del
centro-sinistra per discutere la “questione socialista” in Italia in un momento di grave crisi della
politica democratica e delle istituzioni repubblicane.
L’Italia abbisogna di una presenza socialista che, senza voler essere la resurrezione dello scomparso
PSI, copra autorevolmente lo spazio politico, culturale, sociale e morale proprio dell’esperienza
storica del socialismo italiano. Ciò è tanto più necessario se si considera l’urgenza di un’azione
decisa di contrasto al capitalismo del liberismo globalizzato e per la salvaguardia reale della
Costituzione che è, e deve rimanere, il manifesto ispiratore della democrazia italiana.
Fuori da ogni vocazione elettoralistica e governista diviene prioritario rilanciare, con
un’elaborazione collegata ai tempi presenti, l’idea del socialismo oggi, attorno a cui raccogliere
tutte quelle forze che ritengono di doversi collegare e unire in un’identica intenzione, tale da
profilare la soggettività della presenza del socialismo in Italia in raccordo con il movimento del
socialismo europeo, nell’auspicio che il PSE divenga un vero e proprio partito transnazionale.
Si ritiene, quindi, opportuno che vengano promosse strutture di coordinamento politico territoriale
con l’obbiettivo di costituire un coordinamento politico nazionale
lunedì 18 marzo 2013
domenica 17 marzo 2013
sabato 16 marzo 2013
Franco D'Alfonso: Intervento nel dibattito post-elettorale
INTERVENTO DIBATTITO POST ELETTORALE
Fonderia Napoleonica , 12 marzo 2013
FRANCO D’ALFONSO
1 – La sconfitta guidata dal Pd è del Pd
A costo di non essere originale credo che la doppia sconfitta ( o non vittoria , come qualcuno cerca di dire con involontario umorismo ) sia interamente da attribuire alle scelte del PD ed alla conduzione esclusiva della campagna elettorale da parte di Pierluigi Bersani.
All’indomani del secondo turno delle primarie avevo scritto . “ per la prima volta le elezioni si vinceranno o si perderanno non tanto perchè si portano a votare i "nostri" più o meno delusi che si erano rifugiati nel non voto o nella protesta , ma anche e forse soprattutto nell'intercettare i consensi lasciati in libertà dal disfacimento del Pdl e del centrodestra, contendendoli a Grillo ed al non voto.
E’ successo che il Centrodestra, rispetto alle elezioni politiche del 2008 ha perso per strada circa 7 milioni di voti, mentre il Centrosinistra ne ha persi circa 3,7 milioni che diventano 4,2 se si tiene conto del saldo negativo del confronto tra il voto a Rifondazione comunista e quello andato alla lista capeggiata da Ingroia, ma la maggioranza dei voti in fuoriuscita è andata al Movimento 5 Stelle (circa 8,7 milioni), il resto si è disperso tra la Scelta Civica di Mario Monti e liste minori. Se si aggiunge che il calo degli elettori rispetto alle elezioni politiche del 2008 è risultato di oltre 2,7 milioni, la competizione tra Centrodestra e Centrosinistra è risultata una gara tra gamberi, ovvero tra chi arretrava meno velocemente dell’avversario, tenendo conto che il punto iniziale di partenza era diverso in termini assoluti.
Insomma, la più grande migrazione di voti della storia delle elezioni repubblicane per la prima volta avviene non tra una maggioranza uscente e l’opposizione ma sceglie una terza via pur di non dare spazio a quest’ultima . Il Pd ha messo in campo ancora una volta una alternativa non ritenuta credibile dagli elettori : il “bacio della morte” politico elettorale del Pd è sempre attivo e la comparsa in piazza Duomo del fantasma della sinistra che non sa governare , Romano Prodi , è lì a ricordarlo. Uso ancora parole scritte nel dicembre scorso :
“Nel Pd ci sono ancora molti che pensano che si possa arrivare al governo con una legge elettorale truffa che da' la maggioranza avendo il 30% dei voti e che poi si governi con gli accordi con i centristi, con gli editori che hanno meno lettori che negli anni sessanta, con i poteri deboli che si credono forti e che credono che sia ancora eludibile un serio discorso di rapporto con i partiti ed i popoli dell'Europa, coprendosi dietro un qualche accordo con grand commis come Monti o Draghi, che sono membri di una comunità e di una cultura diversa , già internazionalizzata .Questa oligarchia apparentemente "light" che governa il Pd, che controlla il finanziamento pubblico di quasi 300 milioni di euro, che nomina parlamentari, che stabilisce carriere, non è adeguata a guidare una politica di governo di centrosinistra perchè antepone la propria sopravvivenza alla bontà ed alla liceità delle scelte.”
2 – La politica del Pd : tutto tranne l’essenziale
La non credibilità del Pd è legata alla riproposizione di modalità e logiche bocciate ripetutamente dall’elettorato ma risiede soprattutto nell’assoluta e continua mancanza di chiarezza della proposta politica a tutti i livelli . Nel programma sciorinato da Bersani “c’era tutto tranne l’essenziale” , come scrive Giovanni Cominelli in un articolo di cui peraltro condivido solo questa affermazione. Quale era la proposta del centro sinistra in materia economica, la trovavamo nelle parole di Fassina o in quelle di Letta ? Quale era la proposta di riassetto istituzionale , quella di chi condivide l’annullamento delle autonomie locali maltemperato da un “regionalismo” altrettanto centralista come tradizione che viene dal Pci o quella rivendicata dai sindaci di Milano, Genova , Cagliari da ultimi, che vedono nel Comune il centro del sistema delle autonomie e la base del federalismo ? Quale è la politica europea e quali sono i riferimenti proposti , la richiesta di maggiore democrazia e l’adesione al Pse di Hollande e Schultz, come Bersani ha detto solo fuori dai confini italiani e con convinzione minima o l’acritica adesione alla Europa guardiana della moneta e della finanza di Draghi e della Bundesbank , il risultato verso il quale porta l’afflato liberista dei vari Morando?
Ancora una volta il “ma-anchismo” , il peccato politico originale del Pd, la volontà di non scegliere e non rischiare politicamente , il non volere nemici a sinistra, come da tradizione, ma non crearseli nemmeno a destra è la causa profonda del fallimento elettorale e politico .
Come l’asino di Buridano il Pd è sempre più vicino alla morte per non aver deciso in quale secchio approvvigionarsi e non per il “destino cinico e baro” di saragattiana memoria..
3 Mea culpa, nostra culpa, nostra maxima culpa..
Non sarebbe onesto non ammettere che a questo turno esiste una nostra responsabilità nella sconfitta, intendendo con “nostra” l’esperienza arancione milanese, quella vera e non quella tarocca targata De Magistris giustamente cestinata e dimenticata dagli elettori quasi subito .
La Milano di Pisapia è stata per tutte le primarie non schierata nel confronto fra Bersani , Renzi e Vendola . Purtroppo è prevalsa prima del secondo turno la linea di chi riteneva fosse necessario invece schierarsi con la ipotesi ritenuta più affine , quella di Bersani , attraverso la pronuncia a favore del segretario del Pd . Con questa dichiarazione, nemmeno lontanamente bilanciata e bilanciabile da scelte a favore di Renzi da parte di altri come chi vi parla che pure ci sono state, si è deciso di agire come supporter in una campagna di cui pure non si condivideva l’impostazione, considerando che il confronto politico dovesse farsi dopo e non prima dello scontro elettorale con il centrodestra . E’ stato un grave errore politico che ci porta tutti a condividere una responsabilità della sconfitta elettorale , con l’aggravante leggermente beffarda di essere stati quelli che, almeno a Milano ed in Lombardia, si sono maggiormente spesi ed impegnati sul campo. Nemmeno chi come il sottoscritto potrebbe a qualche titolo avanzare qualche fondato ed inascoltato “ ve l’avevo detto “ può pensare di non avere responsabilità , essendo comunque convinto che nella “ gara dei gamberi” il nostro…crostaceo avrebbe prevalso seppure di una incollatura permettendoci così di riaprire da una posizione di maggior comodità la questione politica.
