Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
venerdì 30 giugno 2017
Luciano Belli Paci: Bella, bionda e dice sempre sì
Il 22 ottobre prossimo gli elettori lombardi saranno chiamati a votare su un referendum consultivo fortemente voluto dal “governatore” Roberto Maroni e dovranno rispondere SI’ o NO sul seguente quesito:
“Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”
Basta leggerlo per capire che si tratta di un’evidente ed insulsa trovata propagandistica, della serie “vuoi bene alla mamma ?”.
Leggo che il nostro Franco D’Alfonso (a nome dell’Associazione Municipalità Metropolitane), il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, il sindaco di Milano Beppe Sala ed i sindaci PD di Brescia, Cremona, Lecco, Mantova, Sondrio e Varese hanno annunciato che voteranno sì.
Questa la motivazione dichiarata da Giorgio Gori: “Lo abbiamo detto mille volte che il referendum non serve e che costerà 46 milioni che si potevano usare in altro modo. Ma a questo punto tanto vale entrare nel merito ed evitare che la Lega ne faccia un’operazione di pura propaganda. Il tema è troppo serio”.
Ora, se la memoria non mi tradisce e se non si tratta di un’accolita di omonimi, tutti questi signori hanno sostenuto, anche con un certo zelo (Gori), il Sì pure nel referendum costituzionale del 4 dicembre scorso.
E dato che la meravigliosa Grande Riforma che in quell’occasione hanno inutilmente tentato di rifilare agli italiani comprendeva, tra l’altro, un’incisiva modifica del titolo V che “… riporta alcune competenze di fondamentale importanza in capo allo Stato, secondo le indicazioni della Corte Costituzionale, e fa un passo gigantesco eliminando la competenza concorrente, attraverso l’abrogazione formale del comma 3 dell’articolo 117, partendo dal presupposto che alcune materie, di elevata rilevanza per il Paese, meritino una disciplina omogenea ed indifferenziata, che solo una legislazione statale può permettere di conseguire” (cfr. http://www.italiaincammino.it/referendum-costituzionale-articolo-117/ ) a me, sulle prime, è venuto in mente il principio di non-contraddizione del vecchio Aristotele. Che se proprio volessimo “entrare nel merito”, come auspica Gori, sarebbe il più calzante.
Poi però mi è venuta un’associazione di idee decisamente più leggera, quella col titolo di un filmetto del 1991 “Bella, bionda... e dice sempre sì”, interpretato da Kim Basinger.
Ecco, diciamo che preferivo Kim Basinger.
Luciano Belli Paci
giovedì 29 giugno 2017
“In un mondo normale sarei una moderata socialdemocratica, qui mi tocca far la parte della bolscevica”. Intervista a Rosa Fioravante. - nuovAtlantide.org
Andrea Ermano: E il lanciere Palmiro...
Dall'ADL
E il lanciere Palmiro gli disse…
di Andrea Ermano
Ritirarsi dalla vita politica? Oramai, dopo la sequenza tattica di dimissioni, scissioni, primarie e congresso anticipato, chi è in pista dovrà ballare. Ma nessuno può farlo bene con tutto quell'acido lattico nei muscoli, dopo il lungo stress di una revisione costituzionale abrogata dal popolo e di una legge elettorale bocciata dalla Consulta.
Perciò, l'eventualità che l'uomo di Rignano ritorni a Palazzo Chigi appare remota. E persino difendere la poltrona del Nazareno sotto l'assedio di Romano, Walter e Dario non sarà impresa da poco.
La verità delle cose, però, è esemplificata da un altro episodio, un piccolo fatto avvenuto a margine della Corsa all'anello di Narni. D'Alema riferisce che, mentre assisteva alla manifestazione in costume medievale, un lanciere, uscito dalla schiera, gli si era avvicinato per comunicargli quanto segue: «Io mi chiamo Palmiro. E tu sai che significa questo. Che voi non siete più il nostro partito!». Detto ciò, Palmiro di Narni girò sui tacchi e rientrò tra le sue fila.
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E il lanciere Palmiro di Narni gli disse:
"Voi non siete più il nostro partito!"
L'ex lider Massimo, con onestà, osserva che a questo punto la rottura con il "popolo di sinistra" non può interpellare soltanto il job's act o la buona scuola o altre misure del genere, ma consiste piuttosto nel ripudio, ben più profondo, di un tradimento d'affetti, idee e solidarietà.
Ma, allora, il meno responsabile di tutti questi dirigenti pd è proprio Renzi. Sì, perché le schiere ipocrite di coloro che oggi osteggiano il Segretario sono quelle stesse schiere super-opportuniste che dieci anni fa vollero "l'amalgama non riuscito". Furono loro, e non Renzi, a spezzare la continuità politico-organizzativa del movimento operaio italiano – e ciò per le ambizioni di una sola stagione di potere, che per altro non gli venne mai. Furono loro, nel plauso dell'establishment e della sua stampa entusiasta, a dare compimento ultimo all'opera iniziata con la distruzione giudiziaria del Prima repubblica. Il Pci-Pds-Ds fu sciolto nel contenitore democrat di Veltroni, e questi negò ogni apparentamento tanto ai neo-socialisti di Enrico Boselli quanto ai neo-comunisti di Fausto Bertinotti al puro scopo di provocarne la scomparsa tramite un uso politicamente assassino del "Porcellum".
E fu così che, tolto al "popolo di sinistra" ogni punto di riferimento residuo, essi pensarono di proseguire nel consueto stile libero delle "due destre", dando per ovvia la fedeltà degli ex "ceti medi produttivi", proletarizzati. Mai avrebbero immaginato l'impennata astensionista e populista che ne è, invece, scaturita e che mette ora in oscillazione la presenza italiana in Europa, cioè gli equilibri stessi dell'UE e della geo-politica connessa.
Sicché adesso abbiamo i grandi commentatori che riscoprono la "sobrietà" di Corbyn «che ha prosciugato il populismo britannico restituendo alla plebe il diritto di sentirsi popolo». Belle parole! Ma negli anni scorsi che cosa sostenevano gli stessi apprendisti stregoni dell'opinionismo occidentale se e quando parlavano del leader laburista? C'è voluto il duplice crash suicida dei conservatori di David Cameron e Theresa May affinché costoro si svegliassero cadendo infine dal pero.
Ben tornati nella realtà. Dove ci sono, frattanto, quattro milioni e settecentomila italiani in condizioni di "povertà assoluta", esclusi dal paniere dei beni essenziali (cibo, vestiti, casa…). L'Italia detiene il non invidiabile record europeo della povertà giovanile. E insieme alla Spagna abbiamo il più elevato numero di giovani che non studiano né lavorano: milioni di ragazze e ragazzi condannati alla frustrazione.
Che fare? «Si fa un grande "Servizio Civile" nel quale, se non hai niente da fare, io ti do qualcosa da fare. E in cambio ti do un modesto salario. Modesto, d'accordo, ma intanto ti sottraggo a una condizione di marginalità ed esclusione. Ti immetto in un circuito di formazione, di riqualificazione, di socializzazione. Invece che lasciarti nelle mani della criminalità e della droga». Queste parole ha pronunciato a un'Assemblea di MDP (vai al video) Massimo D'Alema, il quale in altri tempi aveva pur rappresentato posizioni molto diverse.
Cambiare opinione sulla base di nuovi argomenti o nuove sensibilità è, certo, una vittoria del dibattito democratico di sinistra. Ma nel caso del "Servizio Civile" sussiste una vera e urgente necessità a fronte della rivoluzione tecno-scientifica «che, attraverso l'uso massiccio di intelligenza artificiale e della robotica, porterà alla cancellazione di milioni di posti di lavoro», ha aggiunto l'esponente di MDP, chiedendosi se la transizione storica in atto possa essere lasciata nelle mani di una ristretta oligarchia d'imprenditori privati: «E badate che un processo di questo tipo comporterà un'enorme concentrazione della ricchezza… Non può che essere gestito dalla mano pubblica».
Tramite la "mano pubblica" andranno introdotte drastiche riduzioni dell'orario di lavoro a parità di salario. E allora occorrerà «chiedere in cambio che una parte del "tempo di lavoro liberato" sia messo a disposizione della comunità, per assistere le persone, gli anziani… Perché una sinistra moderna deve rimettersi al lavoro per riprogettare la società», ha sottolineato l'ex premier diessino.
Importante qui ci pare la connessione tra "Servizio Civile" ed emergenza sociale, non meno che il collegamento con le prospettive del "tempo liberato" dalla tecno-scienza. A ciò va aggiunto il tema della co-decisione democratica quale requisito indispensabile di un futuro servizio civile nazionale ed europeo. Perché è sulla co-decisione democratica che può incardinarsi il tema di una governabilità pubblica rispetto alle grandi trasformazioni in atto, tema decisivo: «Altrimenti ci capiterà quel che ci è già capitato con la finanziarizzazione», di cui fa cenno D'Alema a conclusione del discorso.
Tutt'è bene quel che finisce bene, dunque? Be', a parte che per la costruzione di un "Servizio Civile" degno del nome e del compito si profilano scommesse ardue e impegnative quant'altre mai, resta non-detta un'emergenza drammaticamente attuale: quella di un "Servizio Civile Migranti".
Negli ultimi giorni sono state tratte dal mare circa dodicimila persone. La disponibilità dei sindaci all'accoglienza sul territorio scema a vista d'occhio: «La conferma che l'emergenza sia oramai esplosiva è il rientro immediato in Italia del ministro dell'Interno», riferiva ieri Grazia Longo sul sito della La Stampa. Il titolare del Viminale, in volo verso Washington per incontri istituzionali, ha preferito invertire la rotta e rientrare a Roma mercoledì mattina. Subito dopo l'atterraggio ha avuto un incontro con il presidente del Consiglio sui massicci sbarchi di queste ore, sulle preoccupazioni legate al traffico di esseri umani in Libia, sulle tensioni con i sindaci (in particolare se leghisti) e sui vari rischi di disordini: «La situazione è davvero al limite, finora sono sbarcati sulle nostre coste 70 mila migranti, (…) la stima entro la fine dell'anno si aggira intorno ai 230 mila», scrive Grazia Longo: «Ma la questione principale, al di là dei numeri, è la sempre maggiore complessità nella sistemazione degli extracomunitari sul nostro territorio nazionale».
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All'esame del ministro ci sarebbero due ipotesi: tendopoli di minori dimensioni e il ricorso alle caserme. Al di là della logistica di primo impatto e degli appelli a Bruxelles, però, occorrerà introdurre una leva civile obbligatoria per le persone migranti adulte e abili al servizio, in un quadro di coordinamento statale di tutto il settore.
Occorre coinvolgere le persone migranti in un processo di apprendimento linguistico, di auto-aiuto e di progressiva integrazione nel tessuto sociale. Il processo d'integrazione, per funzionare, deve potersi esprimere in forme visibilmente utili d'impegno civile. Perciò occorre portare a interagire un "Servizio Civile Nazionale" (ben più massiccio dell'attuale) con un "Servizio Civile Migranti", affinché I numerosi problemi possano semplificarsi ed elidersi a vicenda in una prospettiva di crescita comune, lungo la quale l'emergenza di oggi può divenire governabile. E produrre domani benefici per tutti.
Franco Astengo: Astensionismo
ASTENSIONISMO
Il dibattito in corso nell’immediato post – ballottaggi al riguardo delle elezioni comunali del giugno 2017 ha raggiunto livelli di bizantinismo degni del Concilio di Nicea.
Una volta per tutte deve essere chiarito che il livello delle diverse espressioni di “non voto” (diserzione dalle urbe, schede bianche e nulle) ha raggiunto una tale entità da rendere perfettamente inutile il ragionare se, nell’occasione del secondo turno,le elettrici e gli elettori che al primo turno avevano preferito candidati poi esclusi (in particolare elettrici ed elettori votanti i candidati presentati dal M5S) si fossero poi rivolti a candidati del centrodestra o del centrosinistra.
