Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
sabato 30 gennaio 2021
Occupazione: la crisi COVID-19 colpisce in particolare i giovani e i lavoratori meno pagati | Italia
Occupazione: la crisi COVID-19 colpisce in particolare i giovani e i lavoratori meno pagati | Italia: Occupazione: la crisi COVID-19 colpisce in particolare i giovani e i lavoratori meno pagati
venerdì 29 gennaio 2021
mercoledì 27 gennaio 2021
martedì 26 gennaio 2021
Bernie Sanders, l’archetipo e il meme - Annamaria Testa - Internazionale
Bernie Sanders, l’archetipo e il meme - Annamaria Testa - Internazionale: La cerimonia che ha inaugurato la presidenza di Joe Biden è stata anche una passerella di moda. Ma in rete ha spopolato un’altra immagine, simbolo di discontinuità con la Casa Bianca degli ultimi quattro anni. Leggi
lunedì 25 gennaio 2021
sabato 23 gennaio 2021
venerdì 22 gennaio 2021
Paolo Pombeni: Sopravvivere a forza, così la sinistra si è ridotta a difendere il mondo di ieri - Linkiesta.it
Sopravvivere a forza, così la sinistra si è ridotta a difendere il mondo di ieri - Linkiesta.it: Le sfide del presente impongono una rifondazione della società, della politica, della cultura. Un appello cui gli eredi di una vicenda iniziata a Livorno e finita in braccio ai Cinquestelle non sono in grado di rispondere, come spiega Paolo Pombeni in “Sinistre” (Il Mulino)
giovedì 21 gennaio 2021
mercoledì 20 gennaio 2021
European funds and southern Italian regions: a critical view - Telos
European funds and southern Italian regions: a critical view - Telos: Regions that need supplementary resources are not able to spend the available amount of European funds. / Salvatore Perri
Gianluca Mercuri: La gaffe di Letizia Moratti
La gaffe di Letizia Moratti e l’ansia lombarda dell’"adeguamento ai nostri numeri": un ragionamento da fare (con amore)
Gianluca Mercuri Corriere della sera
«Moratti vergognosa. Ha usato un argomento di eugenetica. Secondo il suo ragionamento i senzatetto, i poveri, i pensionati e gli invalidi non dovrebbero ricevere il vaccino, e quelli con stipendi più alti prima di tutti. Come lombardo mi vergogno di essere rappresentato da lei».
A una persona tendenzialmente mite come Tito Boeri dev'essere saltata veramente la mosca al naso per lasciarsi andare a un tweet tanto duro. D'altronde, l’ultima sortita di Letizia Moratti pone problemi non solo nel merito, ma anche perché conferma la naïveté comunicativa di un personaggio che pure occupa e rioccupa la scena da decenni in ruoli importantissimi, da presidente della Rai, da ministra dell'Istruzione, da sindaca di Milano, ora da vicepresidente e assessora al Welfare della Lombardia. In questa nuova carica, la prima mossa politica è stata una bomba: una lettera al commissario all'emergenza Arcuri per chiedere che, data la penuria di vaccini accentuata dall'arroganza della Pfizer, tra i criteri per distribuirli alle regioni si tenesse conto del Pil perché - si è giustificata dopo le prime critiche - una Lombardia che si vaccini prima può riattivarsi e rimettersi all'opera con vantaggio di tutto il Paese, e pazienza se qualche anziano meridionale nel frattempo si ammala perché non riceve la dose che gli arriverebbe con una distribuzione democraticamente proporzionale. Il ministro della Salute Speranza non ha potuto che replicarle questo concetto: si curano tutti, e non in base alla ricchezza e all'«importanza» del territorio.
Ora, il passo falso di Moratti colpisce perché avviene subito dopo il suo ripescaggio deciso da Matteo Salvini per sostituire un gaffeur seriale come Giulio Gallera (e, secondo molti, per commissariare di fatto il presidente Fontana). Un ritorno a sorpresa, esattamente dieci anni dopo un’altra gaffe colossale, che aveva dato il colpo di grazia alla sua carriera di sindaca. Era il 2011 e Moratti era clamorosamente dietro Giuliano Pisapia dopo il primo turno. Per recuperare, in un duello televisivo su Sky, Moratti accusò il rivale di essere stato condannato per una vecchia storia di vicinanza ad ambienti dell'estremismo di sinistra, storia per la quale invece Pisapia era stato pienamente assolto in secondo grado. E l'accusa arrivò nei 25 secondi finali del dibattito, in modo che l’accusato non potesse replicare. Nonostante l'unanime condanna, per Moratti risultò complicato anche scusarsi. Pochi giorni dopo perse al ballottaggio.
Poi c'è il merito della questione vaccini. Stefano Colombo scrive su The Submarine che «la regione ha ampiamente dimostrato la propria inefficienza con la partenza lentissima nella somministrazione, figurando per diversi giorni come ultima di tutta Italia - e non per dosi utilizzate in percentuale alla popolazione: per dosi somministrate in tutto - con le ridicole scuse di Gallera sulle ferie dei medici, che alla fine gli sono costate la poltrona. La Lombardia ha poi faticosamente recuperato un po' del terreno perduto, ma è utile notare che tra le grandi regioni che hanno ricevuto più di 100 mila dosi è ancora la penultima per percentuale di vaccinati sui cittadini, davanti solo alla Sicilia».
L'incidente morattiano si innesta dunque su tre questioni, tra loro intrecciate e tutte vitali: la qualità della classe dirigente lombarda, il modello della sanità regionale e il rapporto tra Lombardia e resto d'Italia.
Quanto alla prima, c'è da chiedersi perché Salvini, per un necessario aggiustamento ai vertici della Regione, abbia rispolverato la sindaca bocciata dai milanesi dieci anni prima e non abbia trovato di meglio. C'è un evidente, e inspiegabile, problema di ricambio e di qualità nella classe dirigente della regione più ricca e avanzata, e non riguarda solo il centrodestra. Una buona parte dell'elettorato di sinistra, per esempio, non è rimasta impressionata dalla prova di leadership di Sala durante la pandemia, e dire che svettare con concorrenti come Gallera e Fontana non era particolarmente complicato. Le gaffe del sindaco e i suoi dubbi sulla ricandidatura - decisa solo quando ogni ambizione nazionale si era chiaramente dimostrata velleitaria - hanno a lungo fatto sperare che spuntasse qualche figura più giovane e dinamica. Non c'era.