4 La Regione Lombardia persa nell’election day
La consapevolezza di aver giocato e perso la partita regionale in Lombardia contro un centrodestra che difficilmente in futuro si presenterà in condizioni peggiori al nastro di partenza rende ancora più amara la sconfitta subita. Più volte abbiamo avuto , tutti , la sensazioni di essere finalmente in vantaggio politico e numerico dimenticandoci che l’handicap di tre anni fa era di 23 punti percentuali , un abisso di oltre un milione duecentomila voti che avremmo dovuto coprire grazie agli errori dei nostri avversari ed alle caratteristiche del nostro candidato Umberto Ambrosoli , che effettivamente tra voto alla Camera e voto Regionale ha recuperato quasi mezzo milione di consensi .
Non potevamo certo contare sulla qualità e l’intensità dell’opposizione svolta in aula in questi diciassette anni, quasi tutti passati a rincorrere affannosamente e con poche se non nulle idee originali : ma questo lo sapevamo e lo sapeva anche il Pd , che infatti ha scelto sin dal primo istante convintamente la candidatura al di fuori del proprio recinto, come mai fino ad ora aveva fatto .
L’abisso era grande e profondo e per superarlo avremmo dovuto fare come a Milano , non commettere nemmeno un errore perché non c’era margine di recupero . Purtroppo non è andata così.
Franco D’Alfonso
Le conclusioni di Nichi Vendola alla Presidenza di SEL dell’11 marzo
Le conclusioni di Nichi Vendola alla Presidenza di SEL dell’11 marzo
By Giulio Cavalli ⋅ 15 marzo 2013 ⋅Post a comment
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Per ricominciare a fare politica e aprire un dibattito che sia coraggioso e puntuale sul futuro dello scenario italiano. Partendo dall politica del Paese per riconiugarla al futuro di SEL e dell’area che rappresenta e vorrebbe rappresentare. Vale la pena partire dalle conclusioni di Nichi. Discuterne. Per chi volesse si può fare qui tra i commenti o scrivendomi a giulio(chiocciola)giuliocavalli.net. Il viaggio è lungo ma necessario.
Conclusioni di Nichi Vendola
(Presidenza di Sinistra Ecologia Libertà, lunedì 11 marzo 2013)
Il rischio di una drammatica deriva del nostro Paese.
Non credo che potremo trovare un sentiero utile alla nostra ricerca guardandoci l’ombelico, come una parte grande di questa discussione ha fatto. Credo che tra le cose buone della cultura politica della sinistra che ci dovremo portare anche nel futuro, c’è la critica ai limiti del soggettivismo, l’incapacità di connettere le vicende di un soggetto di dimensioni assai modeste, di connettere le sue propensioni, le sue scelte, i suoi successi o insuccessi ad un contesto più generale. E non credo che faremo bene se isolassimo la nostra discussione da quello che ora dopo ora sta accadendo in Italia.
E’ drammatica la deriva del nostro paese, è drammatica oggi in questo momento più di ieri, a quest’ora più di stamattina. A quest’ora perché le dichiarazioni dell’onorevole Alfano sulla volontà di valutare un eventuale Aventino come risposta alle iniziative dei magistrati nei confronti dell’onorevole Berlusconi – dichiarazioni che si aggiungono a quelle dell’onorevole Gelmini che dice “per la prima volta praticheremo la disubbidienza al leader e andremo a manifestare davanti ai palazzi di giustizia”, – questo elemento di acutizzazione dello scontro tra politica e giustizia è un aggravamento serio di una condizione melmosa che segna il contesto democratico della nostra crisi. E mentre noi parliamo il governo in carica non smette di esercitare le proprie funzioni. Per esempio di congelare ulteriormente fino al 2014 i salari del pubblico impiego, con un intervento che continua ad essere depressivo dell’economia, un ulteriore contributo alla recessione. Monti non ha soltanto fatto male nell’anno in cui ha governato fino alle elezioni: continua a fare male. E questo dibattito, ma complessivamente il dibattito che si svolge nella politica italiana, ha rimosso quasi completamente uno degli ingredienti strutturali della nostra crisi, cioè la vittoria della Lega Nord nella regione Lombardia in una prospettiva qual’ è quella della macroregione settentrionale, un’idea che contiene dentro di sé, in qualche maniera concentrati, tutti gli elementi rischiosamente secessionisti che hanno costituito una parte rilevante dell’immaginario e della comunicazione della Lega negli ultimi trent’anni. Non so se è chiaro: noi siamo collocati in questo punto della crisi e la nostra crisi è la crisi dell’Europa. Il grillismo è una delle varianti del potenziale sfaldamento dell’assetto democratico europeo, conseguenza di medio periodo della fine del compromesso tra capitale e lavoro così come si era realizzato alla fine della guerra. Noi siamo qua dentro. Dobbiamo ragionare partendo da questo punto di analisi e non adoperando il “senno di poi”. Il “senno di poi” è una scienza esatta, perché è una delle poche scienze assolute che esistano, dato che è facilissimo “poi” riconnettere le scelte in chiave di errore, insufficienza, debolezza.
La sconfitta della sinistra in Europa.
Ma attenzione: credo che faremmo un cattivo servizio alla verità se non andassimo a fondo nell’analisi della situazione in cui ci troviamo e se, a dimostrazione del fatto che noi siamo una parte del problema e non la soluzione del problema, usassimo occasioni come queste per atteggiamenti di critica e di autocritica che, decriptati, sono soltanto resa dei conti interna a un gruppo dirigente. Io vi invidio molto perché, avendo una responsabilità in più rispetto a voi, non posso partecipare al rito dei “sassolini nella scarpa” e devo invece invitarvi a non farlo, e a ragionare di politica. E a ragionare di politica per il dovere che noi abbiamo nei confronti del paese, perché penso di poter dire che non avevamo visto male. Non avevamo visto male a Firenze, nell’unico congresso che fin qui abbiamo fatto, un congresso né rituale né celebrativo, ma un congresso in cui abbiamo posto un problema: esattamente la lettura della sconfitta di lungo periodo. Una sconfitta che è tutta interna all’incapacità delle forze della sinistra di tutta Europa di leggere il mutamento di fase, la trasformazione del capitalismo mondiale da capitalismo prevalentemente industriale a capitalismo prevalentemente finanziario, con ciò che comportava anche nei suoi riverberi sui sistemi politici e sulle forme della democrazia.