In realtà, toccando i voti validi la quota del 43% (dopo che al primo turno di si era arrivati al 54%) non si può che dedurre che, in ogni caso, la quota di questa scostamenti è stata minima e del tutto irrilevante sul piano dell’analisi elettorale complessiva (che poi nel tal posto o nel tal altro si sia eletto un sindaco di un colore o di un altro costituisce un fatto che, sul piano generale, del tutto secondario).
Si può quindi affermare che la gran parte dei successi ottenuti dai candidati eletti sia avvenuto “in discesa” e con percentuali complessive rispetto al totale degli aventi diritto al voto fortemente minoritarie.
Il punto più importante che deve essere però messo in evidenza in questa occasione riguarda il fatto che il “non voto” appare in costante crescita da molti anni e che nessuna forza politica ,tanto meno il M5S, ha rappresentato una sorta di “argine” al fenomeno che, invece, si è fortemente dilatato in tutti i settori sociali, generazionali, di appartenenza geografica che compongono l’universo degli aventi diritto al voto.
Nel corso degli ultimi 10 anni, per prendere come riferimento un lasso di tempo definito, l’unica occasione nella quale la percentuale dei votanti è cresciuta rispetto alle precedenti occasioni di voto è stata quella del referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016.
A proposito di questo fatto siano consentite tre considerazioni a margine:
1) Dai sostenitori del “SI”( nella loro arroganza e presunzione: fenomeni che stanno in buona misura alla base degli insuccessi del PD) è stato fortemente sottovalutato il formarsi di una vera e propria “coalizione sociale” nell’occasione del referendum sulle trivelle svoltosi pochi mesi prima senza raggiungere il quorum. In quel frangente, infatti, si consolidò (in particolare in alcune regioni del centro – sud) una sorta di fronte del “NO” trasversale e soprattutto comprendente quote rilevanti di astensionisti ormai abituali che hanno poi formato, anche in maniera inconsapevole, un vero e proprio “zoccolo duro” sulla base del cui allargamento ha poggiato, in parte consistente, l’affermazione del “NO” al 4 dicembre;
2) Al riguardo della vera e propria “fuga” di elettrici ed elettori che, negli anni passati, avevano votato per il PD e più complessivamente per l’autoproclamatosi (senza alcun titolo di contenuto, per la verità) centro sinistra, i dirigenti del PD hanno del tutto ignorato il forte calo di partecipazione alle “loro” primarie. Renzi, infatti, è stato confermato segretario con poco più di 1 milione di voti (altro che i 2 milioni rivendicati da Lotti) perdendo rispetto all’occasione precedente circa 600.000 voti.Un segnale molto importante ma non raccolto;
3) Nel corso della campagna referendario si svilupparono, sempre da parte della maggioranza renziana del PD, forti polemiche nei confronti dell’ANPI che si era schierata (con la CGIL e l’ARCI) per il “NO”. Una polemica che raggiunse toni particolarmente astiosi e fastidiosi in particolare con la faccenda, piuttosto ridicolo, dei “veri partigiani”. Sicuramente, alla fine, si potette constatare che attorno al “NO” i cosiddetti “corpi intermedi” svolsero sicuramente una funzione aggregante di una certa importanza. Ebbene, nel corso di questa campagna elettorale, a Genova (città che sempre aveva presentato determinate caratteristiche sociali e politiche, oggi ormai in gran parte smarrite) gli stessi corpi intermedi hanno preso posizione a favore del candidato appoggiato del PD (il quale soggettivamente vantava anche profonde radice nell’area di riferimento di ANPI, ARCI e CGIL). Ebbene : il risultato è stato di un rigetto quasi totale, come dimostrato dall’esito del voto dove,l’influenza di questi soggetti è sicuramente ancora rilevante. A dimostrazione che il problema, nella fattispecie genovese ma si può pensare più in generale, sia costituito proprio dall’incapacità di aggregazione dimostrata dal PD.
E’ necessario però approfondire queste affermazioni attraverso l’esposizione di alcuni dati.
Tra il 2008 ed oggi abbiamo avuto in Italia tre occasioni di elezioni generali riguardanti l’intero corpo elettorale: 2008, elezioni legislative; 2013, elezioni legislative, 2014 elezioni per i rappresentanti al Parlamento Europeo.
Elezioni nelle quali è entrato prepotentemente in corsa appunto il M5S che ha sempre rivendicato di aver corrisposto alla necessità di offrire una sponda ad elettrici ed elettori propensi al “non voto”.
Ciò non è assolutamente avvenuto.
Nel 2008, infatti, i voti validi (sul territorio nazionale) furono 36.457.254 su di un totale di iscritte/i (dato relativo soltanto all’Italia senza le circoscrizioni estero) di 47.041.814 per una percentuale del 77,49%.
Nel 2013 il dato dei voti validi (sempre riferito al territorio nazionale) è stato di 34.005.755 (quindi con una perdita di oltre 2.400.000 unità) su di 46.905.154 iscritte/i per una percentuale del 72,49% perdita secca del 5%.
Nel 2014 (Europee) il totale dei voti validi è stato di 27.371.747 (quindi 6.700.000 in meno rispetto al’anno precedente e di oltre 9.000.000 rispetto al 2008) considerando però che il rapporto è da valutare con l’intero corpo elettorale compreso l’estero (non registrato a parte in questa occasione) ammontante a 49.256.169 unità per una percentuale del 55,57%.
Dati che ridimensionano molto, per quel che riguarda il 2014, il tanto vantato 40% del PD e che annullano del tutto la funzione “deterrente” vantata dal M5S: paradossalmente, volendo forzare, si potrebbe dire che proprio la presenza del M5S come novità nel panorama politico – elettorale ha causato la fuga di qualche milione di votanti.
La situazione può essere ancora valutata meglio scendendo nel dettaglio di alcune situazioni regionali e locali di particolare significato.
Ci si accorgerà che a tutti i livelli e in tutte le situazioni quando si presentano candidati e liste i voti validi decrescono.
Alcuni esempi.
Raffronti tra le regionali 2010 e quelle 2015.
LIGURIA
2010 Iscritti 1.385.791 voti validi 813.176 pari al 58,67%.
2015 Iscritti 1.357.540 voti validi 658.171 pari al 48,48%. In fuga 155.005 voti validi pari al 10,19%. Qualcuno dovrebbe far sapere all’inventore del famoso “modello Toti” che nell’occasione della sua elezione i voti validi complessivi alla fine furono inferiori al 50%.
VENETO
2010 iscritti 3.962.272 voti validi 2.540.735 pari al 64,12%
2015 iscritti 4.018.497 voti validi 2.212.204 pari al 55,05% con un decremento del 9,07%
TOSCANA
2010 iscritti 3.009.673 voti validi 1.767.409 pari al 58,72%
2015 iscritti 2.985.690 voti validi 1.367.872 pari al 45,81% - 12,91%. Anche a Rossi, protagonista della rottura da sinistra del PD, andrebbe comunicato che la sua elezione avvenne con i voti validi al di sotto del 50%.
CAMPANIA
2010 iscritti 4.945.381 voti validi 2.924.360 pari al 59,13%
2015 iscritti 4.695.599 voti validi 2.400.782 pari al 51,12%. 8,01 in meno nell’occasione dell’elezione di De Luca.
PUGLIA
2010 iscritti 3.553.587 voti validi 2.128.974 pari al 59,91%
2015 iscritti 3.568.409 voti validi 1.684.669 pari al 47,21%. Anche per l’altro inventore di metodi Emiliano partecipazione al ribasso con un meno 12,70% corrispondente a 444.305 voti validi.
Un raffronto relativo alle elezioni comunali nelle grandi città.
MILANO
2011 iscritti 996.400 voti validi 657.379 pari al 65,97%
2016 iscritti 1.006.701 voti validi 537.584 pari al 53,40% con un calo del 12,57%: Sala non esattamente un trascinatore, come il suo competitor Parisi
TORINO
2011 iscritti 707.817 voti validi 405.474 pari al 57,28%
2016 iscritti 659.740 voti validi 382.503 pari al 54,97%. Un calo del 2,31% nonostante ci fosse da votare una candidata M5S
GENOVA
2012 iscritti 503.752 voti validi 263.849 pari al 52,37%
2011 iscritti 491.167 voti validi 228.796 pari al 46,58%. Un balzo all’indietro del 5,79% per il “metodo Toti”.
BOLOGNA
2011 iscritti 301.934 voti validi 210.185 pari al 69,61%
2016 iscritti 300.586 voti validi 174.187 pari al 57,94% un meno 11,67
FIRENZE
2009 iscritti 293.173 voti validi 206.494 pari al 70,43%
2014 iscritti 288.971 voti validi 187.710 pari al 64,99% un calo del 5,44%
ROMA
2013 iscritti 2.359.119 voti validi 1.203.335 pari al 51,00%
2016 iscritti 2.363.779 voti validi 1.147.499 pari al 48, 54. Un calo del 2,46% nell’occasione delle candidature dei big Raggi, Giachetti, Marchini
NAPOLI
2011 iscritti 812.450 voti validi 466.174 pari al 57,37%
2016 iscritti 788.291 voti validi 403.311 pari al 51,16%. Calo del 6,21% in occasione delle rielezione di un altro inventore di metodi politici come De Magistris
BARI
2009 iscritti 282.880 voti validi 204.972 pari al 72,45%
2014 iscritti 279.803 voti validi 178.949 pari al 63,95% un arretramento del 8,50%.
Nella sostanza si può ben affermare che la tendenza al calo molto sensibile della partecipazione al voto rappresenti fenomeno diffuso in tutte le situazioni e occasioni di voto salvo quella referendaria del 2016.
Grande attenzione quindi nel celebrare successi e ricercare flussi senza prima tener conto di questo fattore assolutamente determinante e al momento apparentemente incontrovertibile.
Mancano i soggetti politici capaci di produrre progettualità, aggregazione, identità: per quel che riguarda la sinistra, in questo senso, si dimostra la perfetta inutilità dei raduni del 18 giugno e del prossimo 10 luglio incentrati sul tema “alleanze sì, alleanze no” del tutto arretrato rispetto alla drammatica realtà di un sistema che sta progressivamente arretrando nel senso comune di massa e si trova di fronte a contraddizioni, antiche ed inedite, che sembrano proprio irrisolvibili se non nella direzione di costruire altri drammi collettivi e costrizioni sociali.
In ogni caso, con buona pace dell’Istituto Cattaneo il vero flusso da prendere in considerazione all’interno di questo stato di cose è “voto/non voto”.
IN ALLEGATO I DATI DEL REFERENDUM DAL PUNTO DI VISTA DELL’ESPRESSIONE DEI VOTI VALIDI (dati riferiti al territorio nazionale. Nel totale degli iscritti non sono computati gli elettori all’estero). La comparazione, oltre al dato complessivo, è nello specifico quella con Regioni e Comuni di cui sopra.
Dato nazionale: iscritti 46.720.943 voti validi 31.734.789 pari al 67,92%
LIGURIA regione: iscritti 1.241.469 voti validi 858.448 pari al 69,14%
VENETO (regione) iscritti 3.725.400 voti validi 2.835.027 pari al 76,09%
TOSCANA (regione) iscritti 2.854.129 voti validi 2.1005.777 pari al 73,78%
CAMPANIA (regione) iscritti 4.566.905 voti validi 2.667.460 pari al 58,40%
PUGLIA (regione) iscritti 3.280.712 voti validi 2.007.927 pari al 61,20%
MILANO (città) iscritti 943.104 voti validi 677.077 pari al 71,79%
TORINO (città) iscritti 652.538 voti validi 462.381 pari al 70,85%
GENOVA (città) iscritti 460.004 voti validi 316.306 pari al 68,76%
BOLOGNA (città) iscritti 285.255 voti validi 215.304 pari al 75,47
FIRENZE (città) iscritti 748.871 voti validi 577.286 pari al 77,08%
ROMA (città) iscritti 2.091.633 voti validi 1.451.522 pari al 69,39%
NAPOLI (città) iscritti 750.709 voti validi 401.664 pari al 53,50%
BARI (città) iscritti 265.853 voti validi 166.935 pari al 62,79%
mercoledì 28 giugno 2017
martedì 27 giugno 2017
lunedì 26 giugno 2017
Felice Besostri: Commento alle comunali
Ieri è stata sconfitta la sinistra, anche se la colpa principale (90%) è del PD. Se sono consegnate alla destra Genova e Sesto-San Giovanni , nell'apatia dei loro cittadini, questo fatto ha un significato più profondo della polemica spicciola che divide la sinistra su due progetti allo stato non omogenei Brancaccio e Santi Apostoli. L'accaduto non deve deprimere, ma semmai far moltiplicare gli sforzi di chi crede che una formazione della sinistra ( con qualche aggettivo) per non far coincidere sostantivo e aggettivo. Una sinistra (agg.) sinistra(sost.) non è attrattiva per le persone normali, che malgrado le temperie che attraversiamo, sono ancora la maggioranza del Paese: per quanto tempo non lo so se si accentua il fenomeno migratorio dei giovani preparati e la delusione degli over 50.