E dire che parliamo di personalità - Moratti come Sala - che qualche merito nel rilancio di Milano (quello legato all'Expo) l'hanno pure avuto. Ma da vent'anni né a destra né a manca spunta una o un dirigente che ti faccia dire wow, finalmente. Com'è possibile, in una realtà così vivace e aperta al mondo? Parlarne sarebbe un esercizio fecondo.
Poi c'è la questione del modello sanitario lombardo, difeso da una parte per l'eccellenza che garantisce e criticato dall'altra per gli eccessi di privatizzazione e l'annichilimento dei medici di base. «La sanità in Lombardia resta un affare di Silvio Berlusconi e dei suoi amici», ha scritto Gianfrancesco Turano sull’Espresso, e la nomina di Moratti, afferma, serve a garantire questo sistema. Vero o non vero - ma certi intrecci non sono troppo confutabili - quel che conta è che si possa finalmente ri-discutere quel modello per verificare se vada ri-visto.
Infine, la Lombardia e l’Italia. Le parole più accorate in questi mesi le ha scritte e dette Ferruccio de Bortoli, per esempio in questa intervista: nel denunciare «l'inaccettabile spirito anti lombardo» che vedeva diffondersi nell'Italia impestata dalla pandemia, il nostro ex direttore si è chiesto con coraggio «perché siamo diventati antipatici» e si è risposto così: «Credo che, a volte, siamo stati troppo orgogliosi dei nostri primati, esaltando le nostre virtù fino a sfiorare l'arroganza. Forse, abbiamo avuto anche un atteggiamento semi-colonialista, proiettando un'immagine di noi stessi che chiedeva un adeguamento ai nostri numeri. Senz'altro, abbiamo sbagliato qualcosa anche noi».
«Adeguamento ai nostri numeri», esattamente la freddezza calcolatrice così scoperta da risultare perfino candida nelle parole sventurate di Letizia Moratti. L'importante, comunque, è sempre distinguere: criticare la Regione Lombardia - le sue scelte politiche e la sua leadership - non vuol dire non amare la regione Lombardia con la «r» minuscola, la terra e non l'ente, che è stata l’America in patria per milioni di italiani altrimenti condannati a emigrare all'estero o a soffocare. E lo stesso vale per Milano, in parte anche grazie ai suoi sindaci, in parte nonostante loro.
martedì 19 gennaio 2021
lunedì 18 gennaio 2021
domenica 17 gennaio 2021
sabato 16 gennaio 2021
venerdì 15 gennaio 2021
giovedì 14 gennaio 2021
Il salario minimo nella proposta di Direttiva europea: un’opportunità e una sfida all’epoca del COVID - Menabò di Etica ed Economia
Il salario minimo nella proposta di Direttiva europea: un’opportunità e una sfida all’epoca del COVID - Menabò di Etica ed Economia: Alessandra Cataldi, Mattia De Crescenzo e Germana Di Domenico illustrano gli aspetti principali della proposta di Direttiva per la definizione di un quadro comune europeo sul salario minimo sottolineando che la proposta non contiene misure che hanno un'incidenza diretta sul livello delle retribuzioni, ma mira a stimolare la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, soprattutto laddove essa non raggiunga almeno il 70% dei lavoratori, favorendo, in tal modo, condizioni lavorative e di vita dignitose.
Luxembourg Has Had Enough of Pompeo and Trump - The Atlantic
Luxembourg Has Had Enough of Pompeo and Trump - The Atlantic: The foreign minister of tiny Luxembourg called the president a “pyromaniac,” and the criticism was too much for Mike Pompeo.
Franco Astengo: Crisi di governo
CRISI DI GOVERNO di Franco Astengo
Le ragioni che hanno provocato la crisi di governo si comprenderebbero al meglio se si uscisse dal chiacchiericcio politicista dell’autoconservazione e si ponessero di fronte all’opinione pubblica i temi di fondo che dovrebbero essere affrontati, giudicando l’azione dell’attuale esecutivo del tutto insufficiente e soprattutto minata alla base dal fatto dell’essere sorto, estate 2019, da una clamorosa operazione trasformistica:
1) Appare del tutto incerta se non inesistente la collocazione internazionale dell’Italia nel momento in cui si stanno verificando due avvenimenti di vero e proprio mutamento di scacchiere: l’insediamento del governo democratico negli USA e la Brexit. Due fatti che, ad occhio e croce, paiono preludere a un tentativo di ripresa del cosiddetto “ciclo atlantico” in un quadro internazionale assolutamente diverso e molto più complesso sia rispetto alla fase storica del “bipolarismo”, sia a quella della “fine della storia” e degli USA “poliziotto del mondo, esportatori di democrazia” e ancora della fase della “globalizzazione” più o meno selvaggia cui tutti – alla fine – si sono adeguati;
2) La collocazione internazionale dell’Italia non potrà fare a meno di far parte di un posizionamento europeo e, ancor più specificatamente mediterraneo laddove potenze come Turchia, Russia, Egitto (tre Paesi a guida autocratica) stanno spostando le loro sfere di influenza cercando di accrescerle (Libia, Siria, ecc.) anche in contrasto tra di loro e con un sistema “mobile” di alleanze;
3) Sul piano interno è totalmente assente un’analisi della nuova qualità delle contraddizioni anche dal punto di vista delle divisioni “storiche” del Paese sul piano economico , della struttura sociale, delle fratture geografiche;