La sinistra europea ha largamente pensato di poter dominare le tendenze liberiste del mercato mondiale e la sinistra radicale ha pensato che il suo compito fosse sostanzialmente quello di denunciare questa svolta a destra delle forze socialdemocratiche. In uno schema che era, congiuntamente, un de profundis per la sinistra del futuro. La sinistra del passato, nel frattempo, poteva acconciarsi a sopravvivere in tanti modi. Noi abbiamo provato a nascere lì dentro, avendo una percezione del fatto che la forma partito fosse consumata, percezione che non aveva nessuno in Italia come l’avevamo noi. Vorrei ricordarvi che avevamo chiesto in prestito ad un protagonista della politica europea come Daniel Cohn-Bendit la sua indicazione sul futuro del partito come “cooperativa sociale”, una traccia interessantissima. La possibilità cioè di reinventare forme di agire collettivo che avessero dentro un elemento etico e comunitario, un elemento solidaristico. Sono molto contento di sentire adesso tanto rimpianto di quelle “Fabbriche di Nichi” che il partito uccise, considerando quell’esperienza nemica del partito, una minaccia per il partito. Bisogna pur ricordare come si sono svolti i fatti, proprio perché quell’esperienza forse conteneva francamente una minaccia all’idea che potesse esser tenuto in vita un partito la cui forma nasce morta e non invece un partito che vive una tensione permanentemente critica sul tema della sua forma.
I nostri risultati, i referendum e le amministrative.
Abbiamo sbagliato in questo? Io penso di no e abbiamo ottenuto dei risultati straordinari. Noi siamo stati un partito di modeste dimensioni elettorali che tuttavia ha segnato la storia politica del paese. Non mettiamoli in fila come se fossero dei salmi da recitare, ma il referendum e le amministrative sono stati il punto più alto dell’esibizione del pericolo che noi rappresentavamo per una serie di poteri reali. Noi. Referendum, che abbiamo correttamente letto come una vittoria del centrosinistra suo malgrado, cioè una vittoria del centrosinistra che non c’è, come domanda di popolo, come domanda di cambiamento. I 27 milioni di voti che mordono la natura del berlusconismo in quanto progetto di privatizzazione onnivora, globale, della realtà. E poi le partite su Milano, su Cagliari, su Genova, su Rieti e sulla Puglia. Che cosa hanno fatto emergere queste partite? Il punto non era quello delle percentuali nostre; certo, avere il 10% è diverso che avere il 3,5%. Ma il punto era quello di una capacità di egemonia sulla scena politica e sul centrosinistra tale per cui la prospettiva di un centrosinistra affrancato dalle ipoteche di subalternità e subordinazione alla cultura liberista era praticabile e apriva più di un varco a una speranza gigantesca. Ma, scusate, contro che cosa si è mosso il mondo se non contro questa idea? Ma pensate che io fossi emotivamente spompato a fare le primarie nel momento in cui sono stato costretto a farle, che il problema fosse un fatto mio psicologico, soggettivo? Non avevamo la percezione di come si fosse determinato un ribaltamento del terreno politico, culturale, simbolico? Le primarie sono state celebrate quando si è caricato su Matteo Renzi il ruolo che ancora un anno prima era prevalentemente sulle spalle della nostra vicenda collettiva. “Cambiamento” sulle nostre spalle aveva immediatamente un richiamo alla questione sociale e alla questione dei diritti civili: un anno dopo “cambiamento” diventata prevalentemente la rottamazione di una classe politica e di una generazione. Ma anche Renzi, subito dopo le primarie, ha fatto il suo tempo, ed è scoccata l’ora di Grillo. Il “cambiamento” come generalizzazione del rancore nei confronti di ciò che viene percepito come privilegio e inerzia a fronte di una povertà dilagante. E quello che è accaduto nell’anno di Monti noi ce l’avevamo chiaro in mente, ancor prima che il governo di Monti cominciasse.
La categoria politica del “centro” e la scomparsa del ceto medio.
E anche qui, vorrei sapere in cosa abbiamo sbagliato. In cosa abbiamo sbagliato nel momento in cui nasceva il governo Monti e il popolo nostro ci diceva: attenzione. C’è stata una grande emozione popolare sulla nascita di quel governo, quell’emozione era dentro i nostri circoli, era dentro la nostra gente. E abbiamo dovuto evitare di disconnetterci sentimentalmente dal popolo nostro, abbiamo avvertito che le politiche di austerità sono l’altra faccia del populismo. L’abbiamo detto subito, con chiarezza, abbiamo soprattutto avvertito che la rimozione del berlusconismo era un fatto clamoroso, e immaginare che fosse una storia finita, quasi si trattasse di un epifenomeno della politica e non di un corposo fenomeno della società, della cultura, del berlusconismo come di una rivoluzione compiuta in Italia. Certo, rivoluzione reazionaria, con i tratti del regresso civile, del regresso culturale, del regresso sociale. Ma come si può immaginare, come noi abbiamo fatto, noi accecati, noi, dico, la sinistra dei facili festeggiamenti, che l’uscita da Palazzo Chigi compisse un ciclo? E non consentisse invece di riprender fiato, di ricalibrare un discorso pubblico in cui era evidente l’interesse a separare la classe dirigente del centrodestra dalla percezione del dolore sociale, in modo tale che si potesse compiere il gioco delle tre carte su chi ha la responsabilità del disastro attuale.
E la politica e il giornalismo, quanto hanno compreso che il dolore di cui si parlava talvolta nelle inchieste televisive non era lo stesso di prima, che non eravamo più al racconto della “società dei due terzi”, dove due terzi seduti sui propri stardard di sicurezza sociale guardano quel terzo escluso il cui smarrimento viene raccontato dalla sociologia del dolore? Un corno, compagni! E’ sempre la “società dei due terzi”, ma due terzi sono quelli esclusi, un terzo è quello incluso. Cioè il dato, vorrei che lo ricordassimo, è che siamo nati ragionando sul fatto che la categoria del centro non aveva a che fare con la realtà italiana perché stava scomparendo il ceto medio. Abbiamo fatto questo discorso: il centro ha un ruolo straordinario anche per la tenuta democratica quando, com’è stato per la vicenda italiana della democrazia cristiana, è il traghettamento della piccola borghesia fascista dentro la democrazia e l’invenzione di corpi intermedi della società che – con l’ideologia del risparmio, la cultura del sacrificio, gli artigiani, i commercianti, la piccola proprietà contadina, i maestri e le maestre e così via - consentono di guardare ai ceti subalterni come a una prospettiva di avanzamento e sono la base sociale di una democrazia. Credo che un regime, un regime di qualsiasi tipo, non si possa reggere senza ceti medi: un regime democratico fa fatica a stare in piedi senza un largo e diffuso ceto medio. La scomparsa del ceto medio è un problema sociale, politico e culturale di dimensioni gigantesche, che fa capire quanto siano ridicole le culture politiche del moderatismo, rispetto al problema di radicale espropriazione di senso sociale e di ruolo di questa parte della società.
Penso che noi abbiamo ragionato di questo, fondamentalmente. Abbiamo provato a lanciare un messaggio nella bottiglia. E’ ovvio che siamo arrivati alle primarie, dico per me, con il dovere di starci. Ma con la consapevolezza piena che stavamo dentro un’altra storia, non so se è chiaro. E che bisognava avere pazienza, che la fragilità, la vulnerabilità del nostro corpo è legata al fatto che siamo contemporaneamente percepiti o come rischiosamente eredi del bertinottismo, e quindi inaffidabili, o pericolosamente complici della subalternità culturale. In questa vicenda è difficile immaginare che ci fosse un modo preventivo di risolvere un problema che aveva a che fare con la lotta politica. Non si poteva sconfiggere Monti preventivamente nel rapporto con il partito democratico. Non so come, cosa bisognasse fare, se non sconfiggerlo come ipotesi di autoprigionia della cultura della sinistra: non un’alleanza ma una resa, abbiamo detto più volte. Ma in questo ha giocato il politicismo non soltanto del partito democratico, cioè di una cultura riformista esausta, bisognosa di rinnovare le fonti, le ispirazioni, il vigore, la natura e il vocabolario. Ma su questo il riformismo del partito democratico e il radicalismo alla nostra sinistra erano miopi nella stessa identica maniera. Tra D’Alema e Ingroia c’è lo stesso torcicollo, la stessa ossessione per Monti. E per noi è stato francamente duro e difficile.