La natura ha paura del vuoto, ma non lo riempie a comando.La crisi dei Tre Poli, PD-CentroDestra- M5S è stata vista come l'opportunità di un quarto Polo civico e di sinistra, che in qualche modo capitalizzasse la vittoria referendaria e -non dimentichiamolo mai -l'annullamento del cuore dell'Italikum: un premio dato comunque con un ballottaggio a due, a prescindere dalla percentuale delle due liste anche complessivamente considerate. Qualche caso positivo di liste plurali caratterizzate anche a sinistra, non mettono in discussione il detto popolare, che una rondine non fa primavera .La crisi interna del M5S e prese di posizione su temi cari alla sinistra sensibile hanno fatto cessare ogni tentativo di analizzare il fenomeno e del perché in M5S abbiano trocvato sbocco elettori di sinistra critica. D'accordo come siamo, tranne forse Pisapia, che la prossima legge debba essere proporzionale, impone che si ragioni in termine di alleanze o convergenze programmatiche. Dire che il PD è come la destra e che i 5 Stelle sono inaffidabili e preda del razzismo, manda in contemporanea un messaggio, che in un un sistema proporzionale una lista di sinistra è fuori gioco
Felice C. Besostri
Franco Astengo: Comunali 2017
COMUNALI 2017: ANNOTAZIONI ATTORNO AI NUMERI DEI BALLOTTAGGI di Franco Astengo
Per la seconda volta nel giro di una settimana ci si trova a dover sviluppare un avvio di analisi attorno a risultati elettorali principiando dalla constatazione che il totale dei voti validi è molto lontano dalla metà degli aventi diritto al voto.
E’ accaduto nell’occasione delle legislative francesi dello scorso 18 giugno e si verifica di nuovo con l’esito dei ballottaggi delle elezioni comunali parziali svoltesi in Italia domenica scorsa, 25 giugno.
Il totale delle elettrici e degli elettori aventi diritto nei comuni capoluogo (escluso Trapani, per i noti motivi) nei quali si svolgeva il turno di ballottaggio era di 2.172.922 unità.
Il totale dei voti validi assegnati ai candidati sindaci è stato di 940.244 corrispondente al 43,27%: un 40% superato a fatica.
Inutile sottolineare ancora una volta che non si tratta di fenomeni fisiologici o legati alla stagionalità dell’evento: quando la diserzione dalle urne (ormai acclarato che si tratta, in gran parte, di una precisa scelta politica) raggiunge questi livelli è l’intero sistema ad entrare in difficoltà e va a repentaglio non tanto l’illusoria stabilità dei governi, locali o nazionali,ma la tenuta dell’intero impianto democratico.
Nel “caso italiano” sicuramente appare priva di rappresentanza una vasta area politica, quella che si era riconosciuta ed era appartenuta (secondo il concetto del voto di appartenenza prevalente su quello di opinione o su quello di scambio) alla sinistra storica di derivazione comunista e socialista.
Da notare, inoltre, come sia risultata molto alta la percentuale delle elettrici e degli elettori che nel primo turno avevano espresso il loro voto a favore di candidate/i poi esclusi dal ballottaggio che non si sono recati alle urne.
Nel corso del primo turno del 18 giugno l’insieme dei voti raccolti dai candidati che –appunto – sarebbero rimasti esclusi dal ballottaggio è stato di 418.243 voti.
Di questi soltanto 170.315 sono tornati ai candidati presenti al ballottaggio: di conseguenza 247.928 elettrici ed elettori che avevano deposto il loro voto nell’urna scegliendo candidate/i esclusi sono rimasti lontani dai seggi:una percentuale del 59,27%.
Proviamo allora ad entrare nel merito di alcuni aspetti più legati all’analisi degli schieramenti politici.
Appare evidente,prima di tutto, che c’è uno sconfitto ed è il PD con il variegato schieramento di centro – sinistra (schieramento di centrosinistra che, al primo turno, molto spesso non era sicuramente risultato al completo ( a L’Aquila, Parma, Frosinone, Genova, la Spezia – in gran numero – Como, Lodi, Monza, Asti, Lecce, Taranto, Verona, Gorizia liste di sinistra erano presenti al primo turno in forma autonoma).
In ogni caso i candidati sindaci arrivati al ballottaggio e appartenenti a schieramenti imperniati sul PD avevano ottenuto al primo turno 315.761 voti saliti a 377.075 al ballottaggio (più 61.314).
I candidati sindaci arrivati al ballottaggio con lo schieramento di centro destra avevano ottenuto al primo turno 378.658 voti saliti a 458.553 al ballottaggio ( più 79.895).
Grande interesse solleva il raffronto con le elezioni precedenti (2012 in gran parte, ma anche 2013 e 2014) negli stessi comuni nei quali allora si svolse il ballottaggio ripetuto poi nell’occasione di domenica scorsa.
In quel caso i candidati del centro sinistra ottennero 449. 794 voti ( un calo di 72.715 suffragi) e quelli del centro destra 332.710 ( un incremento di 125.843 voti).
Ancora qualche annotazione sparsa riguardante specifiche situazioni.
Tra il primo e il secondo turno il candidato del centro destra (poi eletto Sindaco) ha perduto voti: da 15.868 a 13.218 mentre il suo competitor del M5S è cresciuto molto da 5.099 a 10.859.
Effetto rovesciato a Padova: il candidato del centrosinistra (eletto) ha incrementato il proprio bottino di quasi 20.000 voti (incamerando completamente una lista civica che ne aveva ottenuto 19.000) mentre quello del centrodestra è salito di una cifra inferiore ai 6.000 voti.
L’epicentro del terremoto però per il PD non è Genova (città rossa ma di forti tradizioni democristiane, con la Curia più arretrata d’Italia quella del Cardinal Siri: la città di Taviani, che ha avuto sindaci DC di grande spessore come Pertusio, Piombino, Pedullà) ma La Spezia .
La Spezia è stata davvero la città più rossa d’Italia, con il 75% alla Repubblica e la vittoria nel 1948 al Fronte : la caduta di La Spezia, città fra l’altro d’origine della competitrice perdente alla Presidenza della Regione nel 2015, può davvero essere catalogata come appartenente alla famosa “sindrome di Castellamare”. In ogni caso debbono essere segnalati due dati: il candidato del centro destra ha doppiato quello del centro sinistra nel recupero – voti tra i due turni (oltre 7.000 a 3.600) ed inoltre vanno letti i dati delle precedenti elezioni comunali. Candidato del centro sinistra 21.448 suffragi (oggi 13.771), candidato del centro destra 6.434 (oggi20.636). Quanto abbia giocato l’orrore di Piazza Verdi tocca agli spezzini stabilirlo.
Certo che La Spezia al centro destra rappresenta un segnale molto più forte che non quello che arriva da Genova.
Da notare ancora la vittoria “in discesa” del centro destra a Rieti ottenuta per soli 100 voti di distacco perdendone tra un turno e l’altro 478.
Clamoroso il caso dell’Aquila laddove il centro sinistra ha perso oltre 4.000 voti tra il primo e il secondo turno cedendo il Comune (anche in questo caso sorpasso “in discesa” perché il centro destra nel frattempo ne aveva guadagnati meno di 2.000).
Balzo all’indietro anche a Catanzaro per il centro sinistra arretrato di oltre 4.000 voti in 15 giorni: in questo caso però il successo del candidato di centro destra era dato per inscalfibile e questo ha demotivato il corpo elettorale.
Questi dai possono apparire sufficienti per un primo giudizio politico d’insieme.
Se poi si volesse entrare nel merito delle ragioni politiche di questo stato di cose mi permetto di suggerire tre spunti di riflessione:
1) La politica del Governo. Sarebbe interessante sapere com’è andato il voto nel pomeriggio di domenica scorsa allorquando chi si è recato nei seggi aveva appreso dell’operazione salvataggio Banche Venete; ma è soltanto un esempio;
2) I tanti casi di arroganza e di malgoverno in sede locale (per informazioni rivolgersi ai risultati liguri, a partire nel 2015 da quello regionale e nel 2016 da quello di Savona).
3) La linea politica del PD al riguardo delle condizioni materiali di vita e di lavoro di chi si trova in condizione subalterna ( operai, impiegati pubblici, insegnanti), il vero e proprio tartassamento attuato nei confronti dei pensionati da molti anni considerati parco buoi. L’esaperazione delle sfruttamento e della precarietà verso il lavoro dei giovani in settori particolarmente esposti, pensiamo a chi lavora nell’hi-tech o nella logistica.
domenica 25 giugno 2017
sabato 24 giugno 2017
INTERVENTO BESOSTRI ASSEMBLEA CDC 24 GIUGNO 2017
INTERVENTO BESOSTRI ASSEMBLEA CDC 24 GIUGNO 2017
Noi siamo quelli del No. No alle deformazioni tentate da Renzi sulla Costituzione e anche all'Italicum, legge elettorale che ne è il completamento.
Noi siamo quelli del NO è il giusto incipit della Relazione di Alfiero. Non abbiamo il monopolio del risultato finale del referendum costituzionale vinto da quello che ho chiamato l’elettore ignoto. Sicuramente abbiamo però il merito di essere stati i primi ad avvertire il pericolo derivante dal perfido connubio –lasciamo l’espressione combinato disposto ai giuristi- tra la legge elettorale Italikum, che l’ha preceduta, e la revisione/deforma costituzionale RenziBoschi. Un disegno di legge costituzionale, che mai un Presidente della Repubblica, attento alle opinioni del padre costituente Calamandrei, avrebbe potuto autorizzare un Governo a presentare: quando si discute di Costituzione i banchi del Governo avrebbero dovuto restare vuoti. La Costituzione è il massimo suggello dell’unità della comunità nazionale in un sistema di valori condivisi, della sua revisione ne hanno fatto motivo di una lacerazione, che avrebbe potuto essere fatale alla nostra democrazia se non fosse stata respinta con un maggioranza, che non lascia adito a dubbi: tuttavia non siamo ancora scampati al pericolo. Se si insiste nel presentare proposte di legge elettorale incostituzionali, significa che non hanno imparato la lezione.
NON SIAMO STATI GLI UNICI MA I PRIMI
A) Nel chiedere il referendum costituzionale
B) Nel chiedere il referendum abrogativo dell’Italikum
SIAMO STATI GLI UNICI E I SOLI
A promuovere fin dal Novembre 2015 via via 22 azioni giudiziarie presso altrettanti tribunali italiani per far riaffermare dopo la sentenza n. 1/2014 di annullamento del Porcellum il diritto dei cittadini italiani di votare secondo Costituzione, diritto minacciato. Il Gruppo degli avvocati antitalikum è sorto nell’ambito del CDC, che ne ha promosso la formazione tramite il suo sito. Ho avuto l’onore di coordinare il gruppo assistito per ogni area del paese dal nord al centro, al meridione e alle isole dai colleghi avvocati Caputo di Torino, Sentimenti di Modena, Ricciardi di Perugia, Sarno di Avellino e Palumbo di Messina, che già nel febbraio del 2016 aveva ottenuto il primo, dei 5 rinvii in Corte Costituzionale, che così ha potuto annullare in tempi da record il cuore dell’Italikum, cioè l’attribuzione sempre e comunque di un premio di maggioranza in seguito ad un ballottaggio tra due liste di maggioranza relativa in altre parole di MINORANZA ASSOLUTA.