4) E’ urgente rovesciare l’impostazione basata sui principi assistenzialistici cari al partito di maggioranza relativa. I temi della struttura industriale, delle infrastrutture, della modernizzazione delle vie di comunicazione, dell’ambiente, debbono far parte di un grande progetto non semplicemente destinato alla modernizzazione capitalistica o all’egoismo localistico, ma impostato sul terreno della programmazione e dell’intervento pubblico in economia. Riassunto all’osso deve emergere il quadro di un’idea di Stato nell’economia e nella società . Un'idea, una visione da da presentare nell’occasione del Recovery Plan, in luogo – come sta avvenendo – dell’assemblaggio di vecchie carte uscite dai cassetti. I progetti di trenta – quarant’anni fa (l’Albenga – Predosa per restare in Liguria) non sono più adeguati alla realtà di oggi. Inutile ricordare, anzi quasi pleonastico perché apparirebbe semplicemente un allinearsi alla moda, come la questione della sanità debba far parte integrante e non marginale di questo rovesciamento di impostazione. Questione della sanità da affrontare su due piani: quello del rapporto pubblico/privato e quello della relazione centro/periferia;
5) Esiste, infine, la necessità di rivedere profondamente il quadro di relazione istituzioni/rappresentanza sociale e politica. Personalizzazione, uso spregiudicato della comunicazione di massa, riduzione dell’agire politico alla governabilità. Distruzione del sistema dei partiti, accentramento nell’esecutivo delle funzioni legislative, accantonamento dei corpi intermedi: si tratta soltanto di alcuni degli argomenti che dovrebbero comporre una riflessione collettiva che, a sinistra, dovrebbe anche far parte di un ragionamento molto più ampio. Ragionamento da sviluppare al riguardo dell’assenza di una soggettività organizzata rappresentativa delle istanze concrete nell’attualità e della storia del movimento dei lavoratori, delle forze di progresso, di un effettivo radicamento sociale misurato ben oltre i social network . La profondità di radicamento sociale, la capacità di esercitare una funzione di pedagogia di massa dovrebbero rappresentare la base per costruire una nuova soggettività organizzata della sinistra, sulla base del quale cercare di realizzare una crescita collettiva prima di tutto posta sul piano etico e morale.
mercoledì 13 gennaio 2021
martedì 12 gennaio 2021
Bankitalia: "La patrimoniale permette di redistribuire e incentiva impieghi produttivi della ricchezza. Fuga dei capitali? Rischi attenuati" - Il Fatto Quotidiano
lunedì 11 gennaio 2021
sabato 9 gennaio 2021
venerdì 8 gennaio 2021
giovedì 7 gennaio 2021
In difesa di Can Dündar, condannato in Turchia a 27 anni di prigione: svelò i traffici di armi dall’intelligence di Ankara ai jihadisti | Global Project
Franco Astengo: Frutti avvelenati
FRUTTI AVVELENATI di Franco Astengo
L’invasione del Parlamento americano da parte di una torma di facinorosi inneggianti a Trump e alla “vittoria tradita” (strana similitudine con la “vittoria mutilata”) non può essere ridotta a episodio numericamente trascurabile oppure a un rigurgito dell’America profonda o a un’altra qualunque espressione di jacquerie.
Tralasciamo anche la retorica dell’assalto al cuore della democrazia occidentale, al simbolo del sistema, ecc,ecc.
In realtà il sistema è da tempo in profonda crisi, cede il passo e quasi si arrende ai frutti avvelenati di una concezione della politica che non è semplicemente sovranista e/o populista ma rappresenta una interpretazione dei bisogni di massa e una diversa capacità di espressione attraverso il racconto raccolto dai nuovi strumenti tecnologici.
Soprattutto però la crisi deriva dall’isolamento sociale e dall’estendersi e dall’acuirsi delle contraddizioni, al riguardo delle quali la forma della democrazia “liberale” e i soggetti che la animano non riescono più a fornire una plausibile interpretazione.
I tumulti simil-golpisti verificatisi all’interno di Capitol Hill non possono che essere catalogati attraverso categorie sulle quali ci è già capitato di esercitarci e che troviamo oggi occasione di ribadire e al riguardo delle quali appare proprio come insufficiente la riflessione della sinistra a livello internazionale.
Una sinistra ormai ridotta quasi a una mera appendice “politicista” della governabilità comunque.
Siamo di fronte a:
1). Il procedere di un ulteriore processo di disfacimento sociale verso il quale l’idea della sintesi politica (una volta appartenuta alle grandi formazioni partitiche) appare inefficace;
2). L’emergenza del prevalere di una visione politica facile da semplificare nella narrazione, con l’utilizzo di una sorta di “manicheismo”: a di là o di qua, senza sfumature, proprio perché sembra impossibile rintracciare un’appartenenza definita. Si verifica così il passaggio dalla “democrazia del pubblico” (Manin) alla “democrazia recitativa”. Nella “democrazia recitativa” è facile prevedere una fase di egemonia appannaggio della destra;
3). Non è più questione di disaffezione dalle pratiche della democrazia ma di transito di interi settori sociali da una parte all’altra degli schieramenti e di una forte mobilità tra questi: per sfuggire all’incalzare dello sfruttamento, al predominio della tecnologia (cui è attribuita anche la responsabilità dell’emergenza sanitaria), considerando la “paura” quale vera e propria categoria politica, grandi masse si sono rifugiate nella certezza di una identità da difendere, la “propria” appartenenza di “focolare”.
L’azione politica viene così considerata soltanto in chiave difensiva (al limite quasi di difesa antropologica) avendo smarrito il senso dell’appartenenza a una condizione sociale. In questo modo masse di sfruttati e marginalizzati (o neo-marginalizzati) votano a destra perché credono sia loro garantita una riconoscibilità “di gregge”.
La politica appare così lontana dal quotidiano e ridotta a mera espressione di una visione intellettuale capace soltanto di mediare quasi in esclusiva la funzione del potere. Una politica che fa fatica a riconoscere il forte stridio della nuova qualità delle contraddizioni e finisce con l’assumere posizioni “mediane” ormai fuori dal tempo e frutto soltanto di una concezione arcaica dell’autonomia del politico.