Avessimo fatto un’altra scelta… Ma qual era un’altra scelta a nostra disposizione? Certo, dobbiamo partire dal fatto che la crisi importante del partito democratico coincide con la nostra crisi, cioè la nostra ipotesi è quella di una sinistra di governo capace di partire da qui, dall’Italia, per far massa critica e rimettere insieme un fronte dei progressisti in Europa. Tutta la nostra ipotesi politica è dentro lo schema non del prevalere dell’alleanza ma del prevalere della consapevolezza che si aggrava la crisi sociale del paese, nella pancia dell’Italia non covano fermenti rivoluzionari in senso progressista, ma covano fermenti rivoluzionari in senso reazionario, come sempre accade quando le società si impoveriscono. Si va verso la guerra, si va verso la dittatura, difficile andare verso il sol dell’avvenire, non so se è chiaro. Questa era la necessità nazionale di svolgere un ruolo e di darci una missione in questa partita.
Il Movimento 5 stelle e la nostra battaglia culturale e politica.
Oggi l’analisi che noi dobbiamo fare degli interlocutori, dei problemi, dei soggetti che abbiamo di fronte dev’essere, se posso dirlo, un po’ più smaliziata. Grillo: vi prego di non leggere le cose che diciamo su Grillo come ha fatto Mattia Feltri sulla Stampa in uno dei tanti pezzi intinti di vetriolo che quotidiani come la Stampa e il Corriere ci dedicano con ritmo incalzante. Mica si tratta di vedere ciò che è buono e ciò che è cattivo in Grillo. Il voto al Movimento 5 Stelle, poi la rappresentanza delle 5 Stelle, poi Grillo e Casaleggio, sono tre questioni tra loro distinte. Il movimento 5 Stelle prende un consenso straordinario che rappresenta un terreno molteplice, plurale e ambiguo di domanda di cambiamento. Io non propongo di selezionare gli elementi che hanno un qualche grado di consanguineità con i nostri elementi e di provare a governare. Io dico che dobbiamo veramente sconvolgere le nostre categorie con cui analizziamo un fenomeno come quello e semplicemente provare ad andare incontro a quel cambiamento con una battaglia culturale, con una battaglia politica. L’idea di avere come obiettivo il cento per cento del consenso è un’idea da brivido, come tutti voi potete immaginare. Dobbiamo ricordarci che la democrazia vive non soltanto della forza e dell’espressione orizzontale dei desideri delle persone,della loro soggettività: vive anche del culto assoluto dei diritti delle minoranze e su questo è inutile dire null’altro che non abbia già scritto Zagrebelsky nel suo saggio sul “Crucifige”, cioè su una democrazia plebiscitaria che mette in croce Cristo. Attenzione. Io penso che nessuno di noi abbia reticenza a questo livello della battaglia culturale.
Ne dico un altro di elemento. Si può avere la distanza più lontana dai propri avversari, considerarli veramente gli avversari della vita, combatterli con durezza. Ma l’elemento della denigrazione morale dell’avversario è però dentro di sé, in nuce, qualcosa di inaccettabile. Ognuno di noi, quando si legge nelle cose dei grillini, è colto da un elemento di ansia e di smarrimento. Io ho più di quarant’anni di vita politica, quarant’anni di vita politica inghiottiti dentro un insulto. Forse anche per il fatto che sono tanti quarant’anni di vita politica e chissà perché, avere passione civile e passione politica a quattordici anni è considerato segno di vitalità; averlo avuto a quattordici anni quando ne hai cinquantaquattro è segno di degrado morale, non lo so perché. Ma attenzione, anche questo è un elemento che culturalmente noi dovremmo apprezzare un po’ di più. La denigrazione organizzata: ogni volta che io scrivo qualcosa nella rete, so che ci sono almeno quaranta grillini che hanno proprio come loro missione il marcamento a uomo. Qualunque cosa io dico, qualunque cosa io propongo, hanno il compito dell’infamare, del macchiare. Anche questa è una modalità di sporcare una passione genuina. Perché io immagino che ciascuna di quelle persone che hanno come compito (io parlo di me, ho analizzato su di me queste cose) di sporcarmi, siano persone in perfetta buona fede, siano giovani pienissimi di volontà di cambiamento. Ma attenzione, la volontà di cambiamento è anche quella che ti porta a bombardare i Buddha e a pensare che sia salutare devastare i segni della civiltà degli altri. Anche su questo io non penso che dobbiamo fare un passo indietro rispetto alla battaglia culturale di civiltà.
Ma abbiamo sempre questi tre elementi: un voto straripante, che contiene fino in fondo anche il disincanto verso il centro sinistra; una rappresentanza di cui sappiamo molto poco (avremo modo di audire voci, pensieri e parole, ma ho l’impressione che nelle questioni di fondo, dal lavoro, alla giustizia, alla scuola, alle banche, ci possiamo trovare di fronte a un repertorio larghissimo di differenze interne a quell’area, e forse è anche questo un motivo per cui finora è stata un’area silenziata, perlomeno rispetto a quello che riusciamo a percepire); un capo, o forse due in Grillo e Casaleggio. Non si tratta però adesso di essere fiacchi con Grillo, si tratta di sapere che lì dentro ci sono anche degli elementi che appartengono fortemente ai doveri di una sinistra riformatrice in questo tempo di crisi. La riforma della politica: e qui, vi prego, non fate l’autocritica degli altri ( ricordo un simpaticissimo Giorgio Amendola quando diceva “i compagni sono bravissimi a farsi l’autocritica degli altri”), perché qui credo c’è un problema per tutti noi. Se ripercorressimo le vicende della formazione delle liste potremmo avere materiale su cui riflettere: qual è stato il riverbero dei territori su tutti i punti di crisi e di lacerazione e quali sono le tendenze non solo all’autoconservazione dall’alto ma anche a uno sfrenato elettoralismo dal basso. Noi siamo globalmente lo specchio di una crisi: quello che ci differenzia dagli altri è che lo diciamo, che proviamo ad analizzarla questa crisi e che in una qualche maniera proviamo anche a reagire, naturalmente con tutte le insufficienze di un’organizzazione come la nostra che nasce con una natura pattizia e che fa fatica a sciogliersi in una forma comunitaria in cui la solidarietà sia quella dei membri della nuova comunità e non quella degli antichi sodalizi.
Il PD, noi, la sinistra in Italia: si è esaurita una storia.
Poi c’è il partito democratico. Anche qui, compagni: scioglierci nel partito democratico! E’ proprio un modo di discutere fuori del contesto. Ad un certo punto ci si ferma e in astratto ci chiediamo: esistiamo? Ci sciogliamo? In questo momento il processo politico è ricco, articolato, vorticoso; vedremo che succederà con l’incarico a Pierluigi Bersani. Abbiamo apprezzato lo sforzo di stare in sintonia con noi di Bersani. Certo, non abbiamo una grandissima audience, però abbiamo svolto un ruolo. Nel momento del panico, quando il partito democratico diceva “elezioni anticipate” mentre ancora si stava scrutinando, o diceva “governissimo”, noi abbiam detto “no”. Abbiamo rotto il tabù e abbiamo detto di andare a vedere le carte di Grillo. Abbiamo provato a impostare differentemente la questione, anche per una previsione, che è quella che se si dovesse tornare alle elezioni anticipate dovrebbe essere chiaro a tutti che si tratta di una scelta frutto del politicismo di Grillo, cioè della prevalenza del calcolo elettorale rispetto agli interessi del paese. Questo è quello che abbiam detto.