Ma il fatto più importante non è la sentenza n. 35/2017, che malgrado le timidezze e reticenze, che hanno la loro origine nel procedimento incidentale del controllo di costituzionalità mentre in Germania e in Spagna c’è il ricorso diretto alla Corte Costituzionale e quindi non basta aver ragione, ma trovare un giudice che condivida la stessa sensibilità democratica dei ricorrenti ha riconosciuto che il diritto di voto è un diritto INVIOLABILE E PERMANENTE dei cittadini e delle cittadine, che può essere tutelato prima che sia applicata la legge elettorale incostituzionale.
IL FATTO IMPORTANTE E’ LA MOBILITAZIONE DI 100 AVVOCATI che senza nessun compenso hanno fatto un’azione collettiva che non ha precedenti in Italia e in Europa. Un segno che gli anticorpi della società ai tentativi antidemocratici ed autoritari non sono monopolio solo dei Centri Sociali, ma anche delle professioni. Questi avvocati sono della più diversa formazione ideologica o politica, spesso senza alcuna esperienza in diritto elettorale, ma in quella del lavoro. Un grazie ai Giuristi Democratici, il cui presidente Pietro Adami tutti conosciamo nelle nostre associazioni, è doveroso, ma ancora di più voglio rendere omaggio a quei colleghi vergini di ogni impegno politico, che hanno avuto il loro battesimo in questa azione. Non sempre facile. In alcune situazioni, per fortuna isolate, cui sono state pesanti condanne alle spese anche 8.000 e 10.000 euro, estremo tentativo di mandare un messaggio i cittadini non devono rompere i coglioni: le leggi elettorali sono monopolio dei partiti e compito ei giudici è dui lascirli tranquilli, perché c’è carenza assoluta di giurisdizione: questa era la giurisprudenza dei Tar e del Consiglio di Stato quando l’avvocato Aldo Bozzi impugnò il decreto di convocazione delle elezioni del 2008, perché indette con una legge la n. 270/2005-conosciuta come il Porcellum, incostituzionale: fatto che fu riconosciuto dopo un’odissea giudiziaria d cui sono stato parte con gli avvocati Zecca e Tani, soltanto 6 anni dopo con la sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014 e della cassazione n. 8878 dello stesso anno.
Il gruppo è ancora attivo e pronto ad impugnare qualsiasi tentativo di manomettere la Costituzione negando la rappresentanza al popolo italiano, cui solo appartiene la sovranità.
Ma dobbiamo impedire che sia approvata un terza legge elettorale incostituzionale la seconda da parte di un Parlamento costituzionalmente illegittimo, che sarebbe stato opportuno, se non doveroso sciogliere nel 2014, constatata la manifesta incapacità di adottare una nuova legge elettorale nel giro di pochi mesi dalla pubblicazione della sentenza di annullamento del porcellum. Se ci fosse una terza legge elettorale incostituzionale significherebbe una cosa sola come avrei detto al Brancaccio lo scorso 18 giugno:
perché “se fosse approvata una terza legge elettorale incostituzionale dopo il Porcellum e l’Italikum e si votasse con una tale legge sarebbe un segno inequivocabile che la nostra democrazia è compromessa e che negli organi al vertice delle istituzioni si annidano i nemici della nostra COSTITUZIONE:
un GOVERNO, che la promuove, come ha fatto con l’Italikum magari ponendo la fiducia;
un PARLAMENTO, che l’approva e
un PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, che la promulga e
un PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, lo stesso, che sciolga le Camere e indica elezioni in modo da impedire di fatto un controllo di costituzionalità.
C’è un solo modo di uscirne nella direzione indicata dalla nostra petizione:
CON UNA LEGGE ELETTORALE PROPORZIONALE quale era sostanzialmente quella
affossata dal PD, che però era in contrasto con la Carta in almeno 3 punti principali, che si potevano superare con:
A) Voto disgiunto per collegio uninominale e lista circoscrizionale proporzionale;
B) Sblocco delle liste circoscrizionali, non necessariamente con le preferenze;
C) Soglia di accesso regionale e non nazionale per il Senato.
Fosse stata approvata senza modifiche l’unica cosa di tedesco sarebbe stato il nome:
si sarebbe chiamata SCHWEINELLUM INVECE DI PORCELLUM
Parlare dileggi elettorali rischia di essere noioso perché ci sono aspetti tecnici, ma ogni legge elettorale è innanzi tutto una scelta politica, per questo ritengo che la prossima debba essere proporzionale, non perché solo una legge proporzionale sia costituzionale: la nostra Costituzione la presuppone lo si capisce dai quorum di garanzia, che devono essere aumentati se si vuole una legge maggioritaria. Se veniva approvata la deforma costituzionale e l’Italikum non fosse stato annullato l’art. 90 Cost. quello della messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica avrebbe posto la maggioranza del Parlamento in seduta Comune nelle mani del Presidente del Consiglio, di fatto investito da un’elezione diretta con un Presidente manichino-
La prossima legge deve essere proporzionale per un’esigenza di trasparenza e di verità. Si deve sapere chi e come rappresenta il popolo italiano per le scelte che farà senza il riparo di un premio di maggioranza, magari dato ad una coalizione
L’attuazione della Costituzione è cosa diversa dalla sua difesa. Si aprirà una dialettica che scomporrà i NO e SI’. Nessuno ha il monopolio dei NO, nemmeno o tantomeno la sinistra, come Renzi non è il padrone del SI’: il PD può aspirare al 40% se la partecipazione al voto è quella per Macron al secondo turno delle legislative, meno del 20% del corpo elettorale.
Il nostro compito resta intatto, non è sostituito da surrogati politici quali che siano: è soltanto più difficile se le energie individuali e collettive dovessero disperdersi in diversi rivoli, tanto più se fossero malauguratamente in competizione tra loro .
Felice Besostri
Avvocato socialista, coordinatore degli avvocati antitalikum
venerdì 23 giugno 2017
giovedì 22 giugno 2017
mercoledì 21 giugno 2017
martedì 20 giugno 2017
Paolo Bagnoli: I fiori secchi del togliattismo
Da NonMollare
la biscondola
i fiori secchi
del togliattismo
paolo bagnoli
sempre la stessa innata convinzione della
propria diversità – sempre alla ricerca della
egemonia – il rifiuto del socialismo – francesco?
«La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa
qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune
dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata
sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore
vada nel mazzo giusto».
Chi ha detto queste parole non è un politico
neogeorgico, ma un maturo leader, veterano dei
partiti e delle istituzioni. È Pier Luigi Bersani
che così ha chiuso una lunga intervista rilasciata
a “L’Espresso” (n. 23, 4 giugno 2017). Diciamo
subito che non si può, sulla frase in sé, che
concordare; tuttavia l’ammonimento fa un po’
sorridere, per non dire di peggio, se si pensa da
quale storia viene Bersani: quella di prima e
quella più recente; da una storia che ha liquidato
l’idea stessa di sinistra per dar vita al Partito
democratico che, a essa, è geneticamente
allergico, L’uscita – un po’ strascicata in vero –
che il gruppo di cui egli è il capofila ha ritenuto
di farla finita con la formazione di Matteo
Renzi. Il porre la questione in aura poetica nulla
toglie a tutta la cattiva prosa di un’esperienza
che di sinistra non ha mai avuto niente e di cui i
comunisti, che ne ha hanno scritto una buona
parte, sono responsabili e non assolvibili.
Sulle ragioni e la dinamica che hanno
portato al Pd si è scritto molto: esso è stato
l’approdo finale della linea togliattiana che,
qualunque sia stato il nome che via via
venivano assumendo, i comunisti hanno
pervicacemente perseguito dalla fine del loro
vecchio partito. Sempre la stessa linea, sempre
la stessa innata convinzione della propria
diversità accompagnata dal senso naturale che a
loro spettasse l’esercizio di una inscalfibile
egemonia che si sarebbe perpetrata nel nuovo
soggetto dell’incontro con una pezzo di
democrazia cristiana. Rimanendo alla bucolica
metafora di Bersani non si può non osservare
che, se la sinistra è un fiore di campo, quel fiore
sono stati loro per primi a reciderlo.
I fiori di campo – lo sanno tutti – nascono
spontanei, ma per la sinistra non è così. Essa è
il frutto storico delle lotte del lavoro per un
mondo migliore, più libero, più giusto, più
democratico. È il frutto di una scelta
consapevole di milioni di uomini per liberarsi
dallo sfruttamento, dal disconoscimento della
loro dignità, per avere, in quanto uomini, il
diritto riconosciuto a istruirsi, curarsi,
esprimersi, non essere socialmente ricattati,
improntare la vita sociale sulla pace e sui
principi della solidarietà. La sinistra,
politicamente, ha rappresentato l’umanesimo
forte che ha attraversato due secoli travagliati e
difficili alla conquista di quei doveri che oggi
talora sono minacciati quando non addirittura
misconosciuti.
Altro che fiore di campo!. È stata,
concretamente, un campo largo della storia
dell’uomo: socialisti, comunisti, radicali, liberali,
democratici aperti e avanzati al di là delle
rispettive culture, forme organizzative, fedi
religiose, ora in accordo, talora in disaccordo,
ma sempre schierati sul versante fermo della
democrazia e della sua nozione sociale. Un
grande movimento che ha permesso alle società
libere di costruire futuro dopo futuro anche a
prezzi altissimi; quel futuro che oggi non sta
nemmeno sull’orizzonte ampio del mondo
globalizzato. Quanto suona beffarda e vera, a
fronte di tutto ciò, la definizione stessa di
orizzonte quale linea che si allontana quanto più
credi di avvicinartici.
Chissà se a Bersani, che oggi teme che l’idea
di sinistra non finisca nel mazzo giusto, è mai
capitato di pensare quanto sarebbe stata diversa
la vicenda italiana se, non potendo più esistere il
partito comunista italiano, la sua forza si fosse
incamminata verso i lidi del socialismo. Erano
in tanti a sperarlo e quella speranza, considerato
il presente, presentiva il giusto e la verità. Si
riteneva quale evoluzione naturale, dato anche il
suicidio del partito socialista – non dei socialisti,
intendiamoci – che l’unica forza storica della
sinistra rimasta in piedi non ammainasse la
bandiera, ma ne alzasse una nuova per
riprendere il cammino delle conquiste
democratiche. Il campo, ricordiamocelo, nel
5
nonmollare quindicinale post azionista | 001 | 19 giugno 2017
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1994 lo aveva costituito l’insieme dei
progressisti. Le elezioni furono perse, ma il
risultato, ben consistente, dava egualmente
forza al disegno evolutivo dell’intesa elettorale.
Solo che il disegno non c’era ed è proprio il
caso di dire che il bambino fu buttato via con
l’acqua sporca. Quella coalizione aveva tutte le
caratteristiche, anche pluralistiche, per divenire
un soggetto politico. Tutto fu invece gettato alle
ortiche e di quanto era successo con le elezioni
del 1994 mai si è avuta un’analisi e
un’interpretazione da chi aveva il dovere di
darle. La sinistra, contravvenendo alle sue
tradizioni, non aprì nemmeno il dibattito. I
comunisti su cui gravava la responsabilità della
situazione aprirono un sanguinoso fronte
interno; fecero tra loro quei conti che fino ad
allora non avevano potuto fare e continuarono
da postcomunisti a muoversi secondo il canone
di sempre. Ma invertendo l’ordine dei fattori il
prodotto non cambia. Così, il nuovo che
avevano sempre perseguito, ha finito per
scomporli, triturarli, annientare pure il senso
della loro cultura storica; subalterni – quelli
rimasti – nel Pd aperti alla poesia bonaria quelli
usciti. Non c’è che dire: il fallimento non
avrebbe potuto essere più completo.