Siamo di fronte a fatti che stanno mutando il quadro complessivo: al di là dell’Atlantico la difficoltà nell’insediamento di Biden sarà da verificare nei suoi effetti al riguardo della politica che potrà essere concretamente sviluppata dal nuovo Presidente che dovrà agire in un paese spaccato (Bremner oggi aggiunge anche “sotto ricatto di nuove insurrezioni”), e al di qua dell’Oceano ci sarà da analizzare l’esito della Brexit nel quadro di un tentativo di ritorno all’atlantismo.
Il tutto nel contesto dell’incertezza globale derivante dall’emergenza sanitaria.
La vigilia sembra proprio essere quella di uno “spostamento d’asse”.
mercoledì 6 gennaio 2021
martedì 5 gennaio 2021
Le sirene della Teoria monetaria moderna - Lavoce.info
Le sirene della Teoria monetaria moderna - Lavoce.info: L'illusione che il deficit possa aumentare senza altri vincoli se non la crescita dell'inflazione è tanto affascinante quanto irrealistica. Nella pratica la Teoria monetaria moderna è incompatibile con i principi di base della macroeconomia.
lunedì 4 gennaio 2021
Marzia Maccaferri: Starmer prova a far dimenticare la Brexit e cancellare Corbyn
Starmer prova a far dimenticare la Brexit e cancellare Corbyn
Domani
Marzia Maccaferri
4 gennaio
Lo stile del nuovo capo inglese del Labour è diametralmente opposto da quello del suo predecessore: toni pacati e non paternalisti, sempre ultra-preparato nel presentare dati e argomenti a sostegno dei suoi interventi. Non alza mai la voce, elegantissimo e non si spettina nemmeno quando va in bicicletta. Decisamente l’opposto
•Eletto il 4 aprile alla guida del Labour dopo una lunga e noiosa campagna elettorale mutilata dall’arrivo del Covid-19, Starmer ha ereditato un partito al suo minimo storico in termini elettorali ma con un numero di iscritti imponente invidiato da chiunque in Europa.
•Da un lato sottolinea l’appetito per una normalità, presunta o non, non importa, che l’elettorato laburista covava da tempo; dall’altro ci deve mettere in allerta.
•Un contegno che funziona molto bene anche nei confronti in parlamento con Boris Johnson il cui stile clownesco e fintamente ironico risulta ancor più dilettantesco e urticante.
A chiusura di questo anno da dimenticare, se c’è una persona in Regno Unito che più di tutti vorrebbe guardare avanti e archiviare la Brexit ora che è definitivamente incorniciata nell’accordo con l’Unione europea è certamente lui, il leader del partito laburista Keir Starmer. Eletto il 4 aprile alla guida del Labour dopo una lunga e noiosa campagna elettorale mutilata dall’arrivo del Covid-19, Starmer ha ereditato un partito al suo minimo storico in termini elettorali ma con un numero di iscritti imponente invidiato da chiunque in Europa; un partito ferocemente diviso al suo interno al cui sonnambulismo dovuto alla Brexit mai affrontata, si sono aggiunte le denunce, e la strumentalizzazione che ne è seguita, di antisemitismo. Insomma, non esattamente una posizione facile.
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I PRIMI OTTO MESI
I primi otto mesi di Starmer, conclusisi idealmente mercoledì con il voto a sostegno dell’accordo con l’Ue non sono andati tutto sommato male. Accolto con grande favore dall’opinione pubblica lo scorso aprile, quando a settembre è salito sul palco virtuale del congresso laburista Starmer già aveva notevolmente migliorato la posizione del partito in termini di sondaggi e di fiducia nella leadership, riaccendendo la concreta speranza di riuscire a recuperare quella base tradizionale laburista nel nord – il red wall – che sembrava irrimediabilmente persa nella débâcle corbynista alle elezioni dell’anno scorso.
Un po’ giocare facile questo, vero, visto che Corbyn era riuscito a toccare il livello più basso di fiducia mai registrato da quando Ipsos Mori, nel 1977, ha iniziato a produrre questo tipo di statistiche. Ma la velocità con cui Starmer nonostante il congelamento del dibattito politico dovuto alla pandemia è riuscito a colmare il gap non deve essere sottovalutata.
Da un lato sottolinea l’appetito per una normalità, presunta o non, non importa, che l’elettorato laburista covava da tempo; dall’altro ci deve mettere in allerta, nel caso ce ne fosse ancora bisogno in questo anno che ha visto evaporare i vari populismi virtuali à la Salvini, nel non dare troppo affidamento alle nostre “bolle” mediatiche. La politica democratica è scontro, opinioni, passioni e percezioni, ma soprattutto si sviluppa in istituzioni, si alimenta di rappresentatività, ha bisogno di riflessione e di prassi democratiche.
Il mondo con cui Starmer si confronta oggi è molto diverso da quello che ha polverizzato il progetto (un po’ naïve) corbynista; e lo stesso populismo di Johnson e del più becero brexitismo di cui da un certo punto di vista il corbynismo ne ha rappresentato l’altra faccia, opposta ma uguale in termini di concezione della democrazia come appello diretto, sono ormai una fase chiusa.
Certo le conseguenze si vedranno nei prossimi anni; ma in termini politici quella è un’altra epoca. Starmer ha puntato tutto su questa ipotesi. Se sia adatto a traghettare la sinistra inglese verso questa presunta nuova era e riuscire a diventare l’unico altro leader laburista ad essere eletto anche primo ministro da cinquant’anni a questa parte, forse lo si può capire andando a ripercorrere i suoi primi otto mesi. L’unico altro che è riuscito nell’impresa è stato Tony Blair. Quanto ciò sia di buon auspicio è un altro discorso.
DIMENTICARE CORBYN
Non c’è dubbio che il suo primo obiettivo è stato quello di far “dimenticare Corbyn”. Già dal breve primo discorso da leader Starmer si è presentato come l’anti-Corbyn in termini di stile e linguaggio: toni pacati e non paternalisti, sempre ultra-preparato nel presentare dati e argomenti a sostegno dei suoi interventi ai Comuni; una sorta di tecnocrate, ma in positivo che affronta i banchi dell’opposizione con lo stesso approccio di quando andava in tribunale a difendere il sindacato contro Murdoch. Non alza mai la voce, elegantissimo e non si spettina nemmeno quando va in bicicletta. Decisamente l’opposto.