E’ finita la serie delle varianti? No, non è finita. Perché ovviamente ci sono altre varianti più consone alla cultura politica delle nostre classi dirigenti ed è probabile che se fallisce Bersani noi ci possiamo trovare di fronte a uno schema rovesciato, che è quello che pone, a fronte di un nuovo governo tecnico, il partito democratico dinanzi alla responsabilità di portare eventualmente il paese alla crisi. Salvare il senso di responsabilità e suicidarsi contemporaneamente, perché qualunque abbraccio con la pdl porta a un principio di deflagrazione. Questo è lo scenario. Quando io dico si è esaurita una storia, sia la nostra sia quella del partito democratico, sto dicendo che si è esaurito un ciclo, si è esaurita una fase. Sto dicendo che dobbiam fare politica, che dobbiam vivere, che dobbiamo essere capaci di fare qualcosa. Non dico raccogliere le firme per il reddito minimo garantito che forse è eccessivo come fatica fisica. Ma per lo meno essere attori nella società, capendo che il tema è posto, il suo svolgimento è davanti a noi. I partiti non nascono in laboratorio, non sono delle creature che nascono in provetta: si fanno nella società, nel vivo della contesa, nell’organizzazione degli interessi, delle culture.
Il tema è il vuoto della sinistra che c’è in Italia. Noi siamo stati una allusione, talvolta un’illusione. Oggi siamo un frammento di un discorso tutto da costruire, il partito del progresso del futuro. “Benvenuta sinistra” era lo slogan giusto, a una condizione: che si potesse spiegare che il deficit di sinistra aveva accompagnato lo smarrimento dei diritti delle persone. Quanto meno sinistra c’è stata nei luoghi istituzionali tanto peggio è stata la vita reale delle persone. La sconfitta politica della sinistra ha accompagnato simmetricamente il regresso sociale di una parte larga dell’Italia, questo è stato. Dunque, “benvenuta sinistra” doveva significare “benvenuta giustizia sociale”, “benvenuta la laicità”, “benvenuti i diritti di libertà”, “benvenuto un paese ambientalista”, “benvenuto un paese che fa una battaglia esplicita contro l’illegalismo di massa”. Ecco, riflettiamo anche sui tre ingredienti che hanno agganciato di nuovo la pancia larga del sud: condono tombale, condono edilizio e Imu. Veramente noi siamo diventati grillini al punto tale da pensare che tra politica e società c’è uno iato e che la politica fa schifo mentre la società è un’entità virginale? Veramente pensiamo che non c’è una relazione tra società e politica? Io ho provato a dirlo così in campagna elettorale: Berlusconi fa appello all’illegalismo di massa, cioè fa appello ad un terreno sul quale noi non possiamo agire moralisticamente. Si tratta davvero di capire qual è invece il modello di sviluppo che metti in campo, come cambia il tuo vocabolario. L’ambientalismo del centrosinistra è domenicale, mentre la sua propensione cementificatrice è feriale.
In questo momento mi pare molto saggia la scelta della CGIL di dire “facciamo un governo per il lavoro”. Noi di qua dobbiam partire. Il 65% degli italiani stanno male, ci dicono i dati. Cresce la povertà continuamente, ci sono urgenze di ore, di ore. Noi non possiamo tenere fermo il paese non dico per sei mesi, non possiamo tenere fermo il paese per tre mesi. E la ragione per cui andava fatto l’azzardo dell’alleanza con il partito democratico, è perchè sta crescendo ovunque in Europa la consapevolezza materiale della sostenibilità delle politiche di austerità. Questa è stato il terreno. Credo che se potessero tornare indietro, sapendo quello fanno non solo dal punto di vista elettorale, anche dal punto di vista dei dati più recenti che hanno fornito Banca d’Italia e altri su quella che è la condizione sociale reale del paese, penso che il partito democratico farebbe un’altra campagna elettorale. Allora, noi abbiamo urgenza di provare a dare delle risposte non moralistiche.
Sulla corruzione, c’è l’urgenza di dare una risposta a un fenomeno che è di devastazione dell’economia, della ricchezza del paese. Vorrei dire che c’è un silenzio sul processo di riorganizzazione capillare delle mafie in tutta Italia che fa paura. Quello che io osservo in Puglia, dopo anni e anni di marginalizzazione dei clan, è che negli ultimi tre mesi c’è stato un salto incredibile. Ne parlo dicendo a tutti noi che l’educazione alla legalità e il galateo antimafia oggi sono veramente un orpello retorico a fronte della necessità di parlare di corruzione e di criminalità organizzata come di architravi dell’idea di uno sviluppo e della crescita di un modello sociale. Una cosa concreta, visto fra poco parleranno i parlamentari del partito democratico: che altro bisogna aspettare, dopo quello che ha scritto ieri il New York Times, per dire non “diminuiamo” ma “cancelliamo” il programma di acquisto degli F35, che altro dobbiamo aspettare? Dice il New York Times di ieri: fonti del Pentagono asseriscono l’assoluta inutilità anche come strumenti di combattimento di questi velivoli. E’ una cosa, una, e su quella vorrei convocare una manifestazione di massa per dire, immediatamente, quelle risorse sono cifre che possono alimentare il fondo per la non autosufficienza, avviare un piano di rimessa in sicurezza delle scuole e così via. Allora, attenzione. Anche la maniera di discutere del partito democratico ha a che fare con soggetti esterni al partito democratico, basti citare la CGIL.
La casa dei progressisti e la nostra adesione al PSE.
Per noi c’è uno spazio politico reale, non per la nostra sopravvivenza, ma spero per la nostra dissoluzione in un soggetto che sia la casa dei progressisti del futuro e dobbiamo vivere questo spazio come un fatto costruttivo. Lo dico in forma provocatoria: dobbiamo essere capaci di parlare al paese e di parlare al partito democratico parlando al paese, Dobbiamo fare una riflessione sul nord molto seria, perché non sappiamo ancora come sarà la ripartenza della macroregione del nord. Voglio dire due ultime cose. Siccome la partita, come si è visto, è tutta sul destino dell’Europa, io francamente penso che noi non possiamo ulteriormente indugiare nel fare una scelta, nell’individuare qual è il luogo in Europa in cui si può determinare l’accumulo delle forze, delle energie necessarie, in questo momento particolarmente inquietante di crisi. Grillo è un fantasma che si aggira per tutta l’Europa e noi dobbiamo sapere qual è il luogo in cui si può ricostruire il fronte del progresso della sinistra in Europa.
Io penso, lo dico, non tutti siamo d’accordo: questa volta dobbiamo giungere a sciogliere il nodo. Penso che questo è il tempo in cui dobbiamo entrare come componente caratterizzata da una forte propensione ecologista e libertaria, dentro il Partito del Socialismo Europeo. Penso che sia il modo non soltanto di segnalare che la nostra vicenda non è una vicenda di bassa cucina, ma è una vicenda della politica europea, un modo di stare dentro, anche nei confronti del centrosinistra e del partito democratico, la costruzione di una nuova Europa e il modo più spiazzante, più intelligente di tornare a porre l’agenda vera delle cose da fare.