In tanti, crediamo, vorrebbero riunirsi
intorno a quel fiore di campo, ma esso, per
essere colto o meglio fatto crescere come di
deve,dovrebbe essere in un campo socialista
che non c’è e chissà ancora per quanto tempo
non ci sarà. Per onestà dobbiamo riconoscere
che quel fiore sembra essere stato raccolto dal
Papa se si pensa alle chiare prese di posizione
assunte da Francesco sullo sfruttamento
prodotto dal liberismo finanziario, a difesa della
dignità dell’uomo, alla condanna di ogni tipo di
sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Recentemente il Papato si è mosso, e con quale
autorevolezza, sul problema della corruzione.
Per ora quel fiore è lì. Il Papato, però, non è
un partito e la lotta politica per la democrazia
non si fa da San Pietro. Chissà se Bersani farà
una passeggiata lungo via della Conciliazione?
lunedì 19 giugno 2017
Franco Astengo: Francia
FRANCIA: ELEZIONI E RAPPRESENTANZA dI Franco Astengo
L’esito del secondo turno delle elezioni legislative francesi fornisce l’impressione, molto viva, che la questione della crisi evidente delle democrazie liberali nell’Occidente a capitalismo matur sia non tanto questione di programmi e di omologazione destra/sinistra, ma di rappresentanza politica dei soggetti confliggenti all’interno della complessità delle contraddizioni sociali ,la cui qualità di peso nella società moderna andrebbe rivisitata rispetto a quanto analizzato da Rokkan e Lipset all’inizio degli anni’80 : ce ne sono di nuove da intrecciare ma anche di antiche da rivalutare, ad esempio quella tra centro e periferia.
Si dimostra inoltre che non esistono sistemi elettorali perfetti e che nel caso in questione l’aver saputo alla domenica sera chi aveva vinto le elezioni è costato un violentissimo e forse irrecuperabile strappo alla democrazia rappresentativa.
Sviluppiamo comunque un primo tentativo di riordinare le idee esaminando i dati.
E’ evidente che i numeri dell’astensione siano quelli che colpiscono di più (tutte le cifre che seguiranno sono ufficiali tratte dal sito del Ministero dell’Interno francese).
Il rapporto tra l’astensione e l’espressione di voto valido nell’occasione del 17 Giugno è risultato il seguente: Iscritti nelle liste aventi diritto di voto 47.292.967. Voti Validi 18.176.777 pari al 38,43%. Astensione 29.116.190 (cifra comprensiva di 1.397.496 schede bianche e 593.159 schede nulle) pari al 61,56%.
Nel primo turno svoltosi l’11 Giugno gli iscritti aventi diritto di voto erano 47.570.988 (nel frattempo, infatti, in 4 collegi è stato eletto direttamente il deputato e di conseguenza tra il primo e il secondo turno diminuisce il numero degli aventi diritto ).
I voti validi espressi erano stati 22.654.164 pari al 47,62%, astenuti 24.916.824 (comprese 357.018 schede bianche e 156.326 schede nulle: le schede bianche sono cresciute ben oltre le 3 volte da un turno all’altro) pari al 52,38%.
Di conseguenza tra il primo e il secondo turno la percentuale dell’astensione complessiva (comprendente bianche e nulle) è salita del 9,18% pari a oltre 4.300.000 voti.
Nelle elezioni legislative 2012 i voti validi espressi erano stati 23.029.308 (il 53,27% su 43.233.648 iscritti aventi diritto di voto). Un calo del 14,84% quindi in cinque anni.
Preso atto dei dati relativi all’astensione c’è da sfatare un altro mito: quello della frammentazione che risulterebbe ridotta dal sistema a doppio turno.
Nel caso in esame, quello del secondo turno del 17 Giugno 2017, sono stati eletti all’Assemblea Nazionale rappresentanti di 16 gruppi politici (anzi probabilmente di più perché il sito del Ministero dell’Interno Francese assegna 3 seggi a “divers” non meglio identificati, oltre a 12 seggi per “divers gauche” e 6 seggi a “divers droit”).
In questo quadro non si può certo parlare di “valanga” Macron: En Marche ottiene si 308 seggi, accanto ai 42 seggi dell’alleato Modem per un totale di 352 seggi oltre ai 2 assegnati al primo turno. Ben 65 seggi in più della maggioranza assoluta in cambio di un livello di rappresentatività bassissimo: al primo turno infatti REM rappresentava il totale dei voti validi per il 28,21% e Modem per il 4,12%, percentuali salite al secondo turno al 43,06% e 6,06% (quindi con la somma al di sotto del 50% sempre rispetto al totale dei voti validi),ma infinitamente bassa rispetto al totale degli aventi diritto: REM al 16,55%, Modem al 2,33%.
Una larga maggioranza assoluta ottenuta con meno del 18% dei voti rispetto al totale degli aventi diritto (16,55% più 2,33%). Davvero una base molto fragile.
Il vero disastro appartiene però al Partito Socialista: nel secondo turno delle legislative 2012 i socialisti avevano ottenuto 9.430.889 voti con 258 seggi; il 17 Giugno i voti sono scesi a 1.032.985 e i seggi a 29. Cifre fin troppo eloquenti per essere commentate.
Flessione di oltre la metà del proprio elettorato anche per l’ex UMP ora “Les Républicains” (insomma: gli ex. Gollisti) dagli 8.740.628 suffragi del 2012 ai 4.040.016 voti del Giugno 2017 con un calo di seggi contenuto rispetto a quello dei voti: da 185 a 113.
Il dato degli ex-gollisti rispetto al rapporto voto/seggi consente di ribadire l’anomalia del sistema francese legato al collegio uninominale a doppio turno e alla capacità delle candidature passate al secondo turno di saper mettere in moto il meccanismo dell’aggregazione con altri candidati eliminati. Intreccio quindi tra localismo (tipico del collegio uninominale) e politica delle alleanze (fattore determinante nel doppio turno).
Così si sono sempre creati squilibri molto evidenti nella rappresentanza: in questa occasione, ad esempio il Partito Comunista Francese con 217.833 voti (0,46% del totale degli aventi diritto, 1,20 dei voti validi) ha ottenuto 10 seggi, mentre il Front National con 1.590.858 voti (3,36% del totale degli aventi diritto, 8,75% dei voti validi) ne ha ottenuto soltanto 8.
Ma è il dato dell’entità della maggioranza assoluta ottenuto da REM quello che squilibra l’intero sistema.
Tanto per fare un esempio: con gli stessi voti e il sistema messo in discussione in Italia recentemente e poi abbandonato (il pasticcio che si voleva far passare per “tedesco”) REM avrebbe ottenuto 186 seggi ( e Modem 0), quindi un “regalo” tra i due sistemi di 122 seggi (più i 42 di Modem).
Con il “pasticcio all’italiana” (proporzionale con sbarramento al 5%) gli altri seggi all’assemblea nazionale sarebbero stati così distribuiti: 79 a France Insoumise di Melènchon (in realtà 17) 80 al PS (in realtà 29) 124 agli ex-gollisti (in realtà 113, quindi il soggetto più “in linea” tra i due sistemi a causa di una maggiore diffusione territoriale del voto), 83 al Front National (in luogo di 8).
Insomma: il nuovo governo francese avrà di fronte tutte le difficoltà derivanti da un sistema in chiaro deficit di legittimazione democratica e il tema delle formule elettorali rimane quanto mai spinoso da affrontare in un quadro di difficoltà complessiva della democrazia rappresentativa, troppo spesso compressa dalle esigenza della governabilità e dal mutarsi d’asse dello Stato – Nazione.
In conclusione l’esatto numero di seggi assegnato per gruppo politico al secondo turno delle legislative francesi svoltesi il 17 giungo 2017:
Partito Comunista Francese 10, La France insoumise 17, Partito Socialista 29, Partito radicale di sinistra 3, Diversi di sinistra 12, Verdi 1, Non classificabili 3, Regionalisti 5, REM 308, Modem 42, Democratici e Indipendenti 18, Les Républicains 113, Diversi di destra 6, Debout la France 1, Front National 8, Estrema destra 1.
Franco
domenica 18 giugno 2017
Felice Besostri: Intervento al teatro Brancaccio, 18 giugno 2017
INTERVENTO AL TEATRO BRANCACCIO
ROMA 18 giugno 2017
Benvenuti a questo appuntamento promosso in modo non tradizionale dagli amici Anna e Tomaso. Se mi viene data la parola è perché parlerò di leggi elettorali e della necessità, quasi maniacale, che siano conformi a Costituzione perché è ormai pacifico dopo le sentenze della Consulta e della Cassazione , che come cittadini italiani, cui appartiene la sovranità, abbiamo il diritto “inviolabile e permanente” di votare in conformità alla Costituzione.
Le leggi elettorali sono molto tecniche, complicate e noiose, ma se scegliete voi ivostri rappresentanti, perché questi dovrebbero dare priorità ai vostri problemi e non agli interessi di chi li candida e nomina.
Spero, tuttavia, che questo ruolo, che mi è preassegnato, finisca presto non perché non voglia impugnare la terza legge elettorale incostituzionale: la ragione principale per dedicarsi ad altro è che se fosse approvata una terza legge elettorale incostituzionale dopo il Porcellum e l’Italikum e si votasse con una tale legge sarebbe un segno inequivocabile che la nostra democrazia è compromessa e che negli organi al vertice delle istituzioni si annidano i nemici della nostra COSTITUZIONE:
un GOVERNO, che la promuove, come ha fatto con l’Italikum magari ponendo la fiducia;
un PARLAMENTO, che l’approva e
un PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, che la promulga e
un PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, lo stesso, che sciolga le Camere e indica elezioni in modo da impedire di fatto un controllo di costituzionalità .
La legge affossata dal PD era in contrasto con la Carta in almeno 3 punti, che si potevano superare con:
A) Voto disgiunto per collegio uninominale e lista circoscrizionale proporzionale;
B) Sblocco delle liste circoscrizionali, non necessariamente con le preferenze;
C) Soglia di accesso regionale e non nazionale per il Senato.
Ci sono anche altri problemi come il privilegio degli elettori trentin-altoatesini, il numero esagerato di sottoscrizioni per la presentazione di liste per i nuovi ed esenzioni totali per chi già c’è, il riequilibrio effettivo della rappresentanza di genere, ma non entriamo nei dettagli.
Personalmente vorrei potermi occupare dei miei nipotini e politicamente dello stato della sinistra in Europa, senza distinguerla tra occidentale e orientale o fuori/dentro la UE e nel resto del mondo, perché siamo in un mondo globale.
Una volta i liberali erano cosmopoliti, i democratici cristiani universalisti e la sinistra, socialista e comunista, internazionalista. Tutto questo si è perduto e se lo spazio dove estendere il nostro sguardo si riduce ai nostri orticelli, da quegli orizzonti, troppo angusti, non vedremo mai sorgere alcun sole dell’avvenire, nemmeno una fiammella di speranza.
Ora abbiamo un’occasione storica perché il bipolarismo coatto è stato messo in crisi dall’annullamento delle due leggi, il Porcellum e l’Italikum, che lo volevano consacrare contro la Costituzione. Tuttavia sono convinto, che quelle decisioni, in particolare la prima del gennaio 2014, non sarebbero state possibili se il bipolarismo non fosse stato sconfitto prima nelle urne delle elezioni 2013, quando votarono per i due maggiori partiti il 58,66% ( nel 2008 erano il 70,56%) degli elettori italiani , che ne inventarono un terzo col M5S. Le ultime elezioni francesi, le presidenziali, ma ancora di più le legislative di domenica scorsa, 11 giugno, devono essere intese come un campanello dall’allarme ( per la prima volta hanno votato in meno del 50%), cioè allontanando dalle urne la maggioranza degli elettori, è possibile inventare un movimento politico, che conquisti la maggioranza di un Parlamento, tanto più artificialmente amplificata, quanto più il sistema elettorale è maggioritario. Ovviamente non basta un leader nuovo, intelligente e con presenza mediatica, occorrono anche soldi, tanti soldi e troppi soldi di provenienza, da chi ne ha, sono incompatibili con una vera democrazia. Da qui l’entusiasmo anche in Italia per MACRON, che ci sbarazza dell’antinomia destra/sinistra, a favore quella più funzionale al potere tra responsabili ed estremisti, tra europeisti e populisti.. Ma torniamo a noi e alle leggi elettorali: una legge elettorale è sempre una scelta politica, non tecnica. Se si chiede un premio di maggioranza per le coalizioni, significa, a sinistra, che ci si vuol alleare con il PD, un qualsivoglia PD, chiunque ne sia il segretario. L’Italia dopo tre Parlamenti eletti con una legge maggioritaria incostituzionale ha bisogno di un momento di verità e perciò di una legge elettorale proporzionale, non perché il proporzionale sia meglio in assoluto e sempre, ma perché soltanto un Parlamento eletto con la proporzionale può decidere come coniugare rappresentanza e stabilità.