L’obiettivo è stato completamente centrato in termini di percezione pubblica. Un contegno che funziona molto bene anche nei confronti in parlamento con Boris Johnson il cui stile clownesco e fintamente ironico risulta ancor più dilettantesco e urticante.
Ma “dimenticare Corbyn” significa soprattutto recuperare la fiducia dell’elettorato e dell’opinione pubblica nei confronti del Labour, significa riportare il partito ad essere considerato anche di “governo” e non solo di “lotta”. Una contraddizione endemica del Labour fin dai tempi di Ramsay MacDonald e che Clement Attllee conosceva bene; una tensione che Tony Benn e con lui il suo giovane collaboratore Corbyn non sono riusciti a risolvere. Che poi, va ricordato, la lotta che le varie frange più o meno vicine al progetto corbynista concepivano è stata soprattutto una protesta da tastiera e da iPad. Ma tant’è.
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Anche in questo caso Starmer sembra aver centrato l’obiettivo in termini di sondaggi e di retorica e narrazione pubblica – il suo discorso al congresso di settembre, ad esempio – ma soprattutto per quanto riguarda il riallineamento interno al partito. Dopo l’elezione di tre candidati “corbyn-scettici” alle suppletive di aprile, Starmer ha rinnovato il Nec, l’organo di governo del partito, a suo favore.
Normale prassi per ogni cambio di leadership, ovvio. In aggiunta, però, si è buttato in una lotta senza quartiere contro qualsiasi cenno di antisemitismo facendo pure vittime eccellenti: Rebecca Long-Baily, stretta collaboratrice di Corbyn, e l’ex leader stesso sono stati destituita dal governo ombra la prima, e sospeso dal partito per un breve momento il secondo.
Certamente questo è stato il punto più basso della guerra civile interna e avrà strascichi di lungo periodo; e certamente la questione dell’antisemitismo nel partito e in generale nella cultura della sinistra inglese non è stata risolta qui, come purtroppo mostra l’ingenuità al limite della complicità con cui Corbyn ha replicato.
Ma a rileggere a distanza i toni apocalittici usati in quei giorni non si può che confermare l’ipotesi che quell’epoca politica – non l’antisemitismo ahimè – è chiusa e archiviata. Come si riorganizzerà la sinistra radicale è ancora troppo presto per dirlo; Corbyn ha presentato il suo progetto personale e forse i primi segnali si sono visti nel nuovo fronte di deputati laburisti che contraddicendo la linea del partito hanno votato contro l’accordo con l’Ue. Fra questi, in un incredibile cortocircuito anche Corbyn e Diane Abbott hanno votato in linea coi liberdemocratici – una sorta di bestemmia a ripensarla con un paio di occhiali diversi – rischiando di essere considerati quasi europeisti.
DIVERSAMENTE SOCIALISTA
Diversa l’analisi in termini di proposte politiche. Qui Sir Keir non sembra voler “dimenticare”. Contrariamente a quanto vanno urlavano i suoi più accaniti oppositori che con Starmer il partito è tornato alle posizioni del blairismo più smagliante – una lettura accolta paradossalmente con favore da alcuni in Italia, ma questo è un altro discorso – per il momento invece il leader laburista non ha ribaltato il programma, mantenendo sostanzialmente i principi neo-keynesiani e anti-austerity del manifesto 2019.
Anzi, da un certo punto di vista ne ha rafforzato anche l’approccio con la proposta di una tassa sulla ricchezza e ha sistemato il piano economico ancorando le proposte a un dato di realtà, non solo limitandosi a congelare la "lista della spesa” per le nuove nazionalizzazioni ma fornendo una dettagliata piattaforma economico-finanziaria. Starmer è stato eletto in parlamento per la prima volta nel 2015 e di fatto tutta la sua carriera parlamentare si è svolta nel Labour di Corbyn. Considerarlo quindi un revisionista è semplicemente miope.
Come ha detto lui stesso in tempi non sospetti: «Non credo che la gente mi consideri un corbynista, ma sono di certo un socialista». È curioso, infatti, come la battaglia con l’opposizione interna si stia tutta svolgendo nel quadro della percezione e dei proclami sui social media e non sul progetto di società che si intende presentare agli elettori. Uno stile quello degli ex corbynisti, insomma, molto simile al populismo conservatore da club del cricket e che ci dice di quanto debba ancora sgobbare Starmer per tenere insieme il partito.
«UN POLIZIOTTO IN UN COMPLETO COSTOSO»
Se dunque non ha avuto problemi a sbarazzarsi velocemente dell’opposizione alla prima occasione che gli si è presentata – legittimamente sia chiaro – non può certo avere lo stesso tipo di atteggiamento con militanti ed elettori, soprattutto giovani, che hanno guardato con speranza alla svolta progressista che il progetto Corbyn ha rappresentato.
Nel caso di questa sfida Starmer ha qualche problema. La strategia che ha finora perseguito per costruire una coalizione politica e culturale capace di tenere insieme proposte progressiste "radicali” – redistribuzione della ricchezza, protezione dei diritti e dell’ambiente – con il tradizionale prisma laburista della tutela dei lavoratori, così come il suo stile di leadership sono stati “virtualmente” vincenti e sicuramente avranno effetto anche nel lungo periodo. Ha persino smesso di accusare la stampa per le sconfitte elettorali, che era il tratto veramente patetico della leadership precedente.
Ma per trasformare questo in una vera alternativa di governo, oltre alla presenza proattiva in parlamento, che è stata finora la piattaforma privilegiata, e alla riorganizzazione nel partito, Starmer avrà bisogno anche di “movimento”, della partecipazione e della presenza nelle comunità e nella società civile. Quello che una volta si chiamava il popolo della sinistra insomma. Starmer avrà bisogno di sinistra. In tutte le sue dimensioni. Non solo di opposizione in parlamento.