Essere il lievito del cambiamento.
Vorrei ringraziare le amiche e gli amici,le compagne e i compagni che si sono candidati con noi e che hanno partecipato a questa discussione. Noi come partito, io come persona, mi sento in debito nei loro confronti. A molti di loro abbiamo chiesto qualcosa che è normale chiedere a noi stessi. Noi viviamo pericolosamente da tanti anni, viviamo con le nostre forze, i nostri sacrifici, facendo davvero degli sforzi talvolta sovrumani. Volevo dire alle compagne che il lavoro di cura va fatto in un contesto di reciprocità e siccome il leaderismo è una malattia e va combattuta costruendo comunità, penso che in una comunità il lavoro di cura sia un atteggiamento, uno stile operativo, culturale e umano che deve contraddistinguere tutti nei confronti di tutti, anche nei confronti di chi è momentaneamente il leader di questo partito. Penso che sia doveroso da parte mia dirlo, perché da alcuni anni, e ora in maniera particolarmente aspra, siamo dentro una vicenda nella quale capita a ciascuno di noi di discutere di una scelta che ha segnato la nostra vita. Chi ha fatto la politica come l’abbiam fatta noi, chi ad un certo punto ha deciso di non intraprendere la carriera universitaria o la carriera giornalistica e ha deciso un’altra cosa e l’ha decisa non come una carriera ma come una scelta di vita, si trova a fare delle considerazioni che riguardano persino la propria esistenza. Non parlo di me, parlo di ognuno di noi. E quindi bisogna avere delicatezza e rispetto nei confronti di tutti e di tutte. I compagni e gli amici che senza una tessera di partito hanno accettato di condividere con noi quest’esperienza hanno dato anche una prova straordinaria di maturità partecipando a questo dibattito e facendolo senza nessun tipo di recriminazione individuale. Ho trovato alcuni interventi di altissima levatura politica e penso che noi siamo in una situazione complicata e tuttavia credo che dobbiamo riflettere su quello che noi siamo sapendo che io non potrei mai più immaginare Sinistra Ecologia Libertà orfana del contributo di questi uomini e di queste donne. Alcuni di loro sono nella mia testa più vicini a Sel di quanto non lo sia io: mi convincono loro, con le loro parole, con la loro testimonianza, a credere ancora in questo progetto, Non un progetto di autosufficienza, ce lo siamo detti ma forse non ne eravamo convinti e forse questo è stato consentito al leader di dirlo come se fosse una sua civetteria. La nostra autosufficienza è la nostra morte. O noi siamo lievito per far crescere una prospettiva di cambiamento che sia di sinistra oppure noi non abbiamo alcun senso. Su questo ho costruito il percorso che ho condiviso con tutti voi e in un momento di difficoltà come questo non posso che dirvi: o ripartiamo da qua oppure non c’è speranza per il nostro futuro.
NENCINI: NE' CON IL PD, NE' RIPIEGARSI SUL PASSATO. SCRIVERE UNA PAGINA NUOVA
Psi news 15 marzo 2013
NENCINI: NE' CON IL PD, NE' RIPIEGARSI SUL PASSATO. SCRIVERE UNA PAGINA NUOVA
Si è svolto ieri, il seminario organizzato dal Psi, per aprire una riflessione sull'esito del voto delle ultime elezioni politiche e sulle prospettive per il Psi e per l'Italia. Al seminario, al quale hanno preso parte anche Ugo Intini, Tiziana Parenti, Luigi Covatta e Mario Serpillo, erano presenti assessori e consiglieri regionali socialisti, segretari regionali e provinciali, alcuni componenti della direzione nazionale e i sei parlamentari socialisti eletti. I due esperti analisti, Federico De Luca, della 'squadra' D'Alimonte e Fabrizio Masia, presidente di EMG, hanno esaminato i flussi elettorali e le ten! denze della società italiana del dopo voto. Sono intervenuti Vizzini, Craxi, Potenza, Iorio, Scuderi, Labellarte, Benaglia, Bartolomei, Guidi, Cefisi, Del Bue, Sollazzo e il senatore italo-brasiliano eletto all'estero, Fausto Guilherme Longo, che ha ottenuto 30 mila preferenze in Sudamerica. "Sono socialista nella vita, nella testa, nel cuore- dice Longo nel suo intervento. L'Italia ha bisogno di un Governo, ma non di un Governo qualsiasi. Occorrono politiche di progresso e una grande spinta riformista e socialista, di cui il Psi sia l'ispiratore. Ho fiducia che supereremo assieme il difficile momento in cui si trova l'Italia".
Le conclusioni del seminario, sono del segretario nazionale del Psi, Riccardo Nencini: "La fragilità sociale italiana non è destinata a tramontare. Studenti, disoccupati, liberi professionisti, votano il partito di Grillo e se la fragilità sociale aumenta, questo consenso rimarrà stabile. Il Movimento 5 Stelle, il cui obiettivo è il tentativo di destabilizzare questo sistema politico e portare fino in fondo la lotta ai partiti, non può votare la fiducia perché ha un'altra strategia. Se Bersani avrà l'incarico di formare il Governo, noi lo sosterremo con lealtà. Ma se Bersani non riuscirà, dovremo chiederci cosa fare, favorendo comunque soluzioni che portino a un governo di cambiamento.
Il Pd si troverà nelle stesse condizioni del Psi nel 1921-22 e dovrà scegliere se votare un governo di emergenza nazionale oppure no. Intanto, in parlamento non c'è più il partito di Fini, non c'è Storace seppellito da FdI, non c'è Di Pietro e non c'è la sinistra antagonista. Non sappiamo cosa sarà di Casini, ma è possibile un 'rassemblement' di Monti, Montezemolo, associazioni cattoliche. Il Pdl dovrà avviare l'operazione ricostruzione, se non altro per ragioni anagrafiche. E Vendola ha dichiarato di trovarsi meglio nelle fabbriche di Nichi piuttosto che nel partito che ha fondato.
Il Psi non può aspettare le mosse degli altri, sarebbe irresponsabili!
Chiarisco subito: noi non entriamo del Pd e non dovremo ripiegarci sul passato.
Va definita rapidamente la nostra missione in un tempo di formidabili cambiamenti. E bisogna tenere conto che le prossime elezioni politiche potrebbero essere molto vicine o comunque vicine. Un partito piccolo non può rappresentare tutto e deve caratterizzarsi per delle scelte precise. Non dobbiamo fare un partito 'tematico' ma non possiamo pretendere di diventare un partito 'generico'.
Dobbiamo qualificarci soprattutto come partito dei diritti civili e del lavoro, nelle sue nuove articolazioni e nei suoi nuovi bisogni: dal mondo della conoscenza ai neo professionisti, dagli atipici senza diritti ai giovani diseredati. Saremo l'unico presidio laico in parlamento e abbiamo il dovere di ereditare quella storia. Dovremo radicare relazioni con altre culture laiche e democratiche.
Abbiamo ottimi amministratori locali, ma la questione nazionale è prioritaria. Non pensiamo di valorizzare un partito 'localizzandolo'. Di un partito che si chiama 'socialista', rappresentante in Italia del Pse e dell'Internazionale Socialista, possiamo esaltare le sue particolarità regionali ma dentro una cornice nazionale. Abbiamo di fronte un cammino delicato ma appassionante, che possiamo affrontare a condizione di avere coesione e responsabilità. Ad ogni livello.