Qui entra di prepotenza la questione delle soglie di accesso, per le quali non esistono numeri pitagorici con significati simbolici, esoterici o magici .
In Italia storicamente abbiamo avuto una soglia del 4% introdotta dal Mattarellum per il riparto della quota proporzionale, la stessa soglia è stata prevista nel 2005 dal Porcellum per la Camera( 8% Senato) ed estesa nel 2009 alla legge per il Parlamento Europeo. Nelle leggi elettorali regionali la soglia oscilla tra il 3% e il 5%. Nei Comuni con più di 15.000 abitanti e nell’Italikum è il 3%. Il 5% nazionale per la Camera e in violazione dell’art. 57 Cost. per il Senato è comparso nel Germanichellum. L’entità non ha parametri costituzionali, se non quello dell’irrazionalità .
Il limite dell’irrazionalità ad avviso degli avvocati antitalikum è superato per la soglia del 8% residuata per il Senato, che è composta dalla metà dei membri Camera e che prevede già delle soglie naturali più alte per la conquista sicura di un seggio nelle regioni con 1, 2, 7, 8, 9 o 10 senatori, cioè ben 11 su 20 regioni, la maggioranza. Altra questione non meno importante sono le firme di elettori da raccogliere per presentare le liste, che discriminano i nuovi soggetti, rispetto a quelli già presenti in Parlamento e massime per i gruppi parlamentari esistenti al 1 gennaio 2014 alla Camera dei deputati grazie ad una norma transitoria nascosta nell’art. 2 c. 36 della legge n. 52/2014 e che il Germanichellum avrebbe esteso anche al Senato. Di tale favore a sinistra può beneficiarne soltanto Sinistra Italiana, per questo è bene che sia qui: potremo sentire che uso ne vorrà fare per facilitare un processo di aggregazione a sinistra, uso questo termine con perplessità, perché molti, di quelli che ho consultato, lo ritengono ambiguo e/o generico e preferirebbero un’unità per l’attuazione della Costituzione, perché basterebbe per soddisfare l'aspirazione alla giustizia sociale dare corpo al Secondo Comma dell’art. 3 Cost. “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Cosa si può volere di più? I soviet degli operai, di soldati e dei contadini?
Usiamo quindi con cautela la parola sinistra, che come sostantivo è accettabile, ma come aggettivo molto meno: tutti qui comprendiamo la differenza tra una lista di sinistra e una sinistra lista che ricordi l’Arcobaleno. Partiamo dalla Costituzione, di cui non abbiamo il monopolio, per costruire una lista civica e unita di sinistra aperta a tutti, anche a quelli che non si identificano in questa parte politica e, pertanto, larga, inclusiva e plurale.
Felice Besostri
avvocato socialista, coordinatore degli avvocati antitalikum
sabato 17 giugno 2017
Franco Astengo: Ius sine soli
IUS SINE SOLI di Franco Astengo
Nadia Urbinati in un suo articolo apparso oggi sulle colonne di “Repubblica” usa parole molto appropriate nel merito del concetto di cittadinanza.
Ci si augura, però, che il suo riferimento (considerato che , molto spesso, nel testo ricorre il termine “ius soli”) non sia alla legge attualmente oggetto di rissa presso il Senato della Repubblica.
Perché attenzione l’oggetto delle sceneggiate parlamentari è uno “ius sine soli”: il consueto pasticcio all’italiana.
Eventualmente approvata la legge entro la legislatura si dovranno aspettare, infatti, i soliti decreti attuativi (di gestazione molto complessa) per capire quali saranno le modalità di presentazione delle domande.
Un primo interrogativo: quanto tempo sarà necessario per elaborare i relativi modelli? Dovrà essere approntata un’apposita piattaforma web?
Altri quesiti: considerato che l’emanazione del decreto finale di cittadinanza spetterà alla Presidenza della Repubblica a quali livelli della P.A. toccheranno istruzione e accertamenti sulla pratica?
Soprattutto quali saranno i criteri nel caso di necessità di accertamento di reddito minimo (attraverso l’ISEE oppure basteranno buste paghe e/o cedolini di pensione), alloggio idoneo e soprattutto superamento del test di conoscenza della lingua italiana (questione che presenta due problemi: a quale livello gli interroganti per cominciare; e in secondo luogo quale sarebbero gli esiti se il test fosse applicato a tutti per il mantenimento della cittadinanza italiana?).
Entriamo nel merito del disegno di legge che appunto – correttamente – potrebbe essere titolato “Ius sine soli”.
Due i punti di partenza. Chi nasce in Italia da genitori stranieri, e continua a viverci legalmente, può già diventare cittadino italiano; ma soltanto quando ha compiuto 18 anni.
Così in base a una legge del 1992 (LEGGE 5 febbraio 1992, n. 91. Nuove norme sulla cittadinanza. pubblicato sulla G.U. n. 38 del 15-2-1992. note: Entrata in vigore della legge: 15/8/1992.) Ed è la prima premessa.
Secondo punto di partenza: la legge di cui si discute adesso in Italia non prevede lo ius soli “vero” come negli USA: chi nasce su territorio nazionale è cittadino Usa.
Il “caso italiano” è frutto delle solite mediazioni e del solito substrato burocratico.
I figli di migranti potranno diventare cittadini italiani ad alcune condizioni. Dipende, ad esempio, dal tempo trascorso sui banchi di scuola italiani o dagli anni di residenza dei genitori.
In Italia la via principale di accesso alla cittadinanza è lo ius sanguinis: è italiano il figlio di genitori (padre o madre) che sono cittadini italiani.
Accanto a questo la legge sulla cittadinanza introduce una via riconducibile allo ius culturae (la scuola è l’elemento chiave). E appunto una forma diversa di accesso alla cittadinanza che riguarda la nascita su suolo italiano.
Perché un bambino nato in Italia da genitori stranieri diventi cittadino italiano è necessario che il padre e/o la madre abbiano il permesso di soggiorno di lungo periodo: questo è riconosciuto a chi abbia soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni sul territorio nazionale. E questo è un primo criterio: i cinque anni di residenza in Italia del genitore.
Per i cittadini extra Unione europea, i requisiti vanno anche oltre i cinque anni di permesso di soggiorno e prevedono: un reddito minimo, alloggio idoneo, superamento di un test di conoscenza della lingua italiana.
C’è un’altra novità di rilievo e riguarda il minore straniero nato in Italia oppure entrato qui prima dei 12 anni: se ha frequentato uno o più cicli scolastici sul territorio nazionale, per almeno cinque anni, può ottenere la cittadinanza. Naturalmente il genitore deve avere un regolare permesso di soggiorno per avanzare la richiesta per il figlio.
Un altro caso riguarda la concessione del diritto di cittadinanza: può chiederla chi arriva in Italia prima dei 18 anni ed è residente in Italia da almeno sei anni, dopo aver frequentato regolarmente un ciclo scolastico e aver ottenuto il titolo finale. La concessione della cittadinanza, di cui qui si parla, avviene con decreto del presidente della Repubblica.
P.S. IL DISEGNO DI LEGGE POI DIVENTATO LEGGE N.91 DEL 5 FEBBRAIO 1992 ERA STATO PRESENTATO DAL GOVERNO DE MITA, CON PRIMI FIRMATARI IL MINISTRO DEGLI ESTERI GIULIO ANDREOTTI, IL MINISTRO DELL’INTERNO ANTONIO GAVA, IL MINISTRO GUARDASIGILLI GIULIANO VASSALLI (un governo espressione della più deprecata “Prima Repubblica”, tanto per usare un termine giornalistico clamorosamente sbagliato eppure sulla bocca di tutti).
venerdì 16 giugno 2017
giovedì 15 giugno 2017
Andrea Ermano: E insomma, giunti alla Terza via...
E insomma, giunti alla Terza Via,
dovevamo girare a sinistra…
dall'avvenire dei lavoratori
di Andrea Ermano
L'altro ieri, Giuliano Amato, il maggior esponente superstite del socialismo italiano, ha rilasciato un'intervista al Corriere per dire che: 1) La sinistra occidentale deve rimettersi a fare la sinistra, 2) L'Europa adesso ha una chance, 3) Il maggioritario alla francese non è anti-costituzionale. Un segnale a Renzi?
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Agosto 2014 - Ice Bucket Challenge renziano a favore
della ricerca scientifica: “Tragico che per raccogliere fondi occorra fare i deficienti”, fu allora il commento di Cacciari
L'ex sindaco di Venezia esorta Renzi a fare "come Macron", fondando un suo partito, eccetera. Boutades. Senza l'istituto presidenziale, nemmeno una legge alla francese, imperniata sul doppio turno di collegio, basterebbe a salvare il rottamatore dall'auto-rottamazione in atto.
Ma una legge alla francese aiuterebbe forse ciò che resta del sistema politico a parametrarsi su una competizione chiara e trasparente. Anche Grillo si vedrebbe indotto a proporre collegio per collegio candidati più plausibili, senza di che replicherebbe gli esiti delle recenti comunali.
Quanto all'Europa, Amato reputa possibile «creare le condizioni per raccogliere attorno alla Germania un gruppetto di testa che individui e proponga soluzioni comuni per uscire dalla palude». Uscire dalla palude significa qui incamminarsi sulla via degli Stati Uniti d'Europa. Anche se, secondo l'ex premier socialista, permarrà ancora a lungo, nel nostro continente, una certa vischiosità degli stati nazionali rispetto alla purezza del modello federale teoricamente perfetto.
Bisogna vedere quanto empire latin ci vuole per bilanciare questa "egemonia riluttante" di Berlino. Riluttante perché comprende bene, Berlino, come Russia e USA, che restano le due superpotenze atomiche, non possono entusiasmarsi alla vista una superpotenza economica europea a guida tedesca.
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Gerhard Schroeder, Tony Blair, Wim Kok
e Giuliano Amato in Francia nel 2000
Ma, geo-strategie a parte, nessuna Europa sarà comunque possibile senza una sinistra di sinistra: questo sembra voler concludere Amato. Ed è la parte più densa dell'intervista, nella quale egli liquida senza tante cerimonie l'età del moderatismo riformista, di cui lui stesso, antico vice di Craxi, era stato un esponente tra i più autorevoli.
«L’ipotesi della Terza Via era fondata sulla “cetomedizzazione” dei ceti proletari; il che sarebbe accaduto in Cina e in India; mentre nei nostri Paesi ci sarebbe stato un contraccolpo d'impoverimento degli stessi ceti medi. Quando questo arrivò, noi avevamo quasi smantellato l’intervento pubblico sul quale si era costruito il secolo socialdemocratico. Io stesso, presidente dell’antitrust a metà degli anni 90, dicevo che ormai era la politica della concorrenza l’unica politica industriale che serviva. Ci siamo accorti dopo che non era così; perché la promozione dell’innovazione tecnologica e il suo trasferimento nell’impresa almeno in taluni Paesi, e di sicuro nel nostro, hanno bisogno di un intervento pubblico. Eravamo rimasti senza risposte».
L'accento critico e autocritico è esplicito. Rispunta qui in Giuliano Amato lo spirito lombardiano delle origini? Poco importa. Ormai lo sappiamo tutti che, giunti alla Terza Via, meglio sarebbe stato – come nella celebre scena di Indiana Jones e il Tempio maledetto – imboccare l'altra strada rispetto a quella del precipizio liberista.