Da questa prospettiva la performance, come si è detto, lascia ancora a desiderare. Se il suo record personale e professionale non può certo essere messo in discussione, tuttavia la cautela mostrata nei confronti del movimento Black Lives Matter, per fare un solo esempio, che ha spinto Blm-England a descriverlo come «un poliziotto in un completo costoso» deve indurre a qualche riflessione. Si potrà ritenere che la strana situazione di fare politica al tempo del Covid in cui si è ritrovato sia una possibile spiegazione a questo bizzarro distanziamento sociale; va anche aggiunto che la tradizione laburista della partecipazione movimentista non è storicamente delle più feconde. Ma ha ragione Paul Mason sul New Statesmen quando ci ricorda che senza la capacità di intercettare e dare voce alle variazioni nella società il Labour di Starmer non andrà oltre allo spettacolo, seppur piacevole, di “grigliare” il primo ministro in parlamento ogni mercoledì, restando tuttavia sempre dal lato dell’opposizione. Senza dubbio lo sta facendo meglio del suo predecessore; ma la situazione non cambia.
In questo fascicolo va aggiunta anche la questione Brexit. Benché risulti chiaro da un punto di vista strategico e anche di principio il motivo per cui Starmer ha imposto al partito di votare a favore dell’accordo – il non votarlo avrebbe significato essere ipoteticamente pronti a portare il paese fuori dell’Ue senza accordo, evidenziando così l’ipocrisia di una posizione di principio possibile soltanto perché i numeri della maggioranza conservatrice la permettono – tuttavia, storicamente rimarrà agli archivi il fatto che anche in questa occasione come per tutte le precedenti riguardanti l’Europa il Labour ha votato mettendosi dal lato sbagliato della storia. La Brexit e la questione europea non si chiudono qui, né per Starmer e il suo partito, tantomeno per il Regno Unito.
UN MODELLO PER LA SINISTRA EUROPEA?
Per un paese esterofilo come l’Italia che guarda sempre oltreconfine alla ricerca di modelli a cui ispirarsi ci si potrebbe chiedere se Starmer sarà quello nuovo. L’ultimo europeo in ordine di tempo è stato Pedro Sánchez, ma ora la scena è occupata da Biden. Varrebbe forse la pena domandarsi perché la sinistra italiana eccelle in questa pratica collettiva, ma non è questa la sede.
Guardando ai suoi primi otto mesi sembra difficile però immaginare Starmer in quel ruolo: il paese si è ritirato su se stesso, già prima dell’ufficializzazione della Brexit e il Labour a partire dalla recessione del 2008 non è stato molto diverso. Starmer non ha scelta: deve rincorrere un governo raffazzonato che però con la gestione della pandemia ha rubato al Labour l’immagine del partito difensore del welfare, non importa se si tratta solo di percezione. Non ha lo stile del tribuno e sembra piuttosto il classico esempio di understatement inglese. Insomma, non va per caciara italiana. Magari varrebbe la pena guardare alle sue proposte politiche, ma questa è una pratica che la sinistra italiana ha smesso di fare da tempo.
Franco Astengo: La fragilità del sistema
LA FRAGILITA' DEL SISTEMA di Franco Astengo
La possibile crisi di governo sta mettendo in evidenza una complessiva fragilità del sistema politico, fenomeno del resto ben rilevato in un intervento di Carlo Galli pubblicato da "Repubblica" domenica 3 gennaio.
A completamento di quell'analisi è bene però cercare di riassumere lo stato di cose in atto attraverso una ricostruzione (sia pure sommaria) delle tappe più recenti nel corso delle quali si è evidenziata questa condizione di difficoltà.
Ricapitolando in pillole:
1) L’attuale governo nasce sulla base di una operazione esclusivamente trasformista, avvenuta con il passaggio da un’alleanza tra un partito di estrema destra seminante nel Paese odio razzistico stipulata e un partito o Movimento rappresentativo dell'antipolitica e ancora di maggioranza relativa in Parlamento, a un’alleanza da parte dello stesso partito o MoVimento con soggetti auto dichiaratisi di centro – sinistra, fra i quali una forza (Le U) parzialmente frutto di una scissione avvenuta formalmente “a sinistra” del PD. Scissione nella quale erano confluiti una parte dei maggiori dirigenti provenienti dalle varie sigle succedutesi alla liquidazione del PCI (PDS, DS). Obiettivo dell’operazione trasformistica attraverso la quale si è formato il governo attualmente in carica: fermare l’estrema destra revanscista il cui leader, al momento dei fatti (estate 2019), stava chiedendo i pieni poteri comiziando da varie spiagge. Pieni poteri che sarebbero serviti soprattutto a chiudere i porti a navi sulle quali erano imbarcati i protagonisti di una assolutamente ipotetica invasione di migranti. Invasione inventata esclusivamente a uso propaganda. L’operazione di fermare questa destra pericolosa è riuscita ma a quale prezzo? Tornando alla ferragostana formazione del governo deve essere ricordato come preliminare da parte del partner di governo direttamente proveniente dall’alleanza con la destra sia stata la richiesta al partner presuntivamente di centro – sinistra di ridurre la rappresentatività politica e il ruolo del Parlamento attraverso una riduzione “lineare” nel numero dei componenti le Assemblee legislative, come confermato poi dal referendum del settembre scorso. Un'operazione di limitazione dei diritti costituzionali sulla quale è ancora necessario porre l'attenzione di tutti;