Un modello di partito va modulato su queste prospettive: più federalismo, organizzazioni più snelle, rinnovamento. Non dobbiamo rifugiarci nell'angolo dell'intoccabilità, perché l'intoccabilità diventerebbe immobilismo. Non si getta via nessuna storia: va aperto un percorso, con la rapidità che la politica richiede. Le cose accadute intorno a noi non ci consentono di fermarci. Se ci fermiamo, commettiamo un errore. Inizieremo col presentare in tutta Italia, sin dal mese di marzo, le proposte di legge che renderanno evidente la nostra autonomia e la missione che stiamo costruendo. E al contempo avvieremo tutte le iniziative necessarie per dare corpo a questo progetto.
venerdì 15 marzo 2013
giovedì 14 marzo 2013
mercoledì 13 marzo 2013
Vittorio Melandri: E se fosse il Presidente sbagliato?
E SE FOSSE IL PRESIDENTE SBAGLIATO????
La “Repubblica italiana” e pure “la Repubblica”, non sono ancora il regno della democrazia, né sono tutt’al più il segno.
Parafraso così, prendendole a prestito, le parole del Priore di Bose Enzo Bianchi, che laicamente interrogandosi, “e se fosse il Papa sbagliato?”, così magistralmente chiude il suo articolo su “la Repubblica” del 13 marzo:
“La chiesa, … non è ancora il regno di Dio: ne è il segno”.
E così come il Vangelo resta “il canone primo e ultimo della vita cristiana”, ad oggi, la Costituzione “resta il canone primo, anche se non ultimo”, della vita di cittadini che vogliano essere liberi e non sudditi, di nessuno, tanto meno del Sig. Presidente della Repubblica.
E se fosse da sette anni ormai “il Presidente della Repubblica sbagliato” ???
Configura forse il reato di vilipendio chiederselo?
Ed è francamente disarmante sino al deprimente, la prudenza con cui il vice direttore de “la Repubblica” Massimo Giannini, arriva timidamente a battezzare «“sproporzione” politica», il gesto da Ponzio Pilato con cui il Sig. Presidente della Repubblica ha messo di fatto sullo stesso piano politici paurosamente sediziosi e magistrati soggetti solo alla legge, a cominciare dal dettato costituzionale che all’Art. 112 sancisce perentoriamente che “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”.
Sono fra quei cittadini che a suo tempo pensarono che si potesse “con fermezza salvare la vita di Aldo Moro”; si scelse come sappiamo la strada della “fermezza” e basta, convinti che ogni cedimento anche formale alle BR, configurasse una “impossibile resa dello Stato”.
Che da vent’anni e più quello stesso Stato si mostri incapace di sottrarsi al ricatto di chi, una volta riuscito a “forzare” la porta del palazzo, spaccia il suo destino personale, di cui resta il primo artefice, come coincidente con il destino addirittura della “democrazia”, è cosa disperante, e cosa che riesco a rappresentare, giunti a questo punto, solo con la disperazione resa dal segno di Munch.
Vittorio Melandri
Aldo Penna: L'anticorpo mancante
José Mujica, presidente dell'Uruguay, guadagna 9000 euro al mese ma ne tiene per sé soltanto 1100 devolvendo gli altri in beneficenza. L'uomo più potente della terra, l'imperatore elettivo della Nuova Roma, gli Stati Uniti d'America, guadagna 287.000 euro l'anno ed è l'impiegato statale più pagato del suo paese. In Sicilia un dirigente regionale è andato in pensione con 1400 euro al giorno!
Mentre i governatori di popolosi stati americani guadagnano 5000 euro al mese, un senatore italiano appena eletto ne percepisce il triplo.
Perché succede tutto questo? Cosa differenzia l'Italia da altri paesi dove
alle parole diminuzione dei privilegi seguono i fatti, mentre da noi
I fatti vengono beffati cambiando nome al privilegio?
Non può essere solo la combinazione disastrosa di una complicità di classe che conduce la quasi totalità del Parlamento, anche in tempo di carestie e vacche magre, a ricoprirsi d'oro.
Come è possibile l'equità in un paese dove la nuova aristocrazia elettiva si attribuisce pensioni auree e lauti vitalizi alla maniera della nobiltà al tempo di Luigi XVI?
Come mai le cifre dello scandalo vengono fuori e poi svaniscono nel silenzio compiacente dei media che, con poche e meritorie eccezioni, dimentica e si volta d'altra parte per non vedere?
Se un organismo si ammala e non guarisce è probabile che difettino gli anticorpi.
Quali sono gli anticorpi nelle democrazie?
Il primo anticorpo è l'opposizione, ma a volte la malattia la
corrompe e la rende complice.
Il secondo anticorpo è la magistratura. Ma il sistema è divenuto abile e trasforma in legge i favori di cui gode.
Se non c'è trasgressione non c'è reato, la legge Bassanini e la riforma del titolo V, hanno concesso il salvacondotto al saccheggio organizzato.
Il terzo anticorpo, quello che impedisce a Presidenti di porsi ad sopra
della legge, ai governi di trafficare con i dittatori, a primi ministri di
mentire sulle ragioni di un conflitto, si chiama complesso mediatico. Una rete di migliaia di sentinelle che all'arrivo dei virus delle istituzioni democratiche, accorrono, battagliano, chiamano a raccolta gli altri anticorpi dormienti o distratti e bloccano gli invasori.
Le infezioni delle democrazie sono conosciute e ripetute: invadenza pervasiva del sistema bancario, condizionamenti dal sistema industriale, pressioni asfissianti dai cento ceppi corporativi.
Per poter funzionare il terzo anticorpo, il più efficace, non deve avere nulla da
spartire con gli elementi che "condizionano" il sistema.
E qui l'anticorpo italiano dimostra la sua fallacia. Non c'è bisogno di
ricordare a chi appartengono le maggiori tv private, come sono nominati i direttori delle tv pubbliche, a chi sono collegati i maggiori gruppi editoriali per capire che il terzo anticorpo ha la salute minata, la volontà fiaccata da robuste dosi soporifere e solo pochi punti periferici di questo aggregato rispondono agli allarmi.
L'anticorpo che non funziona o si muove al comando dei
virus ha reso la democrazia italiana malata oramai da decenni.
Il ministro tedesco dell'istruzione si dimise per aver copiato la tesi, un
ministro svedese per non aver versato i contributi alla colf e un ministro americano per non aver pagato le tasse
Comportamenti passibili di modeste sanzioni che il
sistema mediatico di quei paesi, attivando l'opinione pubblica, è riuscito a far divenire incompatibili per una carica pubblica.
Con gli anticorpi disinnescati, l'organismo Italia è devastato dalle infezioni.
I referendum possono essere traditi nel silenzio generale, leggi immorali approvate senza che nessuna campagna stampa si levi, plateali verità negate.
Nel Senato degli Stati Uniti, nessun senatore ha svolto la professione di
giornalista.
Nel Parlamento Italiano è frequente trovare giornalisti eletti in tutti gli schieramenti.
Un segnale non rassicurante per l'indipendenza dell'informazione dalla politica. Una solida spia per l'anticorpo che non c'è.
E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.
Paul Eluard
Un'autonomia e una libertà di cui l'Italia ha drammaticamente bisogno.