Franco Astengo: Lettera aperta ai promotori dell'incontro del 18 giugno
LETTERA APERTA AI PROMOTORI DELL’INCONTRO DEL 18 GIUGNO di Franco Astengo
Nadia Urbinati qualche tempo fa aveva scritto su “Sbilanciamoci” : ..Per esempio, i partiti di sinistra del ventesimo secolo avevano lo scopo di rivendicare i diritti dei molti contro l’abuso del potere dei pochi potenti e usavano la sola arma che i deboli hanno da sempre: l’alleanza, l’unione, l’integrazione delle forze sparse. In questo modo riuscivano a resistere all’oligarchia industriale.
Ma il risultato che sta sotto i nostri occhi è molto diverso dalle aspettative o dalle intenzioni originarie: i partiti che si nominano di sinistra operano contro i diritti sociali e la dignità politica delle moltitudini mentre svolgono il ruolo di convincere i senza potere che quel che occorre fare è assecondare la logica del sistema, quindi lavorare nel rischio e senza diritti e procurarsi una formazione funzionale alla loro oggettiva precarietà. LA FAVOLA DEL MERITO E’ IL NUCLEO DI QUESTA IDEOLOGIA DELLA SUBALTERNITA’..”
Ci permettiamo di aggiungere: i partiti di sinistra del ventesimo secolo operavano sul terreno indicato da Nadia Urbinati perché possedevano un retroterra, un pensiero teorico “lungo” di trasformazione radicale degli equilibri sociali e politici; fosse questa trasformazione ideata nella gradualità di tempi diversi o fosse progettata attraverso una “rottura” di tipo rivoluzionario era quello il patrimonio comune della sinistra novecentesca, di matrice socialista e comunista, oggi scomparsa proprio nella sua accezione di fondo di soggettività della trasformazione sociale.
Intanto si è affermato il dominio totalitario dell’oligarchia finanziaria che domina il processo europeo e che trova, in Italia, la sua sponda più coerente nell’affermazione di un regime centrato sul “comando” di una ristretta cerchia di potere fondata su di un pericolosissimo personalismo anti-democratico.
A destra la risposta a questo stato di cose è quella di una ripresa identitaria di tipo populistico, a sinistra invece prevale il caos, delle sigle, delle presunte coalizioni, delle formule più scombiccherate.
Intanto il quadro politico appare sempre più disastrato e rinchiuso in logiche del tutto autoreferenziali di salvataggio del ceto casualmente presente nell’arena: l’esito del confronto scaturito dal successo (sacrosanto e benedetto) del “NO” al referendum del 4 Dicembre e della sentenza della Corte Costituzionale sull’Italikum attorno al tema della legge elettorale ha fornito una sconsolante fotografia dell’approssimazione pressapochistica con la quale questioni di grande delicatezza istituzionale e assolutamente decisive nel processo di formazione del consenso e di aggregazione sociale sono affrontate.
Soprattutto la sinistra italiana è stata vittima proprio di quella “ideologia della subalternità” cui aveva fatto cenno anche Nadia Urbinati in un suo articolo: subalternità totale al modello di potere, all’idea governativista come a quella movimentista, a una logica di alleanze che via, via si mostrava sempre più assurda, a un’identificazione di obiettivi sbagliati anche sul piano internazionale, alle proposte sempre diverse di importazione di schemi e analisi non adattabili alla specificità, comunque presente, della situazione italiana.
Ormai svanito il modello Tsipras, con il governo greco impegnato su tutt’altro terreno che non quello dell’offerta di modelli d’importazione, adesso – in queste ore- si oscilla tra l’indistinta e indistinguibile proposta della “coalizione sociale; fino a quella del “fronte pop” sulla quale il Manifesto sta spendendosi ospitando vari interventi nei quali non appaiono però elementi sufficienti a inquadrare la situazione, sia dal punto di vista di carattere generale, sia dal punto di vista dello stato di cose in atto tra i diversi soggetti più o meno politici facenti parte della galassia della sinistra italiana.
Il punto di analisi sul quale appare maggiore il ritardo d’espressione complessivo riguarda la natura del regime costruito in Italia, la necessità di impostare un’opposizione di tipo sistemico, la realtà del PD partito di questo regime, l’esigenza ineludibile di un partito organizzato che sorregga l’opposizione. Opposizione che naturalmente deve essere ampia socialmente e politicamente intrecciando i diversi livelli di lotta nel sociale sia dal punto di vista sindacale sia delle rivendicazioni sul territorio, ma che per organizzarsi ha bisogno di un riferimento politico ben preciso: un riferimento posto in grado, in tempi possibilmente rapidi, anche di recuperare una funzione sul terreno delle istituzioni.
La situazione dei soggetti presenti in questa galassia ci fa indurre al massimo del pessimismo. Rifondazione Comunista ha esaurito per intero, completamente, la sua funzione; le compagne e i compagni che intendono promuovere la ricostituzione di un Partito Comunista sul modello del PCI appaiono muoversi su istanze che non comprendono davvero le novità insite nel mutarsi del quadro delle contraddizioni, del loro intreccio, del rapporto tra struttura e sovrastruttura.
Sinistra Italiana, l’eventuale e del tutto virtuale Campo Progressista , il cosiddetto articolo 1 fanno tutti interamente parte di quella subalternità al riguardo della quale è necessario individuare una via d’uscita sul piano della autonomia e del recupero di una identità politica.
Da altre parti pare non si riesca ad uscire da un quadro di sostanziale movimentismo pansindacalista, certo agito generosamente ma in dimensione insufficiente rispetto alla realtà; altri soggetti non riescono a verificare sul serio la possibilità di costruzione di un’adeguata “massa critica”.
Le potenzialità ci sarebbero e anche gli spazi: considerato che, per essere chiari, il Movimento 5 Stelle (al riguardo del quale molti avevano già frettolosamente stabilito la capacità di occupare per intero lo spazio dell’opposizione) si sta muovendo verso una sostanziale integrazione nel sistema: un soggetto di supporto a quella subalternità cui si accennava poc’anzi.
Si tratta allora, cercando di semplificare al massimo il discorso, di riportare al centro del dibattito politico gli elementi costitutivi di una idea legata essenzialmente al nodo della costituzione di un Movimento per un soggetto politico organizzato.
I punti sui quali ribadire la nostra identità e muovere una nuova stagione di iniziativa politica possono essere così riassunti:
1) L’opposizione sistemica : un’opposizione larga, insieme sociale e politica, con al centro un’analisi concreta riferita alla realtà del regime e sorretta dalla centralità e della capacità egemonica di un nuovo soggetto politico;
2) In questo modo potranno essere combattuti i germi del ribellismo, della guerra tra poveri, del cozzo tra contraddizioni. Un soggetto politico deve avere al centro del suo modo d’essere la capacità di sintesi e la proposta di aggregazione;
3) Assumere l’idea del Movimento per un soggetto politico organizzato deve significare anche avviare la ricerca sul piano della qualità dei modelli organizzativi. Tematiche come quello del consiliarismo debbono rappresentare la frontiera di forme della politica da ricercare nell’adeguarsi alla rappresentanza dell’intreccio di contraddizioni e del modificarsi nel rapporto tra struttura e sovrastruttura sulle quali oggi appare necessario approfondire la riflessione;
4) Si tratta di aprire una forte battaglia politica sui punti appena elencati in tutte le sedi e i luoghi possibili, invitando le compagne e i compagni a un confronto aperto, senza pregiudiziali e muovendosi al di fuori da quel quadro di minoritarismo che pare attanagliare l’insieme della capacità propositiva e di presenza sociale della sinistra italiana.
Nella convinzione che gli appuntamenti, di lotta e di proposta politica, non mancheranno, anche oltre il 18 Giugno o il 1 Luglio.
mercoledì 14 giugno 2017
Franco Astengo: Critica e autocritica
CRITICA E AUTOCRITICA di Franco Astengo
Scusandomi per il disturbo, ringrazio in anticipo quanti condividendo mi aiuteranno a diffondere questo testo.
L’autocritica , almeno dalle nostre parti (politicamente parlando),è una cosa seria e così viene definita sul piano teorico:
“L'autocritica è esaminare e giudicare il proprio comportamento o il proprio operato. Questo termine originalmente nasce nell'ambito politico e più precisamente in quello del Marxismo. "Fare autocritica", per un uomo politico, un militante o un gruppo di militanti, significa analizzare e riconoscere pubblicamente, rispetto alla dottrina politica riconosciuta o la linea del partito a cui si appartiene, i propri errori o deviazioni. È il risultato di una rigorosa riflessione personale e di gruppo”
Proprio in ragione di questo assunto è parso il caso di non lasciar passare sotto silenzio quanto affermato ieri da Giuliano Amato in un’intervista al Corriere della Sera che di seguito si riporta per stralci:
“… Tra gli anni 80 e gli anni 2000 ci muovemmo nella scia dei cultori della Terza Via (Blair, quello che poi ha rivelato di aver partecipato alla guerra in Iraq sulla base di notizie false, n.d.r.) . Non eravamo noi che cambiavamo in proprio, era la società che stava cambiando: i camici bianchi sostituivano le tute blu, i tecnici sostituivano gli operai. Il mondo che avevamo rappresentato rischiava di non esserci più. Furono gli anni in cui contemporaneamente emersero tutti i nodi sempre più pesanti di quella che chiamammo la crisi fiscale dello Stato”
“.. E il duo Reagan – Tachter diffondeva la magia del mercato come magia che, sconfitto il comunismo, avrebbe conquistato il mondo e sarebbe bastato a far crescere la democrazia..”
“.. Ciò che non vedemmo era che la globalizzazione avrebbe portato nei nostri Paesi crescenti disuguaglianze e perdite di reddito, di patrimonio, di posti di lavoro ..”
“.. Quando questo arrivò , noi avevamo quasi smantellato l’intervento pubblico sul quale si era costruito il secolo socialdemocratico. Io stesso, presidente dell’Antitrust all’inizio degli anni ’90 (Giuliano Amato è stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio durante il governo Craxi 1983- 1987, più volte Ministro e Presidente del Consiglio in due occasioni, tra il 1992 e il 1993 e tra il 2000 e il 2001 succedendo a Massimo D’Alema, n.d.r.) dicevo che ormai la politica della concorrenza era l’unica politica industriale che serviva”
“ Ci siamo accorti dopo che non era così; perché la promozione dell’innovazione tecnologica e il suo trasferimento nell’impresa almeno in taluni Paesi, e di sicuro nel nostro, hanno bisogno di un intervento pubblico”
“Eravamo rimasti senza risposte; e chi prima si era affidato alle nostre risposte, ora si affidava a chi amplificava la sua protesta”
Nell’intervista di Amato c’è anche un giudizio implicito sulla “resistibile ascesa” di Renzi e dei sodali e sulle ragioni del loro impadronirsi del Partito Democratico:
“..C’è stata questa infiltrazione che ha riguardato Europa e antieuropeismo, immigrazione e anti –immigrazione, sicurezza e benessere in primo luogo per i nostri cittadini: l’America first. Non è un sentimento nuovo, ispirava già l’Uomo Qualunque, ma lo spettro sociale di coloro che lo nutrono si è molto allargato”
“Pensi ai giovani che hanno visto disconosciute le ragioni della nostra impostazione: studiate, datevi una competenza, e avrete un posto di lavoro migliore di quelli che non studiano. Non è che questa verità abbia cessato di essere vera, il fatto è che ci sono Paesi in cui non si realizza. Tra cui purtroppo il nostro”.
“ Non ho mai creduto alla favola cinese con cui cominciano quasi tutte le conferenze rotariane, secondo cui l’ideogramma di crisi significa anche opportunità. A parte che sembra non sia vero neppure per i cinesi, vorrei vedere chiunque alle prese con tre crisi: economia e finanza, terrorismo, migranti..”
Fin qui la parte autocritica dell’intervista ad Amato che poi prosegue sulla solita strada anche se ammette che Corbyn ha preso voti perché era rimasto l’unico a poter parlare con ceti cui gli altri non erano neppure in grado di rivolgere la parola.