2) Elemento centrale di questa operazione trasformistica è stata la perfetta continuità nella figura del Presidente del Consiglio. Lo stesso personaggio (mai eletto in alcuna assemblea legislativa) che aveva ricoperto lo stesso ruolo nell’alleanza imperniata sull’estrema destra ha svolto identico compito nell'alleanza tra l'antipolitica (nel frattempo trasformatasi in una perfetta macchina da politique d'abord) e il presunto centrosinistra. Su questo punto Galli nel suo articolo fa osservare che questa capacità "trasversale" ( fatta rilevare anche da Diamanti in un altro intervento pubblicato il 4 gennaio) rappresenta un dato di forza del Presidente del Consiglio e di debolezza da parte dei partiti di coalizione. Da aggiungere che lo stesso Presidente del Consiglio si sta accingendo, nel caso (in questo momento remoto) di elezioni anticipate a capeggiare una sua lista(che i bookmaker danno tra il 10 e il 15%) o a impadronirsi della leadership dell' partito ex-vessillifero dell'antipolitica. Partito che, sulla carta, rischia di uscire fortemente ridimensionato da una eventuale competizione elettorale da svolgersi in tempi brevi e che cercherà comunque di aggrapparsi a questa leadership resa mediatica dall'emergenza sanitaria (quindi sicuramente transeunte perché collegata a un occasionale voto d'opinione);
3) Il governo, nel frattempo, si è trovato di fronte ad una emergenza straordinaria e inedita affrontata con una forte dose di contraddittorietà (oggettivamente non evitabile) nel corso delle quale è avvenuto quello spostamento di concentrazione di potere verso il presidente del consiglio ben segnalato proprio nell'articolo di Galli. Concentrazione di potere che si è cercato di trasferire ben oltre i confini dell'emergenza per investire settori molto delicati dell'attività di governo come quelli riguardanti i servizi e la sicurezza;
4) Nel frattempo si segnalano periodiche diaspore dai gruppi parlamentari del MoVimento ancora di maggioranza relativa : i protagonisti di queste diaspore si orientano indifferentemente di volta in volta a destra come a sinistra oppure indefinitamente verso il gruppo Misto. Si è così aperto un ampio terreno di caccia per i più vieti opportunismi. Un segnale di grande debolezza per quella che dovrebbe essere ( e non è) una nuova classe dirigente;
5) Nel frattempo si nuovamente verificata una scissione nel PD. Questa volta la scissione è stata orientata verso destra. Quella attuata, infatti, dall’ex-segretario ed ex-presidente del Consiglio ha portato via soltanto una parte dell’ex-”giglio magico” che ha retto partito e governo nel biennio 2014 – 2016, fino all’esito negativo di un disgraziato referendum causato dal tentativo di conferma di una legge che intendeva stravolgere la Costituzione Repubblicana;
6) Il nuovo gruppo ha votato la fiducia al governo ma subito dopo, per ragioni anche ma non soltanto di protagonismo soggettivo, ha assunto vesti di vero e proprio “guastatore” mettendo in discussione l’intero impianto su cui si dovrebbe reggere l’alleanza di governo e adesso sta assumendo la funzione di vero e proprio "giustiziere" almeno del governo, se non della legislatura;
7) Intanto una serie di elezioni regionali hanno segnato complessivamente un risultato negativo per la nuova alleanza di governo. L'unico esperimento di presentazione in una alleanza organica è stato occasione, in Liguria, di una sconfitta molto netta.
8) La tensione tra il gruppo dell’ex “Giglio Magico” e il governo è salita attorno a provvedimenti – simbolo proprio della fase di emergenza che stiamo attraversando, in particolare per quel che riguarda la progettualità di utilizzo dei fondi europei. Non va trascurata, ovviamente, la questione riguardante la delega ai servizi ( e il tema della cyber- sicurezza). In ogni caso l'oggetto del contendere riguarda temi di grandissima complessità (come quelli relativi all'utilizzo dei fondi e dei prestiti europei) sui quali l'ex "Giglio Magico" ha sicuramente trovato sponda in diversi settori parlamentari, politici , dei settori economici e dell'opinione pubblica.
9) Nel frattempo,a indebolire la credibilità del sistema, si sono succeduti quattro sistemi elettorali: Mattarellum, Porcellum, Italicum (mai utilizzato), Rosatellum, due dei quali dichiarati incostituzionali dall’Alta Corte e tutti caratterizzati (almeno parzialmente) dalla presenza di liste bloccate. Liste bloccate corte o lunghe a seconda dei casi sulle quali, così come stilate in partenza, elettrici ed elettori non hanno mai avuto la possibilità di intervenire. Si è sempre trattato di prendere o lasciare. E molte/i nel frattempo hanno “lasciato” constata l’impossibilità di scegliere i propri rappresentanti. Così come si è tentato di ridurre drasticamente il ruolo dei corpi intermedi cercando di annullare qualsiasi possibilità di mediazione sia sul piano politico, sia su quello sociale. Conta ormai soltanto la “governabilità” a qualsiasi prezzo con l’esercizio della politica ridotto all’apparizione del potere;
10) Si sorvola, per esigenze di economia del discorso, sui dati dell’economia del Paese resi ancor più drammatici dallo stato di emergenza;
11) Si evita anche di approfondire il dato della totale inesistenza di una politica estera. Elemento ben messo in evidenza dalla totale assenza di capacità di intervento nella gravissima crisi libica. Un’assenza di politica estera che rappresenta un elemento di continuità caratteristico ormai di molti governi succedutisi negli ultimi anni;
12) Sul piano istituzionale il ruolo del Parlamento è stato sempre più svilito, al di là del tema relativo alla composizione numerica. Scarsissima la produzione legislativa (non è detto che sia un male) riduzione a ruolo di semplice ratifica, livello quasi inesistente di confronto politico;
13) Si è aperta una forte discussione sul tema dell’autonomia delle Regioni, constatando il fallimento della modifica del titolo V della Costituzione e la nocività democratica dell'elezione diretta del Presidente. Poco o nulla si discute dell’aumento del divario tra il Nord e il Sud e quasi inesistente è l’analisi circa il mutamento di funzioni dell’Ente Regione. Un mutamento progressivamente verificatosi con il passaggio da funzione legislativa a una funzione quasi esclusiva di nomina e di spesa. Un elemento apparso in grande evidenza nel corso della già più volte citata emergenza e che rappresenta un vero e proprio punto di estrema debolezza del sistema.
14) A questo punto indagini di opinione compiute da istituti particolarmente autorevoli ci dicono che esiste nel Paese una massiccia maggioranza che pensa “all’uomo solo al comando”.