Aldo Penna
martedì 12 marzo 2013
lunedì 11 marzo 2013
Franco Astengo: Quando si arresta la globalizzazione
QUANDO SI ARRESTA LA GLOBALIZZAZIONE
dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it
Quanti si sono ostinati a sostenere, in particolare dopo la fine della divisione del mondo in blocchi e l’affermazione di una sola superpotenza, che la “storia non fosse finita” e che il mondo “non fosse piatto” come aveva scritto, sul New York Times, Thomas Friedman, possono oggi ragionare con qualche argomento in più a loro disposizione.
Prendo spunto da un intervento di Danilo Taino, apparso sulla “Lettura” del “Corriere della Sera” dello scorso 3 Marzo che indica, testualmente: “ La globalizzazione sta tornando indietro. Si è fermata nel 2007 e da allora ha iniziato una marcia a ritroso, non per le proteste dei sindacati, non per le manifestazioni No Global, non per il buon sapore del chilometro zero. Perché il vento che le gonfiava le vele ha cambiato direzione nella finanza, nei commerci, nelle scelte delle aziende, ma anche nelle istituzioni, nella politica e, soprattutto, nelle idee che danno forma al mondo”.
E ancora si pone il problema: “ Per alcuni è un bene. Più probabilmente è un pericolo”.
Dal mio punto di vista la questione però sta da tutt’altra parte: cosa lascia in eredità il ventennio della globalizzazione selvaggia?
Se sta diminuendo il volume degli scambi del commercio internazionale e il processo di democratizzazione degli Stati sta incontrando difficoltà, almeno secondo le valutazioni di Freedom House, dopo decenni di espansione misurati soprattutto con l’acquisizione della libertà nel diritto di voto, di converso alcuni fattori resteranno incontrovertibili: primo fra tutti, in assoluto, la nuova capacità di connessione tra le diverse parti del Pianeta, sia dal punto di vista della possibilità di spostamento delle persone (i viaggi, nel corso degli ultimi vent’anni, si sono decuplicati almeno sotto l’aspetto quantitativo globale) e di velocità e pervasività della comunicazione, attraverso la definitiva affermazione di Internet.
Ma qualcosa si è rotto, da questo punto di vista, fino a far parlare di rottura della cosiddetta “catena globale della fornitura” e dalla fine dell’attrattività del cosiddetto “offshoring”: la convenienza cioè di spedire fabbriche e posti di lavoro in quello che è stato il Terzo Mondo.
Il G7 svoltosi alcune settimane fa, ha dovuto discutere di possibili guerre valutarie, intese come mezzi per abbassare il valore di una moneta allo scopo di favorire le esportazioni. Mercantilismo valutario, insomma, quasi ci trovassimo negli anni’30 del XX secolo.
Quale eredità lascia, allora, questo ventennio ruggente?
La prima è quella del cosiddetto “ritorno alla Geografia”: l’idea dell’inesorabile dismissione del concetto di “Stato. Nazione” ha subito, almeno a mio giudizio, un fiero colpo. Un superamento che, come nel caso dell’Unione Europea potrà avvenire con maggiore gradualità, ma verso un soggetto “politico”, non semplicemente dominato dalla logica della finanza.
La seconda è quella di una difficoltà evidente, nell’insieme delle relazioni economiche internazionali, del cosiddetto “multilateralismo” (cioè la stipula di accordi generali aperti a tutti i paesi su basi paritarie), tanto è vero che lo stesso Obama, attraverso una proposta di apertura di negoziati per una zona transatlantica di libero scambio, pare muoversi in una logica di ritorno alla “bilateralità” tra Stati Uniti ed Europa.
La terza, maggiormente significativa, è quella che segnala nel suo ultimo libro “ Il prezzo della diseguaglianza” il Premio Nobel Joseph Stilgitz, che sostiene come il divario tra ciò che i nostri sistemi economici e politici dovrebbero fare – e ciò che hanno fatto credere che facessero – e ciò che effettivamente fanno è diventato troppo ampio per poterlo ignorare.
E aggiunge: “ I governi del mondo non stavano affrontando problemi economici cruciali come la persistente disoccupazione e, mentre i valori universali dell’equità venivano sacrificati all’avidità di pochi, nonostante la retorica del contrario, il senso di ingiustizia si è trasformato nella sensazione di essere stati traditi”.
Una situazione che, sempre secondo Stilgitz, può mettere a rischio la democrazia in molte parti del mondo.
La ricetta secondo Stilgitz è quella di “domare e temperare i mercati”: il suo modello, sostanzialmente il New Deal (di cui fa l’esempio citando l’istituzione della Social Security, la crescita dell’occupazione attraverso l’intervento pubblico in economia e il minimo salariale).
E chiude dicendo che tocca, insieme, a politica e a economia fare qualcosa.
Tutto questo prezioso materiale fornisce alcune indicazioni di fondo.
La prima è quella che, all’interno della crescita delle diseguaglianze così come indicato da Stilgitz, ci sta tutto intero quel concetto di “ricollocazione di classe” che, a dispetto dell’effettivo sfrangiamento sociale verificatosi nel corso degli ultimi decenni con la fine dell’industria ad altissima concentrazione di capitale e di manodopera, è il prodotto più tangibile della crisi.
La seconda è che, come ha scritto Nadia Urbinati, l’era della controffensiva capitalistica ha prodotti guasti rilevantissimi sul processo democratico.
Nel provincialismo del dibattito politico italiano sono stati introdotti elementi che appaiono, in questo momento dominanti e che vanno, invece, contrastati proprio in nome di una nuova modernità: il primo è quello della cosiddetta “decrescita felice” che, davvero, in queste condizioni appare foriera di ulteriori passi nel disastro. E’ il caso, invece, di pensare a nuove condizioni dello sviluppo e “nello sviluppo” tenendo conto del riproporsi di condizioni geo – politiche di cui si pensava il totale superamento (si sono riedificati i confini, recita l’occhiello del già citato articolo di Taino).
Il secondo riguarda la cosiddetta “qualità dell’agire politico”: una così forte tendenza alla ricollocazione di “classe” quale vero e proprio fenomeno di massa e la contemporanea crisi del rapporto tra capitalismo e democrazia, non impone soltanto il pensiero “lungo” di un superamento del sistema (pensiero che va comunque mantenuto quale punto di riferimento essenziale, nell’idea non abbandonabile di una società superiore composta da liberi ed eguali), ma anche della presentazione immediata e della proposta di affermazione, qui e ora – almeno a livello europeo – di una politica fondata sulla mediazione sociale di grandi corpi intermedi posti sia sul piano sociale, sia sul piano politico.
Si tratta di quella che avevo cercato di definire, tempo addietro, la “centralità della sovrastruttura politica”: la sola strada per riaprire il confronto con quell’idea di riduzione nel rapporto tra politica e società che è stato alla base del mutare progressivo nel rapporto tra politica e domanda sociale, fino a costruire le condizioni per una separatezza reciproca, proprio nel senso che il testo di Stilgitz indica come assolutamente deleteria e da combattere.
Esiste, infine, e non può essere dimenticato il piano culturale, da affrontare fondamentalmente chiudendo l’era descritta da Naomi Klein nel suo best-seller “No Logo” (1999) “la gioventù della classe media di tutto il mondo sembra passare la propria vita come se fosse in un universo parallelo”.
Serve l’internazionalizzazione nel confronto delle idee, non la globalizzazione dei comportamenti legati a un unico modello: forse è proprio da questo punto che possiamo ripartire con quelle idee di rivolta che come recitava una canzone del ’68 “non sono mai morte”.
Franco Astengo
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