La parte fin qui riportata dell’intervista all’ex-Presidente del Consiglio è importante perché permette di sviluppare alcune affermazioni che si sintetizzano di seguito in maniera molto “rapsodica”;
1) L’obiettivo vero della furia iconoclasta degli anni’90 era rivolta non tanto e non solo a “sconfiggere il comunismo” (identificato nell’URSS e nel suo sistema di potere) quanto a cancellare la stessa percezione sociale della materialità della contraddizione di classe, che invece ha continuato pesantemente a operare nella società pseudo – globalizzata esasperando ed estendendo i meccanismi dello sfruttamento e trasferendo “lavoro vivo” per far spazio al perverso meccanismo della finanziarizzazione globale;
2) La cancellazione della percezione sociale della contraddizione di classe (meccanismo nel quale hanno avuto una gran parte, gli strumenti della comunicazione di massa rivolti complessivamente a propagandare l’individualismo in senso meramente consumistico e non certo di valorizzazione della persona umana) ha portato allo stravolgimento di natura del soggetto politico che l’aveva storicamente rappresentata: il partito. I partiti si sono trasformati nel senso che abbiamo verificato approdando da soggetti a integrazione di massa a soggetti di proprietà e promozione personale,in mano a lobby e a gruppi di potere (magari non particolarmente trasparenti). Il “caso italiano” a partire dalla metà degli anni’80 si è modificato in questo senso, dando spazio alle istanze più negative fino ad arrivare al delirio di questi giorni;
3) C’è stata una cesura storico – politica di cui l’intervista ad Amato è testimonianza oggettiva anche considerando la provenienza della fonte. La cesura è stata con la tradizione, la storia, il portato politico della sinistra italiana, nell’originalità dei suoi partiti, in quella che era stata la formazione del loro radicamento sociale che, affondando le radici nell’humus gramsciano, rappresentava molto di più che la classe operaia(quella stabile e organizzata) ma per esteso un complesso e articolato universo sociale che disponeva della diffusione della cultura politica come collante.
4) Si è verificata, in quel punto, una separazione molto più netta di quelle “storiche” che si sono presentate via, via nel procedere degli anni (penso a 3 momenti: la divisione tra fermezza e trattativa; la divisione tra maggioritario e proporzionale nel 1993; quella sulla deforma costituzionale del Dicembre scorso) e non è pensabile che chi contribuì a realizzare quella rottura e poi governò il grande abbaglio degli anni’90 (come descritto da Amato) aprendo la strada alla destra di Berlusconi prima e al populismo d’accatto di Renzi poi, possa riproporsi alla guida di uno schieramento alternativo sia pure in chiave neo-socialdemocratica alla Corbyn o alla Sanders;
5) Serve una riflessione più profonda e la ricostituzione di un ragionamento politico complessivo partendo dalla necessità di recuperare elementi che stanno dentro all’identità storica di quelle che furono le forze del movimento operaio. Un necessario richiamo al passato assolutamente non nostalgico perché orientato alla promozione di una nuova leva politica. Ci pensino quanti hanno già aderito all’appello lanciato da Anna Falcone e Tommaso Montanari , frettolosamente orientato verso la costruzione di una lista elettorale al riguardo della quale sarebbe necessario un chiarimento di fondo dal punto di vista dell’orientamento complessivo: tattica e strategia.
Vittorio Melandri: Il piovorno e il sarcastico
IL PIOVORNO ED IL SARCASTICO
Marco Travaglio su “Il Fatto Quotidiano” di oggi, commenta il flop elettorale del M5s, ed utilizza un sarcastico (a dir poco) ritratto di Riccardo Lombardi (il cui profilo fisiognomico è anche battezzato “piovorno”) del suo maestro I. Montanelli, per paragonare appunto a quella di Lombardi, la voluttà “sconfittista” di Grillo.
Senza nessuna pretesa di insegnare alcunché al Direttore, al contrario, consapevole nelle vesti di suo lettore, di poter condividere con lui la convinzione “laica” che nessuno è perfetto e proprio anche i più intelligenti e capaci della nostra specie possono incorrere in castronerie, colgo l’occasione per ringraziarlo della possibilità di cogliere nelle sue parole scritte, l’ennesima conferma di quanto sopra.
Il ritratto di Riccardo Lombardi che, opera del suo maestro Indro Montanelli, ha generosamente fatto riaffiorare alla memoria di noi suoi lettori, è appunto la patente dimostrazione che nessuno è indenne dal prendere cantonate, anche turandosi il naso.
Sono molte le sconfitte politiche contro cui Lombardi è andato a sbattere, e bastino due nomi per riassumerne molte con poche lettere …..
….. Gianni De Michelis e Fabrizio Cicchitto.
Limitando però l’uso della fisiognomica alla indispensabile satira, sull’Unità, dove anche Travaglio scriveva, il 18 settembre del 2004 in occasione dei vent’anni dalla sua morte, così descriveva il “piovorno” Riccardo uno che lo conosceva meglio di Montanelli, Vittorio Emiliani:
«Nonostante avesse lasciato la Sicilia ancora giovane (era nato a Regalbuto, in provincia di Enna nel 1901), all’inizio degli studi di Ingegneria completati al Politecnico di Milano, manteneva nel suo bel linguaggio, tecnico e immaginoso insieme, a volte tagliente, la cadenza isolana. Era severo, austero nelle espressioni morali e politiche, e però ironico e divertente nella quotidianità. Non certo l’uomo cupo e aggrondato che Indro Montanelli ha voluto sino alla fine descrivere. Nel privato, con noi, che stavamo fra i 20 e i 30 anni, era spesso allegro, spiritoso.»
Questo per amore di qualche spicciolo di verità
martedì 13 giugno 2017
Franco Astengo: Amministrative 2017
AMMINISTRATIVE 2017 di Franco Astengo
Impresa davvero ardua quella di cercare di analizzare dal punto di vista politico i risultati del primo turno delle elezioni amministrative 2017 svoltosi domenica scorsa 11 giugno.
Sono emersi, infatti, alcuni elementi di non facile interpretazione:
1) L’importanza del sistema elettorale fondato sull’eventualità del ballottaggio e sul premio di maggioranza che “costringe” a sistemi di alleanza tra i partiti molto simili a quelli in uso – nell’occasione delle elezioni politiche- nel periodo tra la fine degli anni’90 e i primi 2000 quando cioè si affermarono i concetti di bipolarismo e di alternanza;
2) L’affermarsi di una forte visione localistica della politica che ha portato alla formazione di moltissime liste civiche raccolte a candidature autodefinitesi “indipendenti”. Anche all’interno dei due principali schieramenti di centro destra e centro sinistra il fenomeno si è evidenziato con la formazione di numerose formazioni di sostegno a quelle dei principali partiti. Addirittura nel caso di Palermo che ha portato alla vittoria al primo turno di Leoluca Orlando non vi erano, a sostegno della sua candidatura, alcuna lista con simbolo di partito ma tutte liste definibili come “civiche”;
3) Soltanto il M5S ha rifiutato questo meccanismo presentandosi da solo con il proprio simbolo.
Abbiamo così raggruppato abbastanza arbitrariamente in questo modo i diversi schieramenti politici. Il riferimento è ai 25 comuni capoluogo di provincia (mancano alcune sezioni che non sono state scrutinate ma rinviate all’ufficio elettorale centrale).
Inoltre sono molto difficili i raffronti con il passato: le regionali si sono svolte in tempi difformi l’una dall’altra , prima o dopo le europee del 2014 che rimangono comunque il riferimento elettorale complessivo più vicino temporalmente sia pure in condizioni politiche affatto diverse dalle attuali.
In ogni caso questi sono i dati che possono essere offerti all’attenzione di coloro che intendono cimentarsi con un semplice abbozzo di analisi sufficientemente approfondita, non accontentandosi degli slogan televisivi o dei titoli dei giornali.
Andando per ordine nei 25 comuni capoluogo risultavano aventi diritto 2.854.057 elettrici ed elettori.
Il totale dei voti validi per i candidati sindaci è stato di 1.469.936: per le liste si sono avuti 1.380.445 suffragi. Quindi il saldo a favore dei candidati sindaci (indicando praticamente il tasso di personalizzazione) è stato di 116.491 unità. I voti validi per i sindaci assommano al 51,50% degli aventi diritto.
In cifra assoluta ci troviamo all’incirca allo stesso livello delle europee 2014 laddove i voti validi si assommarono a 1.437.204; nettamente superiore invece, sempre con riferimento ai 25 capoluoghi impegnati nel voto di domenica scorsa, il totale dei voti validi nell’occasione del referendum del 4 Dicembre 2016: ben 1.786.208. A dimostrazione che in quell’occasione si verificò un fortissimo incremento nel tasso di partecipazione al voto, probabilmente difficilmente ripetibile almeno nel breve periodo.
Passiamo allora all’esame dell’andamento dei diversi gruppi politici.
Il PD ha usufruito dell’apporto di numerose liste civiche: il simbolo del PD ha raccolto 184.839 voti mentre quelli delle civiche di centrosinistra 233.952. Un totale di 418.791 voti pari al 30,33%. Negli stessi comuni il PD alle europee del 2014 aveva raccolto 609.464 voti pari al 42,40%. Da ricordare ancora che nel 2016, al referendum costituzionale, il SI sostenuto dal PD aveva ottenuto 716.639 suffragi.
Da rilevare che nell’occasione dell’11 Giugno 2017 sono comparse, in diversi comuni, liste di ispirazione socialista per un totale di 11.541 suffragi.
Sul versante del centro destra da notare, prima di tutto, il mantenimento di una presentazione separata ma compatta in alleanza in molti comuni. Le tre formazioni che compongono questo schieramento hanno ottenuto: Forza Italia 107.166 voti, Lega Nord (comprese le liste “Noi per Salvini” 90.505, Fratelli d’Italia 40.714. Notevole l’apporto delle liste civiche d’appoggio ai candidati del centrodestra per un totale di 225.656 voti. Nel complesso la somma tra FI, Lega, FdI, civiche di centrodestra cumula 489.744 voti (quindi in posizione di maggioranza relativa su PD e civiche di centrosinistra) per una percentuale del 35,47% (i dati di questi partiti alle Europee 2014: FI 211.843, FdI 44.943, Lega Nord 77.379).
Da notare come rimangano da collocare i 25.703 voti ottenuti dalla lista dell’ex-leghista Tosi a Verona.
Le liste di centro, targate UDC oppure civiche di centro hanno ottenuto 39.664 voti pari al 2,87%.
IL M5S ha rappresentato – come già esposto poco sopra – la lista di più facile interpretazione: in totale ha ottenuto 138.279 voti pari al 10,01% ( nel 2015 323.756 voti pari al 22,52%). Una flessione di oltre il 12%: difficile a questo punto ignorare la sconfitta che appare piuttosto chiara.
Da tener conto, ancora,di 26.255 voti ottenuti, tra Parma e Genova, da liste di ex-M5S.
A Sinistra il conteggio è risultato molto complesso risultando diversi gli schieramenti da comune a comune, in alleanza con il PD (formula minoritaria) o a sostegno di propri candidati sindaci. Nel complesso l’area che va da da Articolo 1 – MDP fino a Rifondazione Comunista (con presenze molto sporadiche del PCL e del PC di Rizzo) ha ottenuto 75.830 voti pari al 5,49%. Nel 2014, nelle stesse situazioni, la lista Tsipras aveva ottenuto 71.466 voti (4,97%).
Da annotare, ancora il dato delle liste civiche non classificabili all’interno degli schieramenti con 136.301 voti (9,87%).
Inoltre non possono essere dimenticati i 7.187 voti sommati da Casapound e Forza Nuova, i 9.412 voti tutti tarantini di Azione Meridionale, e la riomparsa di Verdi e IDV con 1738 voti.
Questi dati sommariamente raccolti (e in alcuni situazioni tacciabili di incompletezza, ad un livello però da non mettere in discussione l’orientamento complessivo del voto) indicano prima di tutto le potenzialità di un centro destra unito, la flessione ormai prolungata nel tempo del PD (verificheremo ai ballottaggi il gioco delle alleanze anche occulte) e il calo brusco del M5S.
A sinistra sarebbe necessaria unità ma la strada, soprattutto rispetto alla valutazione della fase, dei contenuti programmatici, dell’impatto sul quadro politico (alleanze ecc) sembra molto difficoltosa e pare presentare asperità che non inducono all’ottimismo.
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