In conclusione:
Così un sistema fragile, segnato profondamente dal trasformismo, finisce con l’arroccarsi su logiche di distruttiva autoconservazione.
I rischi per la democrazia italiana, a questo punto, risultano molto alti: al di là dell'esito possibile dell'annunciata crisi di governo appare proprio il caso di lanciare un vero e proprio allarme per la credibilità di un sistema profondamente malato nel quale sembrano ormai possibili rischi di scorrerie autoritarie.
sabato 2 gennaio 2021
Franco Astengo: Legge elettorale
LEGGE ELETTORALE: LA GRANDE TRASCURATA di Franco Astengo
La discussione sulla legge elettorale è stata riaperta da Alfredo Grandi in un suo davvero apprezzabile intervento pubblicato da “Domani” il 30 dicembre scorso.
Il tema, assolutamente decisivo per il funzionamento della democrazia (come quello riguardante i partiti) appare trascurato e sottovalutato: oggetto semplicemente di ragionamenti di convenienza per quella o quest’altra parte e per il mantenimento del proprio “status” soggettivo.
E’ il caso allora di insistere nel proporsi di arrivare a un’ampia discussione di merito che colleghi la questione della legge elettorale nel suo complesso a quella riguardante la rappresentanza politica.
La qualità e le forme della rappresentanza politica rappresentano, infatti, il vero punto di difficoltà che sta incontrando la democrazia “liberale” di fronte al non sopito assalto del combinato tra populismo e sovranismo.
Un punto di difficoltà non risolvibile come vorrebbero alcuni, semplicemente accentuando le caratteristiche maggioritarie e di personalizzazione raccolte attorno a un accentramento monocratico delle funzioni di potere.
Accentramento monocratico del quale abbiamo osservato le avvisaglie in questi duri mesi di emergenza sanitaria.
Il realtà il rischio e quello di essere prossimi al punto d’approdo di un lungo itinerario di distruzione del concetto di “rappresentanza politica” già percorso nell’infinita transizione italiana, almeno dal momento della trasformazione del sistema elettorale da proporzionale al misto maggioritario (75%) – proporzionale (25%).
Di seguito abbiamo avuto, è bene ricordarlo, altre tre formule elettorali delle quali due bocciate dalla Corte Costituzionale e l'altra utilizzata nelle più recenti consultazioni politiche che presenta evidenti limiti e difetti.
Limiti e difetti ancora più accentuati con l'inopinata riduzione del numero dei parlamentari suffragata, recentemente, da un contrastato esito referendario.
E' bene essere chiari su questo punto: l’obiettivo della riduzione del numero è stato quello di allineare il complesso della rappresentanza politica “abilitata” all’ingresso nelle istituzioni ponendola forzatamente all’interno di un’idea di governabilità intesa quale elemento esaustivo dell’azione politica.
Vale la pena allora cercare di recuperare, almeno sul piano teorico, il significato pieno del concetto di rappresentanza allo scopo, anche, di sviluppare un’iniziativa di riflessione politica destinata soprattutto a cercar di capire che cosa s’intende negare con questa che non può essere definita diversamente da “stretta autoritaria”.
Si pone, infatti, oggettivamente una questione tra mandato libero e mandato imperativo di cui il M5S si è già fatto interprete.
Far rientrare per intero la possibilità di accesso alle istituzioni parlamentari all’interno del concetto di “governabilità" significherebbe compiere un vero e proprio passo indietro: tornare, cioè, a una versione “privatistica” degli istituti rappresentativi che configurerebbe, alla fine, per gli eletti un mandato di tipo imperativo.
In base ad esso il rappresentante non può derogare alle istruzioni che ha ricevuto e che gli trasmettono la volontà del proprio mandante: nel caso delle “liste bloccate” e dell'indicazione del candidato presidente del consiglio, quindi, dell’uomo solo al comando assestato sull’idea del partito personale/elettorale e/o padronale.
Uomo solo al comando pervenuto in tale posizione o perché ritenuto “unto del signore” oppure attraverso plebisciti realizzati attraverso l’idea del rapporto diretto tra il Capo e la folla.
Plebisciti magari svolti esclusivamente attraverso il web, con procedure opache e sfuggenti al controllo della pubblica opinione.
Prima di tutto dobbiamo invece difendere l’idea del mandato libero, in quanto legata all’idea dell’espressione della volontà comune, che non coincide con quella dei singoli: si tratta di una necessità legata al mantenimento dell’istituto della rappresentanza politica.
Si tratta di un passaggio fondamentale anche rispetto alla stessa idea di “democrazia diretta” che, in certi ambienti si è contrabbandata come momento “salvifico” rispetto al cosiddetto strapotere della degenerazione burocratica nella gestione dei partiti.
La rappresentanza politica, infatti, deve trovare (com’è stato del resto, pur tra contraddizioni evidenti, in Italia nel periodo dei grandi partiti di massa) nel riferimento costituzionale e nell’idea giuridica della personalità dello Stato (in cui si rappresenta la “totalità del corpo politico”) il cardine dell’unità politica del popolo.
Fuori da questo non c’è popolo ma soltanto una disgregata moltitudine come vorrebbe il populismo dei "pieni poteri".
Questi elementi fin qui descritti definiscono l’orizzonte logico in cui viene necessariamente pensata la rappresentanza della modernità politica.
La rappresentanza definisce l’unica modalità che permette al popolo di agire come corpo politico e la legge elettorale rappresenta lo strumento – cardine, in democrazia, perché sia razionalmente possibile quest’azione.
L’espressione della volontà comune che non coincide con quella dei singoli che stanno alla base del mandato (è di nuovo il caso delle liste bloccate, corte o lunghe che siano) letteralmente non esiste se non prende forma mediante la rappresentanza.
La distruzione della rappresentanza, come si sta cercando di completare in Italia in questa fase, coinciderebbe con la distruzione della democrazia.
Un allarme da lanciare e su cui riflettere e agire.
venerdì 1 gennaio 2021
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